sabato 22 dicembre 2012

Che fare?

      Questo l'interrogativo cui ci si trova di fronte quando, dopo un periodo di tormento, ci si sente finalmente fuori da un anno e mezzo circa di un'esperienza - sicuramente singolare e interessante, ma finita molto male - con una persona certamente inusuale, e come tale degna della massima attenzione, ma al tempo stesso difficile, chiusa a riccio, altamente seduttiva e al tempo stesso altissimamente castrante.
       La coscienza è tranquilla, ormai. In un arco di tempo così lungo, tutte le opzioni per trovare un'intesa, dei canali di dialogo, delle forme di rapporto, sono state esperite, in un primo tempo con un certo successo, poi con l'avviarsi della situazione su un piano inclinato, dal quale non è stato più possibile ritrarsi, nonostante gli infiniti tentativi fatti per trovare un compromesso accettabile e mantenere un legame di amicizia comunque da me percepito come molto solido. Non a caso, quando ormai il mio ruolo era del tutto residuale, un'ultima "defenestrazione di Praga" (nomen omen...) ha segnato il mio definitivo accantonamento.
      Ci ho messo un po' di tempo, ad accettare un esito del genere, a mio parere del tutto non in linea con l'intensità dell'amicizia che c'era stata, ma ovviamente ho preso atto delle decisioni altrui e, da bravo soggetto fortemente analitico e speculativo, ho cominciato ad interrogarmi su dove - eventualmente - avessi sbagliato.
       Questo personale auto da fé avrebbe potuto risultare più dilacerante di quanto non è stato se non fosse che sono stato aiutato da due lati importanti del mio carattere: in primo luogo, l'inclinazione all'analisi, grazie alla quale sono giunto alla consapevolezza di avere fatto tutto il possibile per salvare un'amicizia che fosse assolutamente tale, dunque proattiva, e non una farsa o un simulacro. Tale acquisizione di consapevolezza mi ha restituito progressivamente serenità: mi ero comportato secondo coscienza e avevo fatto il possibile per delineare un ruolo in cui potessi riconoscermi. Poiché neanche quello andava bene, la rottura - totale - era nei fatti.
        Tuttavia, non è stata soltanto la mia serena coscienza a consentirmi di guardare oltre, ma anche il fatto che, prima o poi, a me viene sempre in soccorso il mio formidabile narcisismo. Ho cominciato infatti a pensare che, nella vicenda, i perdenti erano comunque due, visto che - perdonate la forte autostima - non mi considero proprio un uomo qualunque, da nessun punto di vista. Se non andavo bene, nonostante la mia totale disponibilità al dialogo, beh, non c'era altro da fare che prenderne definitivamente atto.
        Qui, tuttavia, sono cominciati i problemi. Una mia amica psicologa, infatti, mi ha fatto notare che diciotto mesi di rapporto con una donna altamente castrante stavano fortemente condizionando i miei rapporti con l'altro sesso, con il quale non riuscivo ad interagire più, stretto nel timore di un dialogo che potesse svilupparsi con esso condizionato dal mio crescente timore per forme di seduttività che io individuavo sempre più come anticamere di forme di castrazione. In parole povere, avevo assunto un atteggiamento di estrema diffidenza nei confronti dell'intero genere femminile, come se fossi convinto che tutte le sue rappresentanti volessero solo ed esclusivamente prendersi gioco di me, provocarmi pesantemente per poi "mandarmi in bianco", esercizio di autentica Schadenfreude indotta, se posso dire così.
       Ho riflettuto su questo consiglio d'amica, e l'ho trovato corretto. Perché tutte le donne dovrebbero volere il mio male, o semplicemente prendermi in giro? Una non è tutte. Non è che tutti i comportamenti provocanti e seduttivi siano mera civetteria. C'è anche chi è disposta a passare dal dire al fare...
       Così, con le mie ferite ormai in fase di avanzata cicatrizzazione, ho ricominciato a cercare donne vere, provviste di sessualità normale, non programmaticamente ostili al genere maschile e tanto meno desiderose di punirlo. Donne alla ricerca di complementarietà, non dell'elargizione di punizioni al malcapitato di turno.
        Sto riprendendo gioia di vivere e fiducia in me stesso, perché ho finalmente compreso la "traversata del deserto" che ho compiuto. Ormai il pensiero "mia cara, non sai che cosa hai perso" è sempre più presente nella mia mente, insieme alla mia smodata autostima, all'amore per gli abiti, per il superfluo, per la cura di me e del mio fisico.
       La mia parte intellettuale, speculativa e autodistruttiva sta cedendo progressivamente spazio alla mia parte vana, autoreferenziale, narcisistica. Sono passato oltre, e resto psicologicamente uno e trino, come sempre, più che mai. Altri mi sostituiranno. Ne sono certo, e buon per loro! La sfida sui contenuti, sui valori veri di una persona, la vincerò sempre io, alla grande.
                                
                               Piero Visani

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