venerdì 24 maggio 2013

Götterdämmerung

      Nel teatro della vita, le entrées e le uscite finali non sono meno importanti dell'intera rappresentazione, della pièce in sé e per sé, ma ne costituiscono momenti qualificanti - fondamentali, direi - per conferire prestigio all'intera rappresentazione.
       Nelle ultime due compagnie di cui ho fatto parte (di fatto quella attuale non è altro che un ampliamento della precedente, con una struttura più solida e un maggior numero di attori), ho sempre ambito a recitare un ruolo da protagonista, come credo sia naturale per chi tali compagnie ha contribuito a creare. Così, mi sono preoccupato di trovare una primadonna e delle attrici e degli attori di indiscutibile qualità.
       Il ruolo dell'attore non è facile, perché richiede flessibilità, ed è anche molto segmentato, in quanto ci sono i mattatori, le primedonne, i protagonisti, i deuteragonisti, i comprimari, le comparse. I movimenti ascendenti, all'interno di tale segmentazione, non sono facili e richiedono molto impegno; quelli discendenti possono rappresentare un dramma, per chi è costretto a farli.
       Convinto come sono, in base alla nota teoria del sociologo canadese Erving Goffman (1922-1982), che la vita quotidiana sia da intendersi soprattutto come rappresentazione, ho ispirato tutti i miei comportamenti esistenziali alla nobile arte della teatranza, cosa che non so quanto sia realmente compresa da chi mi conosce.
        Per me, la vita è uno straordinario teatro e, ogni giorno, in quel teatro io organizzo la mia rappresentazione, cercando - se possibile - di essere un protagonista.
       Stante la mia età, ho ormai organizzato un certo numero di compagnie e maturato svariate esperienze. La penultima compagnia che ho organizzato, immediatamente precedente a quella con la quale sto lavorando attualmente, era una piccola compagnia a tre, basata su due attori e una splendida primadonna. I ruoli erano chiari e ben definiti, e, fino a quando sono stati interpretati come da copione, tutto è andato avanti abbastanza bene.
        Le cose hanno cominciato a complicarsi quando il capocomico (che era al tempo stesso l'impresario, cioè io) ha compreso nitidamente che il suo ruolo stava scivolando verso quello di mal tollerata comparsa. Certo, il capocomico non era immune da responsabilità: aveva deliberatamente cercato di mescolare vita e teatro, ma lo aveva fatto con estrema naturalezza, in base al fatto che, per lui, non c'era e non c'è alcuna differenza tra vita e rappresentazione della medesima, anzi per lui la seconda è addirittura più "vera" della prima, per cui essere sodali nella seconda può comportare con estrema naturalezza di esserlo anche nella prima. La rigida ripartizione dei ruoli è tipica dei teatrini parrocchiali di provincia, e delle loro morali e moraline da squallidi perbenisti, da borghesi comprensibilmente incapaci di épater innanzi tutto se stessi e contenti del solito tran tran fatto di superficialità e di niente. Arte e vita, per contro, sono una cosa sola, per i grandi artisti, perché per loro la vita è arte, e l'arte è vita, in un assoluto e indivisibile continuum.
        A quel punto, si è reso necessario organizzare un'uscita di scena che fosse all'altezza di un mattatore, non di una comparsa. Le personalità alla Vittorio Gassman, alla Carmelo Bene, non possono uscire di scena con una semplice pedata nelle terga. Non si addice loro. La prendono, per carità, in quanto sono dei gentiluomini. Ma pretendono se possibile di renderne almeno una parte e di fare il tutto nel giusto contesto. La comparsa esce di scena da comparsa. Porta via, senza troppo strepito, la sua figura in fondo residuale. Si accontenta del destino che è stato scelto per lei. Del resto, chi si potrebbe accorgere della scomparsa di una comparsa...?
      Per il mattatore - si sa - le cose si complicano, un po' perché è l'anima della compagnia, un po' perché ridurlo a un ruolo residuale è sempre un'operazione rischiosa.
       A sua volta, egli è ben consapevole che, visto che gli tocca uscire di scena, sia necessario fare in modo che tale uscita sia la più memorabile possibile, che venga ricordata da tutti, protagonisti e comprimari. Così, si organizza di conseguenza, di modo che, nel momento in cui la compagnia si scioglie, egli non sia ricordato come un modesto teatrante, un guitto, un attorucolo qualsiasi, ma come quel mattatore che è stato, è e sarà. Dunque ci vuole un'uscita di scena wagneriana, una Götterdämmerung, un autentico, clamoroso e fantasmagorico "crepuscolo degli dei".
       I comprimari escono di scena da comprimari; raggiungono silenti e modesti il posto che è stato loro assegnato nella "pattumiera della storia" (o "della Storia"...?) e si acconciano decorosi al loro destino di sfigati cronici, quasi contenti dell'amara sorte loro riservata.
       I mattatori hanno invece bisogno di un'uscita di scena che sia all'altezza delle loro innegabili qualità e, poiché pretendono in genere di lasciare memoria di sé, si ricordano, nel mentre salutano con degnazione il loro affezionato pubblico, che il termine che li definisce deriva da quanti ammazzano gli animali nei mattatoi e - poiché di norma sono irritabili, crudelissimi, suscettibili, poco inclini a subire offese e meno inclini ancora al perdono - decidono che le uscite di scena più belle sono quelle in cui colui che esce, se appena può, se ne porta il più possibile dietro con sé, restituisce tutte le piacevolezze di cui è stato fatto oggetto e si preoccupa di lasciare memoria di sé con tutte le arti di cui dispone. Le "brave persone", le comparse della vita, non si ricordano; i mattatori sì. E a loro interessa solo essere ricordati. COME, è assolutamente secondario. L'importante è essere ricordati come grandi e, se non si sarà grandi nell'arte della teatranza, magari lo si sarà nell'arte del "matar". Sempre grandezza è, ed è quello che conta, è la grandezza fine a se stessa che i mattatori amano. E' la grandezza totalmente scissa dalle morali e dalle abitudini borghesi. E' la risposta al quesito: mi volevate attore parametrabile, conforme ai vostri canoni da mezze figure guanose, da soggetti senza immaginazione, né anima, né profondità, né voglia di rischiare? Ecco il mio saluto: un grande, fantastico e possibilmente crudele sberleffo. In qualunque campo, io amo i sentimenti forti. Niente "mezze maniche" sentimentali o comportamentali o sessuali, per me. Sono di altro livello, io. E resterà memoria di me, la memoria di quello che voi chiamate orrore, perché siete consustanzialmente sciocchi, e che invece per me, e per i soggetti come me, è Sublime!
       I mattatori sono soggetti a rischio, ad altissimo rischio, sono attori di primissima classe, poco adatti a colleghi e pubblico amanti di rappresentazioni sceniche di modesta qualità, un po' banalotte. Ci vuole altro, per loro. Non tutti ne sono all'altezza.
 
                             Piero Visani
  
 
 

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