sabato 25 maggio 2013

Spirito decoubertiniano

     Stanotte ho fatto un sogno strano: ero componente del collegio di difesa del comandante di un esercito imprecisato (non riuscivo a individuarne l'uniforme, anche perché mi pareva tutt'altro che regolamentare). La corte che lo giudicava pareva più un tribunale arbitrale che un alta corte di giustizia, ma non riuscivo a capire bene.
      L'oggetto del contendere era se questo generale, a fronte di un'aggressione inopinata da parte di truppe provenienti da un Paese diverso dal suo, avesse reagito con foga eccessiva, per cui gli attaccanti erano stati costretti alla fuga. E ora si lamentavano che fosse stato fatto loro troppo male, e sembravano molto arrabbiati, per questo. Parevano sbigottiti per il risultato ottenuto e in preda a furiosi accessi di collera.
       Il generale si era difeso con veemenza, adducendo le motivazioni profonde del suo comportamento e mettendo bene in evidenza come non fosse stato lui ad attaccare per primo.
       Il dibattito si era trascinato a lungo, in un crescendo di accuse e controaccuse, fino a che non si era arrivati alla sentenza.
        Ricordo che un passo della medesima era stupefacente: "La Corte sente il dovere di ricordare all'accusato che occorre accostarsi a questo tipo di problematiche con spirito decoubertiniano...".
        Spirito decoubertiniano? Ma il barone de Coubertin non era colui che inventò le Olimpiadi moderne e che era solito dire che "l'importante non è vincere, ma partecipare"?
        Trasecolo e mi contorco nel letto: dunque i conflitti moderni dovrebbero essere affrontati e gestiti con spirito sportivo, con spirito olimpico? Ma, in una lotta per la vita, come si fa semplicemente a partecipare, a non lottare per vincere? Non è che così si diventa una predestinata vittima sacrificale? Sì, puoi giocare, ma devi "giocare per perdere"! Se non accetti a priori la sconfitta, sei privo di spirito olimpico, non rispetti le regole, sei cheap!
         Mi illumino di immenso: quello che sto facendo non è un sogno, è un apologo, è una metafora. Una voce interiore che mi dice: "caro Piero, devi ricordarti che, in caso di conflitto con certi soggetti, con dei Natural born good guys, magari con dei membri di razze elette, non devi avere il cattivo gusto di reagire agli attacchi, di colpire a tua volta, di fare male, di lottare per vincere. Questo può dare fastidio agli altri competitors. Tu limitati a partecipare, fai mostra di pazienza e cristiana rassegnazione. Ricordati che, fin da bambini, loro vivono in ambienti dove si deve solo vincere e per loro è più facile, perché le regole le stabiliscono loro. Come hai fatto a non capirlo? Dovevi semplicemente chinare il capo. Al gioco, con una certa degnazione, ti si ammette. Fa molto fine e democratico. Ma non ti sognavi mica di vincerlo, vero? O la tua ingenuità è così enorme? Tu giochi per partecipare, non per vincere. Solo loro giocano per vincere. Ma come hai fatto a dimenticartene? Non vedi il dolore, la rabbia, la furia, l'odio, la stizza che hai provocato reagendo? Loro non capiscono i giochi veri, perché conoscono solo quelli truccati! Suvvia, dai prova di spirito decoubertiniano...!".
        Mi sono svegliato di soprassalto e ho compiuto alcune verifiche. No, resto adeguatamente oggetto di disprezzo e odio. Sospiro di sollievo: "Scusate, purtroppo non mi sono limitato a partecipare. Anzi, dalle reazioni degli altri giocatori, direi che la mia discreta figura l'ho fatta".
         E naturalmente, se è inteso come sopra, se rappresenta la mera partecipazione passiva a una competizione di cui si sanno già preventivamente i vincitori, non mi resta che dire: "Abbasso lo spirito olimpico!!".
 
                                        Piero Visani
 
 
 

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