martedì 7 maggio 2013

The crying game

       E' divertente, nel momento in cui si passa da una fase esistenziale ad un'altra - e puoi constatare che hai avuto la tua sentenza (Live and let die...!) e ti chiedi come si possa amalgamare con alcune inclinazioni caritatevoli (tipo Nessuno resti indietro...: io invece sì...?), salvo trovare immediatamente una risposta alla Jannacci (Vengo anch'io? No, tu no!) - concentrare la tua attenzione su alcune cose che, nel corso della tua vita, ti sono piaciute.
        Ieri sera, ad esempio, mi è capitata tra le mani una copia di The Crying Game (La moglie del soldato, nella versione italiana), film del 1992 di Neil Jordan. Il film mi piacque, all'epoca, soprattutto perché si svolgeva nella prima parte in Irlanda, terra da me amatissima. In realtà, il problema dei Troubles (il contrasto intestino che divide cattolici e protestanti) era più che altro un pretesto per una storia condotta sul filo dell'ambiguità sessuale.
        Io amo tutte le ambiguità, quella sessuale compresa, perché non ritengo che una persona possa essere conculcata a forza all'interno di schemi. In genere si nasce con delle inclinazioni sessuali e ci può essere chi nasce etero e chi omo. Personalmente sono nato eterosessuale, ma questo non vuole dire niente. Non penso, ad esempio, di non avere una componente femminile in me, anzi penso di avercela senz'altro. Non mi sentirei mai attratto sessualmente da un uomo, ma non giudico e lascio tutto al buon gusto degli altri. Non faccio schede o categorizzazioni di appartenenza sessuale e inoltre, a livello mentale, adoro tutte le forme di ambiguità, essenzialmente per una ragione: che l'ambiguità non piace agli economisti, ai ragionieri, ai bancari, agli ingegneri e a varie altre categorie che fanno del manicheismo la loro linea interpretativa esistenziale. A me, per contro, piace la diversità e, se uno è sessualmente "diverso", io lo rispetto a prescindere.
        The Crying Game è un film che tratta questo aspetto con delicatezza e sottolinea le infinite ambiguità presenti nei rapporti umani. Me lo rivedo con attenzione. Sono attento a tutto, sviscero i particolari e rivedo molte volte i film che mi piacciono, per meglio apprezzarne i contenuti e i dettagli.
       Tuttavia, forse la cosa che apprezzo di più de La moglie del soldato è la colonna sonora, a cominciare dal tema principale, un vecchio pezzo cantato in versione moderna da Boy George e intitolato, per l'appunto, The crying game.


        Il film, tuttavia, poiché è giocato, con anima lustig, anche sul tema dell'identità sessuale, reca due altre chicche. La prima è la mitica When a man loves a woman, di Percy Sledge, cantata nella parte iniziale, che si svolge in un luna park di Belfast.


      Qui, per introdurre il tema dell'ambiguità sessuale, un soldato inglese (Forrest Whitaker), viene "agganciato" sessualmente da una militante dell'IRA e trascinato in un agguato. Questo soldato è sposato e, nel corso della sua detenzione da parte dei membri di una cellula dell'Esercito Repubblicano Irlandese, sviluppa una forma di rapporto di amicizia con uno di tali membri, cui racconta spezzoni della sua vita, nella fin troppo facilmente prevedibile ipotesi che la sua sorte sia ormai segnata e che la sua esecuzione sia prossima. Chiede dunque a Fergus (questo il nome del militante dell'IRA), di cercare sua moglie a Londra, dopo la sua morte, e in qualche modo di assisterla.
      E' inutile stare qui a raccontare il film, ma, quando Fergus si reca a Londra e scova infine questa donna, se ne innamora e scopre che, in realtà, ella non è una donna, ma un transessuale. Ciò non muta la sua posizione nei di lui/lei riguardi e il capolavoro dell'ambiguità viene raggiunto, a livello filmico, quando, nel finale, il mitico pezzo di Tammy Wynette, Stand by your man, viene utilizzato dal regista per illustrare una situazione in cui non si capisce chi sia colui o colei che deve, per l'appunto, stand by his (or her) man.


      Amo queste contaminazioni e amo questo film. Esse inducono a riflettere su come la nostra vita sia piena di ambiguità, di identità diverse che si sovrappongono all'interno di ciascuno di noi e invita a capire, molto più che a condannare. Non ci sono regole che possano "normare" i sentimenti. A quello servono le leggi. Il resto è un lungo cammino nel buio, che ciascuno di noi compie nel modo che ritiene giusto. La cultura dell'antichità classica, da questo punto di vista potrebbe renderci molto più aperti, liberi e comprensivi delle assurde sessuofobie cristiane, che hanno gettato su di noi e le nostre vite il primo, grande velo di oscurantismo. Cui ne sono seguiti molti altri, ahinoi!

                                 Piero Visani

Nessun commento:

Posta un commento