giovedì 20 giugno 2013

De amicitia

     Nella mia proverbiale ingenuità, ho sempre pensato che ci fosse una certa differenza tra l'amicizia vera e quella "da Facebook". E ho pure sempre pensato che, tra amici, ci si potesse rivolgere reciprocamente osservazioni, rilievi, financo critiche.
      A me è capitato fin troppo spesso di essere oggetto di rimbrotti, da parte di amici, ma li ho sempre considerati benevoli e amichevoli, intesi a cercare di migliorarmi. Naturalmente, a mia volta ho pensato di potere, da amico, manifestare a mia volta i miei pensieri, le mie riserve, le mie obiezioni.
      Purtroppo, sono figlio di un altro secolo, anzi di un altro millennio e, le rare volte in cui ho osato esprirmere le mie obiezioni, mal me ne incolse.
      Oggi per mia fortuna ho altre cose cui pensare, ergo non solo rimango molto scettico relativamente all'impiego troppo disinvolto della parola "amico", che di fatto svilisce profondamente l'amicizia, ma cerco di circoscrivere il termine amico solo agli uomini. Non ho e non voglio avere "amiche" donne. Ho colleghe, collaboratrici, conoscenti, ma non ho amiche.
        Ho una concezione sacra dell'amicizia e conosco persone con cui sono amico, ma veramente amico, da oltre un quarantennio. Non ho un profilo Facebook, per cui non ho amici che aumentano o diminuiscono ad libitum. Preferisco non fare uso di quella parola inflazionata. Mi resta infatti non chiarissima la dinamica per cui, nel giro di pochi giorni e senza aver ucciso alcuno, si possa passare dall'amicizia "unica, complice e senza infingimenti" alla condizione criminale.
         Mi rifugio allora nella condizione di "Amico fragile", fantastica creazione di Fabrizio de André, non a caso dedicata all'incomunicabilità più totale, anche se mi resta il dubbio se si tratti di incomunicabilità reale o voluta.
 
 
Evaporato in una nuvola rossa
in una delle molte feritoie della notte
con un bisogno d'attenzione e d'amore
troppo "se mi vuoi bene piangi"
per essere corrisposti
valeva la pena divertirvi le serate estive
con un semplicissimo "mi ricordo"
per osservarvi affittare un chilo d'erba
ai contadini in pensione e alle loro donne
e regalare a piene mani oceani
ed altre ed altre onde ai marinai in servizio
fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli
senza rimpiangere la mia credulità
perchè già dalla prima trincea
ero più curioso di voi
ero molto più curioso di voi.
E poi sospeso tra i vostri "come sta"
meravigliato dai luoghi meno comuni e più feroci
tipo "come ti senti, amico fragile
se vuoi potrò occuparmi un'ora al mese di te"
"Lo sai che io ho perduto due figli"
"Signora lei è una donna piuttosto distratta".
E ancora ucciso dalla vostra cortesia
nell'ora in cui un mio sogno
ballerina di seconda fila
agitava per chissà quale avvenire
il suo presente di seni enormi
e il suo cesareo fresco
pensavo è bello che dove finiscono le mia dita
debba in qualche modo incorniciare una chitarra.
E poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci
mi sentivo meno stanco di voi
ero molto meno stanco di voi.
Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta
fino a vederle spalancarsi la bocca.
Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
di parlare ancora male e ad alta voce di me.
Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo
con una scatola di legno che dicesse perderemo.
Potevo chiedervi come si chiama il vostro cane
il mio è un po' di tempo che si chiama Libero.
Potevo assumere un cannibale al giorno
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle.
Potevo attraversare litri e litri di corallo
per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci.
E mai che mi sia venuto in mente
di essere più ubriaco di voi
di essere molto più ubriaco di voi.

 
 
 
 
 
                                             Piero Visani

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