mercoledì 26 giugno 2013

Portare rispetto

       In gioventù, tra il 1962 e il 1965, ho trascorso lunghi periodi in una città del Sud. Attento come sempre alle atmosfere, ai particolari, alle temperie, e spesso in viaggio per accompagnare mio padre in alcuni spostamenti nell'Italia meridionale e in quella regione specifica, ricordo di aver percepito con chiarezza l'importanza del "portare rispetto" e di averlo fatto mio, come valore cui ho sempre tenuto.
       In quegli anni, da quelle parti ci si dava ancora del "voi", e al "tu" si passava solo in presenza di rapporti molto ma molto consolidati. Ma quello che mi impressionò veramente era il rispetto che si portava alle persone.
       Da allora lo porto agli altri e desidero che lo si porti anche a me e, anche se è trascorso mezzo secolo, continuo a non amare il "tu", egalitario e verminoso, falso come Giuda, e i rapporti improntati su quella soave levitas che, per mia personale esperienza, è l'anticamera della sodomia (metaforica), in quanto tende solo ed esclusivamente a farti abbassare le difese.
       Quando non mi si porta rispetto, tendo a irritarmi leggermente e a reagire duramente. E naturalmente, se qualcuno mi manca di rispetto, non mi dispiace farglielo notare, con le buone o le meno buone. Per mia fortuna, il mio modo di presentarmi, di essere e di interloquire non è tale da indurre molti a comportarsi con soverchia disinvoltura nei miei riguardi, ma, se a qualcuno è mai venuto il ghiribizzo di farlo, in genere poi - per dirla alla meridionale - faccio in modo che tornino "imparati". Sono un "omo de panza" - anche se non fisicamente, perché la pancetta la aborro - e come si fa ad ottenere rispetto lo so benissimo. Rispetto vero, magari ispirato da timore, assai diverso da certe finte fratellanze ispirate da interesse. E, nel caso il rispetto venga meno, so bene come fare a riottenerlo, in fretta... Non sarà un viatico di simpatia, non sarò un "compagnone" di quelli da leggiadre esperienze amical-eunucoidi, ma io preferisco essere realmente temuto che fintamente apprezzato.
 
                            Piero Visani

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