mercoledì 24 luglio 2013

Lost Highway

       Capita, più spesso di quanto non si creda, di imboccare un'autostrada che ci pare abituale e conosciuta, per tante volte che l'abbiamo percorsa, ed accorgersi che essa si trasforma, chilometro dopo chilometro, in una Lost Highway, nella strada dei nostri ricordi, nel mentre, sui binari della ferrovia che la fiancheggiano per lunghi tratti, "il treno dei desideri, nei miei pensieri all'incontrario va",  per citare il buon Paolo Conte.
       Il più delle volte ciò accade quando si guida in perfetta solitudine e, dopo un po', neppure ci accorgiamo più se siamo su una strada o se siamo entrati direttamente in un'altra dimensione, quella dimensione, talvolta amara e talvolta consolante, che è frutto del dipanarsi del nostro flusso di pensieri e che, di fatto, trasforma la strada lunga e generalmente rettilinea che stiamo percorrendo in un campo di aviazione, dove la nostra mente come per incanto mette le ali e decolla, in volo verso orizzonti lontanissimi. Quando abbiamo più coraggio, quando ci scopriamo meno paurosi e tellurici, talvolta è proprio la nostra auto a decollare e così riusciamo a trovare, nella "fatal quiete", un possibile rimedio alle angosce che ci squartano.
       Se le due testé citate sono esperienze di silenzio, esiste poi una terza esperienza, anch'essa pluridimensionale, che ci può trascinare ad altri livelli, ed è quella del dialogo. Può infatti accadere che abbiamo un compagno/a di viaggio e che costui sia una persona gradevole, dialettica, simpatica, aperta. Così, con il fluire dei chilometri, le barriere reciproche si abbassano, si scoprono argomenti di comune interesse, si comincia a raccontare e a raccontarsi, il dialogo si infittisce e le rispettive esperienze di vita diventano un metro di misura delle rispettive esistenze, del loro coacervo di gioie e dolori.
      E' quanto mi è successo oggi, nel corso di un lungo viaggio con una persona intelligente e gradevole, con cui non è stato difficile stabilire dei punti di contatto, delle esperienze di vita analoghe, fino a sviluppare dei racconti convergenti.
       In situazioni del genere è facile - se ve ne sono - che emergano le ferite, grandi o piccole, che ciascuno di noi porta dentro di sé e non è raro, quando i protagonisti della conversazione sono due uomini, che si finisca per parlare di donne e delle gioie - poche, pochissime - che esse possono darci e dei dolori - infiniti - che sanno procurarci.
        Circolano luoghi comuni terribili su come gli uomini affronterebbero l'argomento donne, ma sono lontanissimi dal vero e servono a coprire il 5% del totale della conversazione, quello che definirei di tipo sessual-anatomico. Il restante 95% è una storia di dolori infiniti, di portafogli svuotati (e di questo ad alcuni di noi importerebbe anche relativamente poco), di prese in giro macroscopiche, di turlupinature umane e sentimentali, di infingimenti, di ricatti, di "mondi lontanissimi". E ci scopriamo, noi stupidi maschi cui vengono addossate tutte le colpe del mondo, a chiederci che cosa ancora ci spinge, al di là di una pulsione sessuale fortunatamente in via di ridimensionamento, ad interessarci di un universo che ci è così tanto estraneo, ostile, programmaticamente precluso.
       Non abbiamo risposte, visto che ciascuno di noi è più che altro impegnato a lenire le proprie ferite e in genere, prima che la nostra conversazione approdi a qualcosa, finisce fortunatamente l'autostrada. Tuttavia, le rare volte in cui un abbozzo di risposta tenta di emergere, l'interrogativo è quasi sempre il medesimo: forse avremmo fatto meglio a nascere gay, così avremmo risolto inter nos i nostri problemi e, al tempo stesso, saremmo risultati estremamente graditi all'altro sesso, che avrebbe potuto ignorarci in via definitiva, come peraltro ha cominciato a fare da tempo.
       Sono constatazioni che sono frutto - è vero - di vicende personali, ma il dato inquietante è che tutte queste vicende personali si somigliano, sono incredibilmente simili e riguardano tutti quei maschi che non hanno ancora rinunciato alla loro sessualità, e che, a differenza di molti altri, non sono diventati simili al protagonista dello spot di Viakal, quello che si intende soprattutto di detersivi per lavabi, e ne insegna l'uso a due coetanee...! Tipico maschione del nuovo millennio!!
        Siamo consapevoli - come "ultimi maschi" - del fatto che ci si vuole perfettamente eunuchi e che l'intento che presiede a questo disegno non è sociale o culturale, ma lucidamente politico e mira alla devirilizzazione di una cultura e di un mondo. Ma nessuno(a) si faccia illusioni: proprio in quanto "ultimi maschi" e dunque "ultimi guerrieri", sapremo uscire di scena come si confà alla nostra natura. E questo, nel mentre l'autostrada finisce, ci riempie di gioia il cuore: a volte, quella che potrebbe apparire una Lost Highway finisce per portarci in una giusta direzione, per farci capire quello che siamo: Lost Soldiers. Ma ritroveremo la strada, anche perché la strada dell'onore non è difficile, da ritrovare, se uno ha gli attributi per farlo...
 
                           Piero Visani

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