sabato 31 agosto 2013

The Portrait of a Lady - 4

Dal diario di Peter Henry Victor:


Albany, 12 settembre 1880

       Non avrei mai pensato che incontrare, dopo cinque lunghi anni, miss Isabel mi avrebbe così turbato nel profondo. La ricordavo splendida, la sera del ballo a Georgetown, ma dentro di me era presente l'immagine di una giovane di grande bellezza ma ancora acerba, piena di vita ma ingenua e inesperta.
       Oggi ho ritrovato una donna con cinque anni di più, nel pieno del proprio fulgore, matura, arguta, attenta a non perdere una battuta, una singola parola delle nostre conversazioni.
      La proprietà della zia è sita lungo il fiume Hudson ed è una bella dimora, che reca in sé tracce della sua origine olandese, della precedente colonizzazione olandese negli Stati Uniti, che in questa zona ebbe il suo centro.
      La signora Touchett mi ha riservato una splendida stanza con vista sul fiume, ma la mia attenzione si è subito concentrata sulla cara Isabel. Incontrarla nuovamente mi ha toccato nel profondo e ha ravvivato una fiamma che evidentemente, nel mio cuore, non era ancora spenta. La mia attenzione si è concentrata su di lei, ma io ho una missione da compiere, di estrema importanza, e non devo farmi in alcun modo distrarre dalla passione che arde nel mio cuore.
       Certo, Isabel è bellissima, più bella ancora di come la ricordassi, ma devo stare attento a resistere al flusso ininterrotto delle sue domande, alle sue tante curiosità, al suo desiderio di conoscermi. Credo di piacerle non poco, ma devo badare a non compromettere, per amor suo, gli esiti della missione che mi è stata affidata.
       Viaggiare insieme a una signora anziana, e alla nipote, è certamente una splendida copertura, per me, ma il vero problema è che io amo Isabel, la amo dalla prima volta che l'ho vista. Poiché non credo di esserle indifferente, dovrò fare ogni sforzo perché il nostro rapporto, che desidererei sopra ogni cosa sviluppare, non interferisca con l'assolvimento dei compiti che mi sono stati affidati dai miei capi.
        Questa sera sarò ospite della signora Touchett, per la cena, poi domani partiremo per New York City. Dovrò stare molto attento a quello che dirò; poi in viaggio, negli spazi più ristretti di una nave, avrò modo di avere contatti più frequenti e diretti con Isabel.
        Avevo pregato il generale Forrest di esentarmi da questo incarico, ma lui ha ritenuto che la mia fosse la più perfetta delle coperture ed ora eccomi qui, diviso fra dovere e amore, tra una missione da compiere e i miei sentimenti da dichiarare a quella splendida donna.
        Ho già deciso: giocherò la mia partita. Dirò ad Isabel del mio amore e, una volta in Inghilterra, vedrò di portare a termine due missioni, quella pubblica e quella privata. Non posso perdere questa occasione. Sarò fedele alla mia causa, ma conquisterò il cuore di Isabel. La amo troppo e non posso vivere senza lei.
 
(continua)

venerdì 30 agosto 2013

The Portrait of a Lady - 3

     La storia continua, questa volta in forma diaristica.
  

     Dal diario di Isabel Archer:

Albany, 12 settembre 1880.

       Il signor Victor è arrivato stamane, via Washington e Baltimora. Pare abbia fatto parte del viaggio in treno, poi ha proseguito a cavallo. Il suo bagaglio è essenziale, molto ridotto per un imminente viaggio in Europa, trasportato da un solo secondo quadrupede. Circostanza che reputo alquanto singolare.
       Non lo vedevo da circa cinque anni, e posso dire che è molto cambiato: più maturo, più sicuro di sé, senza più quell'aria da bellimbusto "ribelle" che aveva a quel tempo, quando mi venne presentato in occasione di una festa a Georgetown. All'epoca, non era altro che un "Johnny Reb" tardivo e invero patetico, manierato, vestito forse un po' provocatoriamente in una pseudo-uniforme grigia.
       Aveva attirato la mia attenzione per quel suo essere terribilmente demodé, per la sua aria fiera e altera, per i lunghi boccoli che gli ricadevano sulle spalle, per la splendida cortesia delle sue maniere affettate, esageratamente cortesi, da tipico "Southern Cavalier".
       Il suo abbigliamento e la sua parlata lenta e strascicata, da autentico meridionale, non gli avevano certo attirato le simpatie della "buona società" di Washington, ma avevano suscitato la mia attenzione e lui, non so come, forse per un mio sguardo di troppo, se ne era accorto. Tuttavia, non aveva posto in atto alcuna strategia di avvicinamento, ma, molto semplicemente, ad un certo punto mi aveva invitato a ballare. Un po' sorpresa, avevo accettato e avevo dovuto subito riconoscere la sua maestria nella danza.
       Verso la fine della serata, quando l'ambiente si era molto scaldato e il clima era molto allegro, quasi sovreccitato, l'orchestra aveva intonato "Dixie". Ero convinta che quella scelta l'avrebbe entusiasmato e invece notai che si era rabbuiato. La sua conversazione, già non esaltante, si era fatta frammentaria e monosillabica, e quasi subito si era congedato da me con una scusa.
       Non lo vidi più per tutta la sera, ma la mattina dopo, nell'albergo di Washington in cui soggiornavo, ricevetti un suo biglietto in cui si scusava per il suo brusco allontanamento, e si riprometteva di rivedermi al più presto. Rimasi sorpresa, perché non avevamo dialogato granché e gli avevo appena accennato dove risiedessi.
        In realtà, è passato più di un lustro prima del nostro incontro odierno, ma ora egli è qui, nella casa di mia zia, e si appresta ad accompagnarci nel nostro imminente viaggio in Europa.
        Il mio cuore è in tumulto. So poco o nulla di quell'uomo, se non che viene dal South Carolina ed è stato un valoroso combattente confederato, ma mi pare che, dietro il suo sorriso e i suoi modi gentili, egli celi indicibili segreti, che mi sforzo - senza successo - di immaginare. E il suo innegabile fascino mi ha colpito nel profondo fin dalla prima volta che l'ho visto.
        Per cinque lunghi anni il nostro rapporto si è limitato a rare missive, tanto amichevoli quanto superficiali, ma ora egli rientra quasi dal nulla nella mia vita e, nelle settimane a venire, sarà una presenza costante accanto a me. Sono turbata, profondamente turbata. Quell'uomo innegabilmente mi piace, ma percepisco in lui qualcosa che non mi convince, che non mi lascia tranquilla. Tuttavia, l'inquietudine di cui mi ha pervaso accresce la fascinazione che egli esercita su di me.
 
                            Piero Visani
 
(continua)

giovedì 29 agosto 2013

The Portrait of a Lady - 2

    Continuo con la mia storia "parallela", che è cominciata e continua in forma epistolare, ma poi cambierà...


Gentile Mr. Victor,
                                        la Vostra missiva mi ha piacevolmente sorpreso. Indiscrezioni probabilmente partigiane Vi davano coinvolto negli spiacevoli incidenti che hanno turbato alcuni Stati del Sud in questi ultimi anni, per iniziativa dell'ex-generale confederato Nathan Bedford Forrest e di quella strana organizzazione (di cui al momento sinceramente mi sfugge il nome) che costui ha messo in piedi contro i negri e soprattutto - così dicono i giornali - contro il governo federale. Sono felice e al tempo stesso sollevata di apprendere la Vostra estraneità al tutto.
                                           Mia zia ed io saremo liete di averVi come accompagnatore nel nostro imminente viaggio in Europa. Partiremo da New York City il 15 settembre, ma mi permetterei di suggerirVi di raggiungerci ad Albany qualche giorno prima. Mia zia sarebbe infatti lieta di averVi suo ospite e di fare insieme il trasferimento da Albany a New York.
                                            Sono curiosa di conoscere le ragioni che Vi portano a Londra, ma avremo modo di parlarne al Vostro arrivo ad Albany.
                                            Vi chiedo dunque la cortesia di darmi sollecitamente conferma della Vostra  prossima venuta qui.
                                             Nell'attesa di rivederVi presto, Vi saluta la Vostra amica
 
                                                                               Isabel Archer
 
(to be continued)

mercoledì 28 agosto 2013

The Portrait of a Lady

       Un piccolo omaggio a una persona cara. Un abbozzo di storia parallela che si fonde con un'altra, ben più famosa...
 
       "Cara Miss Archer,
                                          ho appreso da comuni amici che Vi apprestate a partire per l'Inghilterra, in compagnia di Vostra zia.
                                          Apprezzo la Vostra decisione di cogliere questa favorevole opportunità per abbandonare temporaneamente il Nuovo Mondo e visitare la Vecchia Europa, da cui tutti noi in fondo proveniamo, dove sono le nostre radici.
                                          Come forse saprete, attualmente risiedo a Richmond, in Virginia, ormai in ripresa costante dopo le distruzioni della Guerra Civile. Tuttavia, sarei molto lieto di poterVi raggiungere ad Albany, prima della Vostra partenza, in quanto una felice coincidenza mi conduce proprio in Inghilterra, per la precisione a Londra, dove ho una serie di contatti da prendere e di affari da sbrigare.
                                           So che Gardencourt, la proprietà di Vostra zia, non è lontana dalla capitale britannica, e sarei molto lieto di poter fare il viaggio con Mrs. Touchett e con Voi, e naturalmente, una volta sul suolo inglese, di poterVi venire a trovare ogni tanto, o nel corso di una delle Vostre visite a Londra, che mi immagino frequenti.
                                           Vi chiedo la cortesia di rispondere con sollecitudine a questa mia, di modo che io possa raggiungerVi rapidamente ad Albany, o direttamente a New York City. I miei bagagli sono già pronti, ma converrete con me che un viaggio con Vostra zia e con Voi sarebbe infinitamente più piacevole di una traversata da solo.
                                           Confido che le mie speranze non saranno deluse e resto in attesa di una Vostra risposta.
                                            Sinceramente Vostro.
 
                                                                                     Peter Henry V.
 
(to be continued)

martedì 27 agosto 2013

Essi vivono...?

      Nella "virtualità reale", tutti noi crediamo di essere vivi e invece - ahinoi! - siamo morti. La nostra condizione non è neppure assimilabile a quella di Truman Burbank, nel film "The Truman Show" di Peter Weir, in quanto Truman IGNORA di essere protagonista di uno spettacolo televisivo, mentre noi CREDIAMO di essere vivi e siamo già morti, siamo proiezioni olografiche di noi stessi a grandezza naturale, immerse in una virtualità reale in cui siamo utilizzati come comparse, non come protagonisti, deuteragonisti o tritagonisti. Semplici comparse, figuranti, gente (virtualmente defunta) che serve a fare numero. I più accorti e intelligenti di noi, come "Neo" in "Matrix" (film dei fratelli Wachowski), hanno capito di essere immersi in una matrice e cercano disperatamente di uscirne, ma non è facile, non è per niente facile.
      Racconti ai tuoi simili che gran parte di quello che vedono e leggono NON è vero e ti guardano come se fossi un alieno (tu, non loro...!). Gli racconti in dettaglio le "costruzioni di realtà" che vengono quotidianamente operate per presentare loro un quadro il più possibile distorto e ti guardano come se fossi pazzo (tu, non loro...!). Gli spieghi che gli Stati Uniti hanno tanto impatto metapolitico, nel loro modo di presentarsi al mondo, perché, fin dalle loro origini, più che AVERE una storia, SONO essi stessi una storia, cioè sono la più gigantesca operazione di "storytelling" mai tentata (e riuscita...), e ti guardano come se fossi uscito da un manicomio ("ancora tu, ma non dovevamo vederci più...?").
      Allora pazientemente gli spieghi che non sei solo tu un visionario. Lo sono anche loro. Visionari e pure creduloni, visto che credono passivamente a chi gli dice che versare tutti i soldi di una nazione a uno Stato diretto da Dracula il Vampiro e i suoi accoliti possa migliorare il debito pubblico, che invece continua a crescere a ritmo sostenuto. Dracula ci succhia il sangue e, naturalmente, il nostro sangue non gli basta mai, perché non lo usa per il bene comune, ma per sé, per soddisfare le sue esigenze, sempre crescenti, sempre insoddisfatte, mai soddisfabili, perché lui vuole solo le nostre vite e i nostri soldi. Del nostro bene non gli può fregare di meno...
     A quel punto, forse l' "utile idiota" ancora non ti crederà, ma il passo successivo è d'obbligo: mio caro amico, chi vive in una "virtualità reale", tu o io: io che non credo a nulla di ciò che vedo e dubito di tutto, o tu, tu che credi a tutto e che, in quel modo, stai rovinando la vita di tutti noi, con la tua credulità?
       Chi è immerso in una "matrice"? Sei davvero sicuro di essere ancora vivo? Suvvia, non ci resta che risorgere, e non è per niente semplice, credimi... Non siamo "Lazzari" e il problema della resurrezione, nella "virtualità reale", è ancora tutto da affrontare e risolvere... Da spirito laicissimo, quale sono, dico: "Alziamoci e camminiamo", ma, se qualcuno ha un Messia, o anche un semplice pifferaio di Hamelin, si faccia pure avanti, ormai va bene tutto, pur di dimostrare che "essi (cioè noi) vivono..."
 
                       Piero Visani

venerdì 23 agosto 2013

Isbuschenskij

      Esattamente 71 anni fa domani, la mattina del 24 agosto 1942, il reggimento "Savoia Cavalleria" si rese protagonista, a Isbuschenskij, in Unione Sovietica, dell'ultima carica di cavalleria della storia (in verità, l'ultima fu quella di Poloj, condotta il 17 ottobre dello stesso anno dai "Cavalleggeri di Alessandria" contro reparti partigiani titini, ma, proprio perché condotta contro forze irregolari, gode di una considerazione diversa, legittimo o meno che sia tale atteggiamento).
     A Isbuschenskij, ben due squadroni del reggimento vennero impegnati in diverse cariche. L'azione si concluse in un successo, al prezzo di 32 morti e 52 feriti.
     L'evento è passato in pompa magna in tutti gli annali della storia militare ed è giusto ricordarlo, soprattutto per coloro che seppero compiere, con grande senso del dovere, un'azione così anacronistica. Nel ricordarlo, e nel tributare loro il più doveroso degli omaggi, non possiamo cancellare la tristezza di aver affrontato in condizioni di questo genere una guerra assolutamente rivoluzionaria come il secondo conflitto mondiale, privi di armi, di mezzi, di una dottrina operativa degna di questo nome, di comandi all'altezza della situazione e talvolta anche pieni di traditori...
     Come sempre nella storia italiana, l'eroismo di pochi dovette cercare di supplire al fallimento del sistema statale, al fallimento di un regime che aveva parlato tanto di guerra, ma non l'aveva preparata adeguatamente, alla differenza enorme che sempre sussiste tra la retorica e la realtà.
     Il ricordo di coloro che, chiamati dalle circostanze a compiere un atto anacronistico come una carica di cavalleria contro un nemico armato di armi automatiche, di mitragliatrici e di cannoni, fa venire in mente la carica dei 600, a Balaclava, in Crimea, con la non piccola differenza che in quel caso correva l'anno 1854, e che già allora le cariche di cavalleria stavano diventando alquanto rare. Dunque è giusto tributare agli uomini del "Savoia Cavalleria" gli onori che si devono ai combattenti eroici, ma sarebbe giusto altresì interrogarci sul perché, quando ci sono di mezzo lo Stato e le sue istituzioni, l'Italia debba fare sempre riferimento al valore dei singoli e alla capacità individuale di "arrangiarsi", e non a quello che oggi si chiamerebbe "il sistema-Paese".
     Compito dello storico militare è ricordare gli eventi. Compito di ciascuno di noi è cercare di evitare che i singoli siano chiamati a sopperire, talvolta con la vita, alle macroscopiche insufficienze della nostra struttura statale, al suo essere sempre indietro sui tempi, le esigenze, le situazioni, gli obiettivi. Una carica di cavalleria nel 1942 è uno straordinario atto di eroismo per chi la condusse. Un terrificante atto di accusa per chi la rese possibile, salvo poi cercare, il successivo 8 settembre 1943, una comoda fuga tra le braccia degli Alleati. Il "Savoia Cavalleria" caricò in avanti; la classe dirigente dell'epoca, come quelle che l'avevano preceduta e quelle che seguirono, all'indietro... C'è tutta la storia d'Italia, in questa dinamica inversa.
                                               Piero Visani



martedì 20 agosto 2013

Marie Joséphine Rose Tascher de la Pagerie - 2

Ci sono donne castranti (tante, troppe direi). Donne il cui unico obiettivo pare quello di far soffrire gli uomini, che intimamente devono odiare profondamente, per sottoporli a tale trattamento. E ci sono invece donne che sembrano nate per fare la gioia degli uomini, con i loro vezzi, la loro esasperata femminilità, la loro chiara consapevolezza dell'enormità, in ogni tempo e luogo, del pussy power. Non che anche queste ultime non facciano soffrire, ma chi le corteggia sa che, in caso di successo, avrà un'adeguata ricompensa... E non sono neppure e necessariamente - come vuole certa agiografia femminista e omosessuale - delle sciocche puttanelle che hanno una redditività solo "localizzata", cioè a letto.
Sono donne che sanno farsi amare, che sono "dispensatrici di amore", condizione che - intesa correttamente e non volgarmente - è in verità la sublimazione della condizione femminile di ogni tempo, poiché consente alla donna di esercitare il proprio potere supremo, quello consolatorio, senza peraltro inibirle la possibilità di fare - e in maniera eccellente - qualsiasi altra cosa. Ma resta quel "tocco in più" senza il quale il mondo sarebbe un luogo ben triste, popolato solo di virago o di civette che promettono ma non mantengono.
E' questo il caso di Marie Joséphine Rose Tascher de la Pagerie, bella e soprattutto sensualissima creola nata nel 1763 in Martinica, da una famiglia di piccola nobiltà terriera e andata in sposa, nel 1779, al visconte Alexandre de Beauharnais.
Perso il marito nel turbine rivoluzionario, la bella Joséphine - donna che i suoi numerosi amanti descrivono come ardentemente sensuale - divenne in breve l'amante di Paul Barras, una delle figure dominanti del periodo rivoluzionario e, quando costui decise di liberarsene, la spinse tra le braccia di un giovane militare emergente, il generale Napoleone Buonaparte.
Molto si è scritto del matrimonio e della burrascosa relazione tra i due. I dati permanenti che emergono è che entrambi fossero molto amanti della vita e che nessuno dei due rinunziasse a un nutrito stuolo di relazioni extraconiugali. Tuttavia, il legame personale tra i due rimase sempre solidissimo.
Tra i meriti della Rivoluzione Francese, occorre indubbiamente annoverare un mutamento dei costumi che deve essere visto, per quanto possibile, con occhi non intrisi di sessuofobia. Dopo le nefandezze del periodo del Terrore, era normale che la joie de vivre si impadronisse di tutti e portasse a un allentamento dei comportamenti individuali, ma faccio fatica ad adottare il termine "allentamento", in quanto, se a livello di comportamenti sessuali gli umani seguissero la biologia, e non la religione o la sociologia, la vita di tutti noi sarebbe infinitamente più libera, più serena e meno complicata. Quando ci libereremo da ideologie e da religioni che passano attraverso i genitali (e questo, in una certa maniera, serve anche a qualificarne il livello oggettivo - delle ideologie e delle religioni, intendo, non dei genitali...), faremo un gigantesco passo avanti, anche se temo che quel momento sia ancora lontano.
Anche dopo che, nel 1809, Napoleone, divenuto imperatore nel 1804, fu costretto a ripudiarla e a risposarsi con Maria Luisa d'Austria per garantirsi, per ragioni dinastiche, una discendenza, i suoi rapporti con la ex-consorte continuarono ad essere buoni, poiché il vincolo che li legava era solido e andava al di là delle vicissitudini della vita.
Alla sua morte, avvenuta - probabilmente per una polmonite - nel maggio 1814, quando Napoleone era stato costretto all'esilio all'isola d'Elba, egli non volle vedere nessuno per due giorni, travolto da un profondo dolore. Probabilmente Joséphine, più ancora di Maria Walewska, fu il grande amore della sua vita.
Donna abile, scaltra, di bassa statura, ma incredibilmente seduttiva e sensuale, Joséphine Beauharnais è una di quelle figure femminili che piacciono molto agli uomini. Non una "dark lady", perfetta sintesi di Eros e Thanatos, ma un soggetto capace di mettere gli uomini ai propri piedi grazie alle sue arti seduttive e sensuali. Un modello probabilmente superato dall'evoluzione dei tempi, ma che i maschi, alla prese con un altro sesso ormai completamente autoreferenziale, talvolta non possono fare a meno di rimpiangere.

                                              Piero Visani

venerdì 16 agosto 2013

Stimoli della mente e del cuore

       Sto attraversando una fase di grande creatività e scrivo a getto continuo. Temevo che alcuni atteggiamenti ostili e ostativi mi potessero danneggiare, rinchiudendomi nel campo delle recriminazioni fini a se stesse, ma, per una serie di circostanze tanto fortuite quanto fortunate, il mio flusso emotivo non solo non si è interrotto, ma si è arricchito.
       Vengo da una lunghissima fase di comunicazione unilaterale, di monologhi, di tentativi - falliti - di riaprire un dialogo. Il caso ha voluto che trovassi finalmente una voce, una voce che sa parlare e sa ascoltare, e la cosa ha avuto su di me un effetto positivo, quasi elettrizzante.
       Già adrenalinico di natura, oggi mi sento ancora più tale e la mia mente corre, corre più veloce che mai, traversa temi e situazioni, e trova nello scrivere non un rifugio, com'è successo negli ultimi 13-14 mesi, ma un territorio sconosciuto da esplorare e fecondare.
      Non conto nemmeno più le pagine che scrivo in un giorno, tanto sono numerose. Ma sono felice, intimamente placato. Esco da un periodo di trattamenti piuttosto sgradevoli, ma da un lato credo di averne comprese le cause e, dall'altro, ho superato il rancore, il risentimento e l'ostilità. Se una persona ti disprezza, ti è ostile e si chiude con te in un perenne mutismo, giusto fare qualche tentativo per indurla al dialogo, poi è meglio lasciar perdere. Non si può essere apprezzati da tutti. Si prende atto di tale ostilità e si guarda altrove.
       E' quello che sto facendo, a tutti i livelli, dal personale al professionale, con una lucidità mentale ed emotiva che non mi riconoscevo da tempo. Un dionisiaco non deve mai commettere il tragico errore di farsi trascinare lungo percorsi di "non vita": la recriminazione, la rinuncia, il rifiuto. Deve sempre "andare oltre", sapendo che il domani appartiene a chi è in sintonia con te, non a chi ti manifesta un sordo rancore.
       Come sempre, più di sempre, "vado" - d'annunzianamente - "verso la vita".

                        Piero Visani

giovedì 15 agosto 2013

La punition

       Quando un individuo ha una personalità ad alto profilo, un carattere con qualche spigolo e una scarsa inclinazione a piegare la testa, è possibile che faccia scattare in qualcuno/a che soffre di complessi di inferiorità nei di lui confronti, oppure si sente in soggezione per ragioni di età/prestigio/carattere, o intellettualmente meno preparato/a, un larvato o nemmeno troppo larvato desiderio di punizione, il cui intrinseco vigore aumenta con il crescere di tale sentimento di inadeguatezza. E la cosa si fa ancor più grave quando una relazione di questo genere si stabilisce tra due persone di sesso diverso e magari chi si sente inadeguato è pure afflitto da problemi di identità sessuale, per cui il rapporto diventa altresì una nitida cartina di tornasole di altre questioni irrisolte, a livello di identità di genere.
      A quel punto, qualsiasi pretesto è buono per far scattare il meccanismo della punizione, in quanto esso rappresenta una potente attestazione di una logica di Odi et amo: ti odio per quel che sei, per come sei, per come metti a nudo (non all'esterno, ma dentro di me) tutte le mie contraddizioni, ma in realtà tutto questo odio non è altro che una forma mal espressa e contorta di amore, perché in realtà ti amo, ma, per arrivare a te, dovrei cambiare me e ho paura, una terribile paura a fare i conti - tutti i conti... - con me stessa.
     In passato, ho cercato di gestire una situazione del genere, ma la cosa è possibile solo in una condizione di dialogo. Se il dialogo viene a cessare, allora il rapporto si trasformerà in una serie di urti e scontri continui, perché tutto diventera un pretesto per tenerti lontano. Lontano perché non sei insopportabile in sé, ma per le dinamiche che inneschi. E la verità - si sa - è sempre rivoluzionaria. Allora, per proteggersi, per non fare i conti con se stessa, scatta la punizione... Ma non sei tu a essere punito. Quella non è flagellazione dell'altro, è autoflagellazione, sommata a incapacità totale di giudicarla come tale, o di confessarla in primo luogo a sé medesimi...
 
                            Piero Visani

martedì 13 agosto 2013

Dalla realtà virtuale alla virtualità reale

     Si parla tanto, troppo, di "realtà virtuale". Così facendo, si fa riferimento a un concetto che è aggiornato quanto un semplice telefono cellurare rispetto a uno smartphone o a un tablet. La "realtà virtuale", infatti, da tempo ha ceduto il posto alla "virtualità reale", che è qualcosa di molto più artificioso e complesso.
      Se noi parliamo di "realtà virtuale", ci viene naturale pensare a una realtà con componenti virtuali. Se accettiamo questa prospettiva, allora dobbiamo subito renderci conto che la "virtualità reale" è qualcosa di radicalmente diverso, anzi antitetico. E' una dimensione "virtuale" che - grazie alla sua sovrarappresentazione e alla sua narrazione prima e metanarrazione poi - diventa reale, con tutte le conseguenze del caso.
      Per non rimanere nel vago, facciamo un esempio ormai classico, quello delle "primavere arabe". Quanto di quello che si vedeva sui media, nuovi o vecchi che fossero, stava realmente accadendo sull'altra riva del Mediterraneo, e quanto non veniva invece prodotto in studi appositamente attrezzati e poi, una volta diffuso in varie forme, diventava "reale" nonostante fosse originariamente "virtuale"?
      La chiave di tutto è lo storytelling: prendete una storia, dotata di forte potere empatico, di capacità di attrazione; raccontatela bene, diffondetela con i giusti strumenti per i giusti canali, et voilà: il gioco è fatto! Diventa non solo reale, ma più reale del reale. Questa è la virtualità reale.
      Ne siamo pieni, ne siamo saturi, e i nuovi media hanno accentuato in misura esponenziale tale aspetto, consentendo non solo a metanarrazione e narrazione di procedere di pari passo, ma consentendo altresì che la narrazione sia essa stessa una metanarrazione. Se così è, allora potremmo tutti trovarci chiusi all'interno di una "Matrice" di cui non conosciamo l'esistenza, essere TUTTI protagonisti di un colossale "Truman Show", senza avere minimamente la possibilità di scoprirlo, o di raccontarcelo, perché noi non lo sappiamo e chi lo sa si guarda bene dal dircelo...
      Su versanti più specifici, questo dilata enormemente le possibilità della "strategia mediatica", argomento sul quale scrissi un libro nell'ormai lontano 1998 (Lo stratega mediatico, Cemiss - Edizioni della Rivista Militare, Roma). Certo, da allora tutto è cambiato sotto il profilo degli strumenti tecnici disponibili, che si sono fatti molto più complessi e sofisticati, ma la ratio di fondo rimane la medesima, vale a dire utilizzare i media come strumento strategico, per di più sub-liminale, con effetti di distorsione della realtà e di persuasione dei destinatari della comunicazione che è riduttivo definire devastanti.
       Il problema è che oggi tale capacità non è ancora percepita nitidamente da tutti. Vorrei utilizzare il mio blog, nel prossimo futuro, anche per analizzare a fondo questo argomento. Dobbiamo infatti evitare di sprofondare in una Matrice, e purtroppo ci siamo già abbondantemente dentro, spesso inconsapevolmente.
                                         Piero Visani




martedì 6 agosto 2013

Kamikaze

      Inevitabilmente, nella giornata in cui si ricorda il 68° anniversario del lancio della prima bomba atomica, un pensiero riverente non può che andare ai kamikaze, a quel "vento divino" che, impersonato da uomini in carne ed ossa, dimostrò dove si può arrivare, se si ha una autentica etica guerriera.
      Mi disturba moltissimo sentire chiamare talvolta dei "combattenti non convenzionali", quali che siano le cause per cui si battono, come dei "Kamikaze", in quanto questo, nella vena riduzionistica ed omologatrice tipica dei media occidentali, intende ovviamente fare di tutta un'erba un fascio, dimenticando che i "kamikaze" erano militari in uniforme, combattenti di una guerra regolare, che era rivoluzionaria solo in quanto andava "oltre le regole", nel segno - questo sì - del tutto opposto alla logica occidentale della "guerra a zero morti" o "post-eroica" di luttwakiana memoria. Nel segno, semmai, di "tutti morti, purché non disonorati o vinti".
      Non a caso, coloro i quali hanno scelto consapevolmente la via dell'onore hanno certo segnato con il loro sangue la Storia, ma ancora di più hanno segnato la Memoria, e vivono a tut'oggi nel Mito, vale a dire in quella dimensione in cui avevano scelto deliberatamente di collocarsi.
      Credo che, nella giornata odierna, un pensiero vada anche a loro, alla loro capacità di "andare oltre la morte". Chiunque abbia visto "L'impero del sole", di Steven Spielberg, sa che essi vivono ancora oggi, perfino nella memoria occidentale, dunque sono andati oltre la morte.

                         Piero Visani








                     

Non rinnegare, non restaurare

      Quando si compie un'impresa difficile, anche se non impossibile, il primo fattore che si impone è una grande soddisfazione per l'obiettivo conseguito. E tale soddisfazione per qualche giorno si impone come elemento dominante.
       Poi, quando si ritorna alla normalità, il dubbio che ci assale è vedere che certe situazioni tendono a ripetersi, come pure certi comportamenti, per cui, mentre da un lato l'amor proprio può dirsi soddisfatto, dall'altro ci assale il dubbio di aver compiuto non un salto in avanti, ma uno all'indietro, di essere cioè tornati back to square one, con il rischio di dover ricominciare a riprendere un itinerario che credevamo compiuto.
      Che fare? Direi attenersi a un famoso imperativo: "Non rinnegare, non restaurare". Nel senso di non rinnegare tutti gli sforzi compiuti per avere successo, per riaprire un dialogo da me considerato indubbiamente importante. Non restaurare una situazione che si era già rivelata fallimentare e che, se riproposta esattamente come prima, nuovamente fallimentare si rivelerà.
        Dunque wait and see. Non intendo fare altro.
 
                                 Piero Visani

lunedì 5 agosto 2013

Grande, grande...

     Ho una cara (per quanto mi riguarda, carissima) amica la quale, per ragioni imperscrutabili, ritiene che, quando io la colmo (colmavo) di lodi, lo facessi per piaggeria, captatio benevolentiae, interessi personali più o meno confessabili, etc. etc.
     Niente di più falso. Chiunque mi conosca appena un po' sa che sono di carattere ruvido e che sono molto più bravo a farmi nemici che amici. Diciamo che a farmi nemici eccello...
     Dunque che dire? Io l'ho sempre lodata per ragioni vere. Vedevo che scriveva bene, con un vocabolario molto ricco e una capacità di osservazione straordinaria, quasi fotografica. Una sensibilità notevole, squisitamente femminile, ma al tempo stesso ricca di colorazioni profonde, scaturenti da un animo non comune, dotato di forte percettività.
       Talvolta posso averle rimproverato di nascondere tutto questo dietro una maschera, una maschera sociale e borghese, mentre io ho sempre cercato di fare il maieuta nei di lei confronti, di far scaturire tutta la ricchezza presente nella sua intima essenza.
       Ho cercato di conoscere, di lei, quei lati che interessavano realmente a me, e credo di essermi dimostrato capace di calarmi abbastanza in profondità nel suo animo. Il tutto non certo per banali interessi maschili. Non sono un santo, sono un dichiarato dionisiaco, ma sono un dionisiaco dialettico e cerco l'uomo (la donna) là dove mi può offrire il meglio di sé. La nostra evidente affinità elettiva a me appare talmente forte da risultare incontrovertibile.
        Non pare che il mio pensiero sia in toto condiviso, ma io non ho più molte soluzioni cui fare ricorso. Mi sono fatto piccolo e grande al tempo stesso. Ho dato prova di umiltà, di dilatato senso del tempo, di grande disponibilità dialettica. Ovviamente al tempo stesso resto una personalità ad alto profilo, e come potrebbe essere diversamente?
        Ma non è di me che intendo parlare. Vorrei solo dire che, da bravo maieuta quale sono, quando vedo un talento cerco di aiutarlo a venire alla luce. Davvero, nel farlo, sono così nutrito di arrière-pensées? E, se anche lo fossi, davvero non so fin dove arrivare e dove fermarmi? Tutto il tempo e tutte le attenzioni che le ho dedicato derivano davvero solo da "amor profano" e non da "amor sacro", da personale stupore per una grande intelligenza e sensibilità? Nessuno ci crederebbe. Mi auguro che non resti solo questa mia amica a crederlo. Siamo due "diversi", perché negarci a vicenda? E' puro autolesionismo.
 
                   Piero Visani
  

Ecce Homo

     Sono reduce da una rilettura estiva di questo sconvolgente saggio di Friedrich Nietzsche e, se posso dire che è un filosofo che amo profondamente fin dai miei 14 anni, ora vorrei ribadire che lo amo ancor di più. Anch'io mi sto raccontando, da tempo, "come si diventa ciò che si è" e, anche se molti mi criticano per presunti eccessi di egocentrismo, in realtà, mentre mi affermo, io mi sto negando e - più spesso di quanto non appaia - anche prendendo in giro...
        Appunto nella prefazione di "Ecce homo" Nietzsche scrive: "mi pare indispensabile dire chi sono. [...] Io non sono affatto un orco, un mostro di immoralità: sono il contrario di quella specie d'uomo che finora é stata onorata come virtuosa.[...] Sono un discepolo del filosofo Dioniso, preferirei essere un satiro piuttosto che un santo. [...] L'ultima cosa che io mi sognerei di promettere sarebbe di migliorare l'umanità. Io non innalzo nuovi idoli; gli antichi forse potrebbero imparare da me che cosa significhi avere i piedi d'argilla. Rovesciare gli idoli- così io chiamo gli ideali- ecco il mio compito.[...] Chi sa respirare l'aria che circola nei miei scritti, sa che é l'aria delle grandi altezze, che é un'aria fine. [...] La filosofia nel senso in cui finora l'ho interpretata e vissuta io, é libera vita tra i ghiacci, in alta montagna, é la ricerca di tutto ciò che vi é di strano e di enigmatico nell'esistenza, di tutto ciò che finora era inibito dalla morale".
       Anch'io, fin da ragazzino, ho sempre preferito essere un satiro piuttosto che un santo, ma non per satiriasi (quella mi è venuta da anziano...), bensì per volontà di scovare, nell'esistenza, tutto ciò che è stato sempre inibito dalla morale, nonché tutto ciò che "vi è di strano e di enigmatico". Solo quello cerco, molto spesso da solo, perché i coraggiosi o le coraggiose non abbondano, a questo mondo, mentre i perbenisti sì.
       Questa mia estate, così diversa da altre, è un'estate più che mai di lavoro, nel bel mezzo di tentativi di sviluppare opportunità interessanti. Ma non sono solo questioni di lavoro, anche il fronte personale è in movimento. Sono proiettato terribilmente all'esterno, alla ricerca di sbocchi di ogni tipo, siano essi intellettuali, emotivi, relazionali, sessuali. E' un'estate dionisiaca nel senso più pieno del termine e la amo profondamente per questo. Saltabecco da una situazione a un'altra portando dietro tutto me stesso e la mia esasperata intellettualità e, quando essa non basta o non mi soddisfa, faccio ricorso alle mie capacità di seduzione e alla mia naturale eleganza.
       Vengo da un anno difficile, pieno di riflessioni su me stesso, ma ne esco animato da una nuova forza interiore, una sorta di propulsore interno che mi rende più vitale che mai. Non sono mai stato animato da una voglia di vita superiore a quella che nutro oggi. E, come sempre, non veleggio sopra la vita, ma ci affondo dentro, con le mie carni, le mie viscere, il mio esplosivo intelletto, la mia devastante personalità. E, quando trovo qualche compagna all'altezza, ne sono lieto.
     Non sono facili, oggi, i miei rapporti con le donne. Trovo fastidiosissimo il modo - direi da riviste femminili mal lette e peggio recepite - con cui approcciano il maschio, quell'orango mononeuronico cui dedicare tutto il loro disprezzo. Detesto queste generalizzazioni: non tutti i maschi sono oranghi, non tutte le donne sono galline. Mi sforzo di "gettare ponti", "ponti di genere". Non ho molto successo, nel farlo, ma ci provo. Cerco di avvicinare diversità, di creare dialogo. Non ho niente da imporre, tanto meno me stesso. Mi piace infinitamente dialogare. Il fatto è che, a volte, questo mio desiderio di dialogo si scontra con "un oceano di silenzio". Me ne dolgo, ma insisto. Non sono mai stato un "maschio alfa", anche se talvolta mi accusano di esserlo. Sono un soggetto molto cerebrale, che cerca donne sensibili e cerebrali. Ce ne sono? Sì, ce ne sono, anche se non è facile rapportarsi con loro. Ma io amo le "vie delle vette" e le percorro, giorno dopo giorno.
 
                      Piero Visani

domenica 4 agosto 2013

The Aliens

      Un giovane amico e partner professionale, oltre che brillante avvocato e studioso di diritto, nel dichiararsi attento e appassionato lettore - bontà sua! - del mio blog, prende lo spunto dal post "Il grande, il non convenzionale e il non noto", per segnalarmi una splendida poesia di Charles Bukowski, intitolata The Aliens.
      Con arguzie, mi fa notare che, se mi sento un alieno, non posso non condividerla e, al tempo stesso, afferma di condividerla spesso anche lui. Leggiamola insieme:
 
The Aliens




you may not believe it
but there are people
who go through life with
very little
friction or
distress.
they dress well, eat
well, sleep well.
they are contented with
their family
life.
they have moments of
grief
but all in all
they are undisturbed 
and often feel
very good.
and when they die
it is an easy
death, usually in their
sleep.
you may not believe 
it 
but such people do
exist. 
but I am not one of
them.
oh no, I am not one
of them,
I am not even near
to being
one of 
them 
but they are
there 
and I am 
here. 

 
 Sì, caro Riccardo, condivido quello che Bukowski scrive, anche se io lo vedo in forma decisamente meno anodina: non solo sono estraneo a costoro, sono ostile a costoro. Comunque sì, viviamo sotto lo stesso cielo. Loro ci ignorano e ci disprezzano. Io ignoro e disprezzo loro. Non li considero alieni, li considero assolutamente superflui; sono loro che considerano "alieno" me. Avrei ambito ad essere solo "diverso", ma, dal momento che sono pure "politicamente scorretto" e ho un forte senso del tragico, loro, che sono in genere beati possidentes, non mi perdonano né l'uno né l'altro: il primo perché ha un costo, e loro sono consustanzialmente avari; il secondo perché per loro la vita, su cui navigano tranquilli e sereni, è sostanzialmente gioco, mentre per me è guerra. Grazie di avermelo ricordato.
 
            Piero Visani
 
                  
 
 
 

Il grande, il non convenzionale e il non noto

       Una cara amica, donna di rara intelligenza e sensibilità, mi scrive, dopo avermi confessato di "sentirsi grande", queste stupende parole: "ma devo sentirmi piccola per sapermi grande: [per] confrontarmi con il non convenzionale e [il] non noto".
        Conoscendola, apprezzo la sincerità e al tempo stesso la veridicità di queste sue affermazioni. Per essere grande, è grande, anzi grandissima. E cosippure è capace di confrontarsi con il non convenzionale e il non noto. Direi che sono le sue peculiarità migliori, quelle che la rendono eccellentissima, non solo ai miei occhi, ma a quelli di chi la conosce.
       Nutro un solo dubbio, di natura empirico-esperienziale: anch'io l'ho invitata a tale confronto, a confrontarsi con me, che sono quanto di più non convenzionale e non noto possa esistere. Non ho avuto la stessa fortuna che il resto del mondo, ma forse è stato tutto frutto di un nostro diverso senso del tempo. Ora ho provveduto a dilatare ampiamente il mio, di senso del tempo, e sono qua, senza aspettative di alcun genere, se non quella, per l'appunto, di riuscire finalmente a pervenire, con lei, a un confronto tra DUE non convenzionali e non noti. Che è cosa splendida e intrigante, a ben guardare.
       Ce la faremo? Non lo so, non dipende da me. Io sono sempre stato non convenzionale e non noto. Lo sarò ancora di più. Un anno di tempo mi ha profondamente cambiato. Per usare una metafora marinara, prima ero una brown water Navy, sia pure intrisa di ambizioni e qualche velleità. Ora, invece, sono una blue water Navy, sicura di sé e della propria forza. Si dice talvolta che "ognuno è quel che è". E se io fossi un mutante? Inoltre, non sono mai stato un "diverso", ma sempre un "alieno". E questo forse fa sempre un po' paura. Ma io sono certo, certissimo, che chi è già "diverso" e non ha paura di esserlo, anzi ama "confrontarsi con il non convenzionale e il non noto", sia in grado di compiere almeno un'escursione in partibus infidelium, tra gli "alieni". Non foss'altro che per curiosità, per constatare che, quando i "diversi" lo risultano troppo, a questo mondo vengono bollati come "alieni". Ma tali non sono, sono semplicemente impegnati a "gettare semi nel vento, nella speranza/certezza di far fiorire il cielo". E il loro cuore è come quel cielo, perennemente in fiore. Basta aver voglia di indagare un po', di portare la propria "diversità" fino in fondo.
       In ogni caso, io amo le sfide e i confronti con il "non convenzionale e il non noto". Sono pronto.

                            Piero Visani

sabato 3 agosto 2013

Summertime

      L'aria sulla collina torinese, in questo primo sabato d'agosto, è satura di umidità, densa, immobile. Impegni pressanti di lavoro mi trattengono a casa e ne sono assolutamente lieto. Odio il concetto di vacanza, inteso come assenza. Amo la vacanza come "percorso di formazione", itinerario del corpo e più ancora dell'anima, esplorazione, conoscenza, tentativo di proiezione della mia finitezza verso l'infinito.
       Tra poco andrò a giocare a tennis con mio figlio, piccola distrazione settimanale che, a queste temperature, diventa una specie di addestramento militare. Questo accresce il mio desiderio di giocare. Qualunque cosa mi ponga una sfida, amo affrontarla. Dirò dopo, quando sarò "andato oltre", se mi è piaciuta o meno, oppure, se nessuno me lo chiederà, mi atterrò a un mio principio classico, che amo molto, quello del never explain, never complain. Rimarrà una valutazione tra me e me. Privatissima, da condividere solo con quale privilegiato/a (un)happy few.
       Qui, anche se è casa mia, mi sento in the middle of nowhere, ma non perché mi senta a disagio o non la ami. Più semplicemente (o in forma più complicata...) è perché talvolta mi sento un real nowhere man, sitting in his Nowhere Land, making all his nowhere plans for nobody.
       Non ho un desiderio di "altrove", per la verità, quanto meno non geografico-fisico, semmai spiritual-concettuale. Mi piacerebbe alla follia vivere in un mondo dove scambiarsi sensazioni, parlare di contenuti, trasmettersi un sospiro, un sorriso, una corrispondenza di amorosi sensi, fosse ancora possibile, e non fosse invece un universo frequentato di soggetti costretti a cercarsi con la lanterna di Diogene.
       Mi sento immerso in un mare di aridità e, anche se in questi giorni ho avuto la fortuna di ritrovare una persona a me infinitamente cara, non è facilissimo riempire i miei vuoti esistenziali, i miei desideri, le mie voglie. Del resto, non sono un soggetto contemplativo; o meglio, lo sono moltissimo, ma amo far discendere dal pensiero l'azione. E invece sono perennemente bloccato, stretto dai mille nodi delle costrizioni del vivere, costrizioni che più correttamente andrebbero definite del "non vivere".
      Rex, uno dei miei gatti, mi guarda con aria interrogativa. L'ho chiamato così perché, oltre ad essere splendidamente rossiccio, è un gatto maschio adulto dall'aria soavemente sovrana. Mi ignora spesso, ma io lo amo comunque, forse perché sono naturalmente portato a solidarizzare con chi trasuda tanta classe e signorilità. E poi è dannatamente silente, non miagola e non infrange la sfera incantata e al tempo stesso calda al punto da risultare febbrile di questo immobile sabato d'agosto.
      Poi mi coglie il timore che, più divento vecchio, più divento contemplativo, e allora corro a cambiarmi e a provare la tensione dell'accordatura delle racchette. Del resto, contemplazione e vitalismo convivono in me, che sono una (im)perfetta sintesi di contrari. Sarà per questo che ho così difficoltà nei rapporti umani e sono in fondo così solo. Sono sincretico, non di parte. Cerco di apprendere il mestiere di vivere, ma non ci sono mai riuscito. E mi strazio quotidianamente da solo. Senza cercare, o ricevere, grandi soccorsi. Così è la vita.
 
                                   Piero Visani
 

venerdì 2 agosto 2013

Sogno, realtà, tempo

      Un sogno forse sta diventando realtà. Di fronte a un'opportunità così unica, occorre riflettere molto approfonditamente, perché quel sogno è frutto di errori commessi in una realtà precedente, in cui non avevo saputo posizionarmi.
      Non è facile, per me, trovare una giusta posizione: ho un carattere forte e una personalità ad alto profilo. Dovunque rischio di trovarmi a disagio, o di creare disagio.
      Non voglio commettere errori già commessi, vorrei trasformare radicalmente il mio ruolo, vorrei riuscire ad essere quello che non sono stato e che mi è costato tanta sofferenza e disagio. Ce la farò? Credo di sì. E' una colossale scommessa con me stesso, e io amo le sfide. Questa volta non ho margine di errore, e non ne commetterò. Però mi serve dialogo, dialogo fitto, perché ho bisogno di capire. Spero che mi sarà concesso. Così come io ho concesso e continuerò a concedere tempo, per affrancarmi dall'accusa di essere soverchiamente impaziente. Adotterò tutti i ritmi che mi verranno chiesti.
      Quello che è certo, tuttavia, è che non butterò nuovamente via una parte di me. Fa troppo male. Provoca un dolore terribile.
 
                       Piero Visani

Logos

      Non ci speravo più, o ci speravo ancora? Ci speravo ancora. Perché? Perché, se non avessi continuato a sperare, per me sarebbe equivalso a riconoscere che tutto ciò che avevo sentito e letto non era vero. Ma io, nel mio intimo, sapevo che era vero. Era andato perduto in mezzo a tante, troppe incomprensioni, questo sì, ma era vero, non poteva non essere vero.
       Ora è necessario non solo ricominciare, ma parlare, dialogare, dare spazio al logos. Sono certo che questa volta lo faremo.
 
                               Piero Visani

L'arte dello scrivere

      Non c'è niente di meglio, per comprendere una persona nel profondo, che leggere le cose che scrive. Oggi, leggendo il resoconto delle esperienze di vita e lavoro di una persona a me molto cara, ho compreso nitidamente che tutto quello che avevo pensato di lei è giusto, è sempre stato giusto. La sensibilità, la capacità di osservare e descrivere, la ricchezza interiore, la capacità di cogliere sfumature individuali e ambientali. Nulla di tutto questo mi era sfuggito, ma ora finalmente lo vedevo su carta (in realtà in forma elettronica) e per me è stata una splendida conferma che ciò che avevo intuito non era errato, anzi era straordinariamente corretto.
      La scrittura consente di cogliere la ricchezza interiore di una persona e di capire se tale ricchezza è grande, piccola, ricca di sfumature oppure no.
      Nella mia lettura odierna, riferita ad ambiti geografici a me ignoti, ho potuto constatare una straordinaria capacità di osservazione e valutazione, accompagnata a quell'anima bella e ricca che ho sempre conosciuto, pur in mezzo a qualche tempesta di troppo. Questi ambiti fuoriuscivano dalle sue pagine come fotografie, ma fotografie di un artista di talento, di colui che non fa semplice fotografia figurativa, se vogliamo dire così, ma ti trasmette sensazioni, emozioni, impressioni. E lo stesso dicasi per le descrizioni riferite ai suoi compagni d'avventura.
       Non ho potuto fare a meno di farlo notare all'autrice, che a mio parere è un talento, non ancora sufficientemente convinto di essere tale. Proverò a convincerla. Spero che mi vorrà credere.
 
                                 Piero Visani
     

giovedì 1 agosto 2013

Felicità

      Non conosco e non pratico molto la felicità. Un po' è la mia natura intellettuale (o intellettualoide...), un po' è che non ho avuto una vita felicissima. L'ho sempre presa di punta, la vita, e la cosa mi è ovviamente costata non poco.
       Anni fa, ho conosciuto una persona eccezionale, e ne sono rimasto profondamente colpito. Ho fatto cose giuste e cose parecchio sbagliate, con questa persona; mi sono sentito ferito e l'ho ferita. Ma, da quando la conosco, l'ho sempre sentita come una presenza irrinunciabile, all'interno della mia vita. Non mi è difficile motivare un'affermazione così impegnativa: ho sempre sentito un fortissimo idem sentire, con essa. L'ho sentito nei momenti belli e l'ho sentito ancora di più in quelli brutti. Mi è mancata moltissimo, per tutto l'anno in cui siamo stati lontani, ma ora l'ho ritrovata e non voglio perderla più.
       Ho le mie colpe, così come credo che ciascuno di noi due abbia le proprie, ma il desiderio di ritrovarla è sempre stato infinitamente superiore a qualsiasi altro, compreso quello di allontanarmi. Ho compiuto molti sforzi, per ritrovarla; ho dato fondo a tutte le mie risorse, ma mi era insopportabile l'idea di perderla. Non si può perdere una persona con cui l'idem sentire è così forte, sarebbe una mostruosità.
       Ho compiuto errori dettati dalla passione, da sentimenti feriti, ma ora l'unica cosa che mi interessa davvero è averla ritrovata, aver ristabilito un dialogo. Di una cosa sono sicuro: non la perderò più. Non posso perdere una parte di me.

                                      Piero Visani

I disastri

     E' orribile, funesto, devastante, leggere le prose fantastiche di una persona cara e chiedersi come si sia riusciti a perdere tanta profondità. Quale genio cattivo ci abbia separato, e perché. Due anime egualmente profonde, divise da che non si sa. E' semplicemente atroce.
 
                                     Piero Visani

Le "vacche in incognito"

      Tengo a precisare - onde evitare un prevedibile linciaggio - che ho trovato la leggiadra definizione che dà il titolo a questo post su un blog squisitamente al femminile. Non mi sorprende: non c'è nessuno meglio delle femmine che conosce il proprio genere. Noi maschi nulla ne sappiamo...
       Il tenero epiteto è utilizzato - nel blog in questione - da un certo numero di femmine che "non se la tirano" nei riguardi di quelle che, invece, se la tirano, eccome e - a quanto pare - cercano anche di "farlo tirare" ai maschi (operazione notoriamente non troppo complicata...).
       Ma chi sono, in definitiva, le "vacche in incognito"? Se fossero "cognite", sarebbero facili da individuare. La definizione testé citata, per contro, sebbene non elegantissima, si riferisce invece - e l'accusa proviene da donne, non da uomini - a quelle femmine che sono "vacche" [perdonate la volgarità, ma sono costretto a rimanere nella poco elegante metafora, onde farmi comprendere] senza saperlo, vale a dire che sono in incognito anche rispetto a se stesse.
      L'esempio che arriva inevitabile, a questo punto, è quello della allumeuse, o della "profumiera", cioè il soggetto che "scalda" ben bene il maschio, per poi lasciarlo rigorosamente "in bianco". E la curatrice del blog fa correttamente notare che queste femmine sono, per l'appunto, "vacche in incognito", nel senso che non sanno di esserlo, pur essendolo, dunque ignote persino a se stesse.
      In vita mia, mi è capitato di incontrare un discreto numero di "vacche in incognito". Da tale novero escludo subito le "lelle", perché quelle che lo sanno fare bene (e ce ne sono, ce ne sono...) provocano il maschio per il gusto di farlo stare male, tanto è l'odio che nutrono nei di lui riguardi. Ben più pericolose sono invece le "vacche in incognito", in quanto, non sapendo di esserlo, per un po' si comportano da "vacche" e poi, quando subentra un minimo di lucidità (o di oscurità...), fanno precipitosamente marcia indietro e si riscoprono o novizie di convento o sante.
       La mia conclusione, che certo mi procurerà infiniti strali, è: viva le donne consapevoli, e viva anche le "vacche consapevoli" [le due categorie non si identificano, tengo a precisarlo...]! Quanto alle "vacche in incognito", auguri! Con un po' di introspezione, oltre che con tanta seduzione portata finalmente a qualche esito "concreto", potranno certamente pervenire alla scoperta della loro reale natura...
 
                                         Piero Visani

Esame di coscienza

     Quando si ha una coscienza (e - come noto - non capita proprio a tutti...), è bene sottoporla di tanto in tanto a verifica, il cosiddetto esame di coscienza.
       D'abitudine, lo faccio spesso e devo dire che sono molto tranquillo e contento di me. Ho subito - è vero - qualche tentativo di presa in giro da parte di soggetti che si adagiano nella vita come nel dehors di un locale alla moda, ma credo di aver adeguatamente rimediato. Quando il "senso del tragico" non entra in certe testoline, anche solo per insufficienza di esperienze di vita, è bene assolvere a un minimo di funzione pedagogica. E' un lavoro difficile, ma qualcuno deve pur farlo...
 
                        Piero Visani

Midsummer Night's Dream

      In queste lunghe sere d'estate, in cui il sonno tarda ad arrivare (se mai arriva...) e il lavoro urge, la mente si riempie di sensazioni diverse, che vanno dai ricordi, alle riflessioni, ai proponimenti, a tutto quanto attraversa la testa.
      La sensazione più sgradevole, più difficile da accettare, man mano che il tempo passa, è quella delle occasioni perdute, delle esistenze sprecate, delle opportunità buttate via per futili motivi.
      Se ho qualcosa da rimproverare alla vita, nel declinare della mia, è che essa sia una lunga catena di incomprensioni e inganni, dominata da considerazioni di carattere socioculturale che ci impediscono di goderne appieno i frutti. Di fatto, potremmo essere "cavalieri" che sanno gustare, al tempo stesso, la carne, la morte, il diavolo, ma in realtà restiamo immersi nelle repressioni, nelle inibizioni, nelle mille considerazioni di carattere sociale che ci fanno da freno, che ci impediscono di vivere di più, di andare oltre.
      Il fatto è che, trascinando i giorni nelle rinunce - auto od etero-imposte che siano - ci ritroviamo vecchi senza aver goduto che una minima parte di ciò che la vita ci avrebbe potuto offrire. Dovremmo ritrovarci più liberi, e ci ritroviamo invece repressi più che mai e l'incedere del tempo rende più urgente il senso di aver perso molto, se non tutto, e pressante il desiderio di colmare i vuoti esistenziali che ciascuno di noi porta con sé.
       Beato chi non ne ha! Ho sempre amato - e molto! - il carpe diem, ma mi accorgo di averlo amato soprattutto da solo, in un mondo di "ragionieri del corpo e dell'anima" che, in definitiva, mi ha privato di molti piaceri possibili. Piaceri ricercati non per mero edonismo, ma per gusto di esplorare tutte le potenzialità esistenziali, al di là e al di sopra di ogni possibile limite. Nel tentativo di "cavalcare la tigre" e domarla; o di esserne scavalcati e travolti, avendo però vissuto mille vite, mille esperienze e diecimila di quelli che i moralisti chiamano "peccati". Volerne ancora commettere - e molti! - è ciò che mi tiene in vita: la ricerca del piacere.
 
                            Piero Visani