domenica 27 ottobre 2013

Hunger

       Hunger è un film girato nel 2008 dal regista inglese Steve McQueen. Il primo aspetto sorprendente è che un inglese possa avere fatto un film così bello su una figura mitica del nazionalismo irlandese come Bobby Sands, il primo dei 10 patrioti irlandesi che, tra il maggio e l'agosto del 1981, sacrificarono deliberatamente la propria vita per protestare contro il regime detentivo cui erano sottoposti dal governo della signora Thatcher, che non riconosceva loro lo status di detenuti politici.
      Affidato alla straordinaria interpretazione di Michael Fassbender, noto attore tedesco (ora naturalizzato irlandese) assurto a fama internazionale con un altro film di McQueen, Shame, la pellicola in questione ricostruisce con precisione la vicenda di Bobby Sands, dimostrandosi molto attenta agli aspetti psicologici della sua scelta così radicale.
      La domanda che pare porsi il regista è la seguente: "Per quale ragione Sands ha percorso fino in fondo una strada così difficile, un percorso di degradazione al termine del quale stava la più orribile delle morti?"
      Il film segue Sands lungo questo itinerario, stando molto attento anche alla descrizione dei particolari più rivoltanti. Sotto questo profilo, è un film terribilmente fisico, ma, al tempo stesso, anche profondamente psicologico,  in quanto illustra anche tutto il percorso umano e intellettuale del protagonista.
       Celebre e centrale, nel film, è un piano-sequenza, della durata di oltre 15 minuti (un'immensità, per il linguaggio cinematografico), in cui Sands dialoga con un prete, venuto a trovarlo in carcere per indurlo a rinunciare alla sua tragica forma di protesta. Sono 14 minuti di dialogo vivacissimo, tra due menti molto brillanti, ciascuna delle quali espone le proprie ragioni. Alla fine Sands non si fa convincere a desistere, ma decide di andare fino in fondo.
       Nella parte finale del film, quando già Sands è sul letto di morte e alterna momenti di conoscenza a stati di assoluta incoscienza, fantastica per bellezza e partecipazione emotiva è la lunga sequenza in cui egli, ancora ragazzino, partecipa con successo a gare di corsa campestre, uno sport nel quale eccelleva. Nel corso di una di queste, improvvisamente trova di fronte a sé una foresta nera e densissima (palese metafora della morte). Ha un momento di difficoltà, si gira indietro per guardare la luce, i colori, la vita che si lascia dietro, ma poi, dopo uno sguardo di addio al mondo, volge il capo in avanti e accelera la sua corsa, determinato a non fermarsi, tanto meno a tornare indietro, perché quella è la sua natura, quella è l'intima ferocia delle sue scelte.
       Film duro, carnale, talvolta disumano e - come tale - assolutamente umano, costituisce uno straordinario omaggio a un martire della libertà d'Irlanda. Un omaggio sommesso, tutt'altro che retorico, ma proprio per questo bellissimo e di impatto emotivo formidabile. Da non perdere, per chi non l'abbia visto.
 
                                Piero Visani

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