lunedì 21 ottobre 2013

Storia della guerra - 15: La Guerra dei Sette Anni


   La centralità della Guerra dei Sette Anni (1756-1763) nella storia del conflitto è dovuta al fatto che fu la prima guerra moderna su scala intercontinentale. Il primo colpo, in effetti, venne sparato in Nordamerica, il 28 maggio 1754, quando – in una località chiamata Jumonville Glen, circa 45 miglia ad est di Pittsburgh (Pennsylvania) - un tenente colonnello della milizia della Virginia, l’allora sconosciuto George Washington, attaccò di sorpresa un gruppo di soldati francesi. Fu un atto – come ebbe a scrivere Horace Walpole - «che mise il mondo a fuoco», scatenando quella che gli storici anglosassoni chiamano “The French and Indian War”, vale a dire la guerra anglo-francese per il controllo del Nordamerica, che si accese successivamente anche in India e che in Europa venne combattuta anche da altri protagonisti e assunse il nome di Guerra dei Sette Anni.

   Il mondo stava cambiando, gli spazi geografici si stavano dilatando, i commerci stavano determinando un gigantesco trasferimento di ricchezze dall’America e dall’Asia verso l’Europa, ed è comprensibile che le grandi potenze europee, con in testa Gran Bretagna e Francia, mirassero ad acquisire una posizione di predominio che, a quel punto, non sarebbe più stata limitata alla semplice dimensione continentale, ma avrebbe assunto i caratteri di un impero globale.

   Nel Vecchio Continente, la rivoluzione diplomatica che nel 1756 vide la formazione di un’alleanza fra l’impero austriaco e la Francia, i cui rapporti fino a quella data erano stati alquanto difficili, venne considerata da Federico II di Prussia come una minaccia di guerra. Come sempre attento agli aspetti strategici e per nulla incline ad attendere passivamente che gli eserciti austriaci attaccassero il suo Paese, il monarca prussiano optò in favore di una guerra preventiva e invase la Sassonia, stato tedesco di fatto cliente dell’impero austriaco e ottimo punto di partenza per un’invasione della Prussia. La magnifica macchina militare prussiana non ebbe difficoltà a travolgere rapidamente la Sassonia, ma, in risposta all’aggressione, Francia e Russia entrarono in guerra a fianco dell’Austria. Il rischio calcolato che Federico II aveva deciso di assumersi con l’invasione della Sassonia si trasformò così in un pericolosissimo azzardo, poiché il piccolo Stato prussiano si trovò a quel punto circondato da una coalizione di aggressori, presto rinforzati anche dalla Svezia. Gli venne in soccorso solo la Gran Bretagna, che da circa un biennio – come abbiamo visto – era in guerra con la Francia e che, allora come in seguito, era ostile all’instaurarsi in Europa di coalizioni che potessero risultare a suo svantaggio. Londra trovò così un pretesto per intervenire in misura limitata sul continente europeo, a difesa dello Stato tedesco dell’Hannover, da cui proveniva la famiglia regnante inglese, minacciato dai francesi.

   A dimostrazione delle sue eccezionali capacità militari, Federico II non si lasciò intimorire dalla poderosa coalizione che circondava la Prussia e minacciava di annientarla, e incominciò a manovrare il suo piccolo ma efficientissimo esercito per linee interne, in modo da cercare di impedire ai suoi avversari di unire le forze e di conseguire, per quanto possibile, una superiorità locale su ciascuno dei loro eserciti. Grazie alle due brillanti vittorie ottenute, nel novembre-dicembre 1757, a Rossbach sui francesi e a Leuthen sugli austriaci – due battaglie combattute dai prussiani in un rapporto di grave inferiorità numerica rispetto ai loro avversari – Federico II riuscì momentaneamente a sventare il rischio di una completa invasione del suo Paese. Tuttavia, la superiorità austro-russa era troppo grande, mentre la Prussia non disponeva né di risorse materiali né umane sufficienti a sostenere a lungo uno sforzo del genere. Già nell’agosto del 1758, quindi, un esercito russo si spinse fino a soli 100 km dalla capitale prussiana Berlino e venne fermato a Zorndorf, in un sanguinosissimo scontro in cui entrambi i contendenti subirono perdite superiori al 30% degli effettivi presenti.

   Per quando concerne il conflitto tra Francia e Gran Bretagna su scala globale, il punto critico venne raggiunto nel 1759. Questo scontro era stato, fino a quel momento, combattuto essenzialmente sul mare e nelle colonie del Nordamerica e dell’India. Dopo alcune difficoltà iniziali, la Royal Navy era riuscita a ribadire la sua superiorità mentre il governo inglese aveva elaborato una nuova forma di guerra, basata su operazioni combinate mare-terra e assalti anfibi. Grazie ad essa, la flotta di Sua Maestà utilizzava la propria superiorità di trasporto e combattimento per inviare piccoli ma efficienti corpi di spedizione in aree dove il loro intervento era maggiormente richiesto, e per proteggere le loro linee di rifornimento. I successi in tal modo ottenuti, come ad esempio quello del generale Wolfe a Québec (1759), erano spesso di modesta rilevanza tattica, ma di enorme impatto strategico. La vittoria di Québec, infatti, sottrasse ai francesi il controllo del Canada.

   In Europa, tuttavia, l’esito del conflitto era ben diverso che nelle colonie: l’esercito prussiano, per quanto validissimo e ben comandato, non era infatti in grado di resistere, da solo, alle forze congiunte di Austria e Russia. Nell’agosto del 1759, ad esempio, i prussiani furono pesantemente sconfitti a Kunersdorf, dopo aver subito la perdita di 19.000 uomini, tra morti e feriti, su un totale di 50.000 effettivi. Federico II ne fu talmente sconvolto da pensare addirittura al suicidio. L’anno successivo, sia pure per un breve periodo, gli austro-russi occuparono addirittura Berlino. Il sovrano prussiano, tuttavia, recuperò in breve il suo spirito combattivo e riuscì a sconfiggere gli austriaci a Liegnitz (agosto 1760) e Torgau (novembre dello stesso anno).

   Nel 1760, la stanchezza per un conflitto così lungo e impegnativo si stava ormai facendo sentire tra tutti i contendenti. Quando il governo presieduto da William Pitt, autentico motore dello sforzo bellico britannico, si dimise, il sostegno di Londra alla Prussia cominciò a vacillare. Dopo aver subito pesanti perdite umane e gravi devastazioni materiali sul loro territorio nazionale, i prussiani non erano più in grado di continuare le operazioni, mentre la Gran Bretagna, privata della lucida visione strategica di Pitt, l’unico in grado di comprendere che la potenza marinara inglese doveva essere abbinata al mantenimento di una situazione di equilibrio in Europa, pareva seriamente intenzionata a lesinare il proprio sostegno alla Prussia.

   Un cambiamento radicale, del tutto inatteso, si ebbe a seguito dell’improvvisa morte dell’imperatrice Elisabetta di Russia. A lei successe infatti Pietro III, apertamente filoprussiano, il quale si preoccupò subito di firmare un trattato di pace con Federico II. Questo atteggiamento di Pietro III, per nulla condiviso a corte, lo rese vittima di una congiura di palazzo solo sei mesi dopo l’ascesa al trono, ma ormai la strada che portava alla pace era spianata, a causa innanzi tutto del completo esaurimento dei contendenti. Nel febbraio 1763, il trattato di Parigi pose termine alle ostilità.

   Sul momento, la pace parve riconfermare una situazione di equilibrio a livello europeo, e per certi versi era indubbiamente così. Tuttavia, il conflitto aveva un unico grande vincitore e questo era la Gran Bretagna. Allo scoppio della guerra, infatti, la potenza britannica aveva un temibile concorrente nella Francia, che ne insidiava le posizioni in America settentrionale, India ed Europa. Dopo sette anni, per contro, Parigi era definitivamente scalzata dal Nordamerica e si limitava a conservare una presenza simbolica in India. Per di più, il controllo delle principali rotte commerciali dell’epoca passava sotto il pieno e diretto controllo della flotta inglese, mentre la Francia si vedeva relegare al ruolo, importante ma tutt’altro che decisivo, di principale potenza terrestre del Vecchio Continente.

   Sul piano strettamente militare, la Guerra dei Sette Anni era stata prodiga di insegnamenti di tutti i tipi, dalla possibilità di innovazioni nella manovra tattica (si pensi all’”ordine obliquo” dell’esercito prussiano, alla moltiplicazione dei ruoli di impiego della cavalleria, alla flessibilità di azione dell’artiglieria), alla crescente importanza della manovra strategica (di cui Federico II si era rivelato uno degli imperituri maestri), dalla nascita delle operazioni congiunte mare-terra alla riconfermata e sempre più marcata funzione della potenza marittima quale indispensabile supporto per chi volesse esercitare un predominio su scala globale. Era ancora un conflitto combattuto con regole fisse e senso della cavalleria (anche se il tanto celebrato invito che sarebbe stato formulato dai francesi agli inglesi nella battaglia di Fontenoy, di circa un ventennio prima: “Messieurs les Anglais, tirez les premiers!”, è stato successivamente riletto con una più prosaica e cinica invocazione del comandante francese ai propri subalterni: “Messieurs, les Anglais: tirez les premiers!”, che ne stravolge completamente il significato), ma il mondo stava rapidamente cambiando, e la guerra con lui.

                                                    Piero Visani