martedì 7 gennaio 2014

La bottiglia del naufrago

       E' bello scrivere. Nel silenzio assoluto di queste notti immote, è facile trasferire dalla mente al computer le mille emozioni e sensazioni che popolano il mio animo. Ho molta voglia di scrivere, di raccontare e raccontarmi, di dare forma compiuta e stabile ai miei stati d'animo.
       E' un'attività rasserenante, una forma di razionalizzazione di tutti gli input emotivi che mi assalgono, di fissazione dei medesimi sullo schermo che ho di fronte.
        Anni fa, ero convinto che la mia vena di scrittura si fosse esaurita, o comunque si stesse progressivamente esaurendo, ma poi, soprattutto dopo la nascita di questo blog, il piacere di scrivere mi ha colto nuovamente e ora sento di non poterne quasi fare a meno.
       Avrei voglia di raccontare mille cose, anche se spesso preferisco non farlo per non andare troppo sul personale, ferire persone, urtarne altre. Ho anche esaurito il desiderio di polemizzare, a livello privato, consapevole del fatto che sia preferibile che io parli a me stesso e lasci perdere tutto il resto.
       Ho preteso troppo a lungo di cercare di farmi capire, ma ora prevale in me l'urgenza del dialogo con me stesso e con chi mi ascolta. Il dialogo con se stessi può diventare un monologo, questo è certo, ma il rischio potenziale diventa certezza assoluta quando le parole diventano flatus vocis e si spargono vuote nel vento.
       La scrittura per sé, invece, è un'attività più intima, oltre che più finalistica, e consente di meglio gestire il proprio rapporto con il dolore, con i mille dolori che possono ferire e raggelare l'animo umano.
       Un timore mi perseguita spesso: non riuscire a farmi capire e allora scrivo, scrivo per raccontare chi sono e cosa sento, visto che tante volte non sono riuscito a farmi capire.
        E' uno scrivere quasi a mo' di esorcismo, il mio, ma lo considero necessario, necessario per gestire le mille lame che talvolta mi squarciano, per cercare di pararne alcune, di respingerne altre, di cicatrizzare infine le ferite che quelle di esse che mi hanno trapassato sono riuscire a infliggermi.
        Sono stato accusato talvolta di essere criptico, talaltra di non volere deliberatamente spiegarmi, talaltra ancora di scrivere troppo e di risultare invadente. Tutte opinioni legittime, e infatti ora scrivo essenzialmente per me stesso e per quegli happy few che hanno ancora desiderio e bontà di leggermi.
        Mi piace lanciare la mia parola nel vento, come la classica bottiglia del naufrago. Qualcuno, prima o poi, la troverà, la aprirà, troverà il messaggio che vi è contenuto, lo leggerà e forse - chissà? - capirà. Scrivo per questo, per farmi capire.

               Piero Visani

                            

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