domenica 27 aprile 2014

E nei tuoi occhi che piangono, mille ricordi non muoiono...

       Famiglia di ristoratori. Età comprese fra i 45 e i 70 anni. Ci vado da tanto tempo, nel loro locale, ma non posso fare a meno di notare - così come loro - che la clientela è sempre più scarsa.
      La cucina che viene proposta è valida e senza fronzoli, con un eccellente rapporto qualità/prezzo e un'offerta assai vasta di cibi, in bilico tra carne e pesce.
       In questa sera di sabato, il locale è desolantemente vuoto e i pensieri non indulgono all'ottimismo. Ormai la chiusura è una prospettiva sempre più incombente. Accettare l'ineluttabile non è facile e non è cosa semplice vedere distrutta dalle politiche folli di governi e burocrazie esose una vita di lavoro. Dato fondo ai risparmi per mantenere in vita il ristorante fino a che è stato possibile, ora non è più possibile tenere aperto un decoroso locale borghese, poiché la clientela - alle prese con ben altri problemi - si è terribilmente assottigliata e il resto sono solo tasse, balzelli, adempimenti vari.
       Sui volti di queste quattro persone è dipinta la delusione di una vita che si sta concludendo con un'amara sconfitta e i discorsi, pur se dignitosi, sono quelli di persone che faticano a trattenere le lacrime.
       Sono sconcertato, avvilito, dispiaciuto. Nella mia città, come in decine di altre città italiane, molti esercizi, molte imprese di tutti i tipi e generi stanno chiudendo, nel dramma di una crisi che ovviamente non è una crisi, ma è la fase terminale del collasso di un modello di sviluppo basato sul furto, la burocrazia e un fiscalismo da rapina.
       Guardo le mani callose di queste persone, le loro espressioni desolate, la mancanza di ogni speranza, il senso di un mondo che sta loro crollando sotto i piedi e mi chiedo se i nostri politici e i nostri burocrati siano al corrente di questo terribile dramma umano e, in caso affermativo, se importi loro qualcosa di esso.
       Cerco una frase di commiato che sia decente, che dia loro un benché minimo afflato di speranza, ma mi anticipano: "stiamo facendo i documenti per trasferirci in Australia, dottore. Se qui ci vogliono morti - ed è innegabile che qui ci vogliano morti umanamente e lavorativamente - andremo a cercarci una vita e un futuro altrove. E' vero, siamo vecchi, ma non staremo qui a piangere sulle nostre tragedie, sulla morte di tutto un popolo. Andremo a cercarci il lavoro dove ce n'è, dove la nostra dignità di esseri umani è ancora rispettata, nei fatti, e non solo nelle parole".
       Stringo la mano a tutti, con affetto e partecipazione, lieto di questo sussulto d'orgoglio finale. Ci vedremo ancora per qualche mese, fino alla chiusura del locale, prevista per settembre, e alla loro partenza per l'Australia, prevista per fine anno.
       Sento nitidamente che stanno per fare quello che presto dovrò fare anch'io: trovarmi una nuova patria, visto che la vecchia mi vuole morto. Per me sarà più facile, perché il mio lavoro è diverso, ma vivo questi pezzi della mia vita che se ne vanno come un'amputazione e penso alla tristezza dei leoni che fuggono, per cedere il passo alle iene. No, neanch'io resterò a farmi massacrare qui, a vedere il dolore profondo di chi ha lavorato per una vita sbeffeggiato dai sorrisi soddisfatti degli esponenti di un regime di ladri, truffatori e tassatori. Se hanno una incrollabile fiducia nel futuro questi miei amici, se non si danno per vinti, non mi resta che imitarli: No Surrender.

                            Piero Visani

                     

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