mercoledì 27 agosto 2014

Il "reale"


       E' palese che non ho mai creduto al "reale", che non mi sono mai interessate definizioni di "realtà".
       Ho una mia teoria al riguardo, e la espongo in breve: gran parte della "realtà" che ho visto, in lunghi decenni di vita, mi faceva e mi fa francamente VOMITARE. Né ho avuto alcunché che mi tenesse legato a quel "reale": vantaggi, prebende, consolazioni, soddisfazioni? Nulla di tutto questo.
        Per me il reale era una continua declinazione di secchiate di guano provenienti dalle più diverse direzioni. Ergo non lo amavo, capite?
       Dunque sono dispostissimo ad ammettere che gli amanti della "realtà" siano attaccatissimi ad essa perché le sono debitori di qualcosa, che li ha in qualche modo soddisfatti, gratificati, ricompensati. Buon per loro.
       A me non è successo e - se è successo - nulla di tutto quello che ho avuto era lungi dal soddisfarmi, magari per delirio di onnipotenza, lo ammetto.
     Dovrei dunque essere attaccato al "reale" e pensare che sia "vero"? Io ho solo visto un reale "a geometria variabile", in cui tutto ciò che per me avrebbe potuto essere vagamente "realtà" veniva di continuo modificato per trasformarsi in "realtà" che fossero più vicine ai sogni, alle ambizioni, ai gusti, alle esigenze di altri. E io, nelle loro realtà, non ci volevo stare, ma in genere, prima che ne uscissi di mia spontanea volontà, mi avevano già cacciato a pedate, di loro iniziativa, a meno che non avessi dato prova di accontentarmi di un ruolo residuale, di quel "reale" in versione "base", dunque senza alcun tipo di accessorio, che avevano tanto "amorevolmente" predisposto per me.
       Così, sebbene cresciuto in quello che tutti chiamavano l'Occidente "civile e illuminato", io quel "reale" l'ho sempre odiato, lo odio e lo odierò, così come mi fanno sorridere certi discorsi su determinati soggetti cresciuti in una realtà che altri - sulla base dei loro personali metri di giudizio - giudicano "il migliore dei mondi possibile", mentre a me appariva francamente il peggiore.
       Ecco perché ho cominciato a interessarmi della virtualità, e della "virtualità reale". Per seminare degli indizi precisi di modo che non si possa scrivere - se mai dovessi meritare un "obituary", ma sinceramente non credo... - che viveva nel "paradiso terrestre" e - non si sa come mai - gli faceva orrore. Sì, mi faceva e mi fa orrore, ma sto cercando di spiegare perché.

                     Piero Visani

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