venerdì 7 novembre 2014

I diritti degli Stati


       Un tema che certamente i commentatori italiani non amano approfondire, in merito alle "mid term elections" statunitensi, persi come sono dietro il "sogno fallito" di Obama e le facili battute sul colore della sua pelle, è il crescente peso dei "diritti degli Stati" (e dei cittadini dei medesimi) sul potere federale.
       Gli USA - e in Italia molti lo dimenticano - hanno combattuto una lunga e sanguinosa guerra civile - sulla questione dei "diritti degli Stati" rispetto al potere centrale e, ogni volta che la questione si ripropone - come nel caso della riforma sanitaria voluta da Obama e in molte altre, a cominciare dal diritto di poter liberamente detenere armi da fuoco onde garantirsi una forma di difesa "attiva" contro eventuali prepotenze del potere centrale - si riaprono ovviamente vecchie ferite, così come le medesime si riaprono tutte le volte che la rivendicazione di tali diritti (a cominciare ad esempio dalla possibilità di libera esposizione della bandiera confederata, che della rivendicazione di tali diritti è stata la massima espressione) viene in qualche forma conculcata dal potere centrale.
       E' in ballo - anche se a prima vista non appare - una questione di politica interna che non è meno importante dei fallimenti di Obama in politica estera (e anche in tanti altri campi) e riguarda una legittima destrutturazione degli USA dall'interno.
        Il "destino manifesto" degli Stati Uniti sarebbe molto meno tale se qualunque pulsione alla costruzione di uno Stato centralizzato venisse stroncata sul nascere.
       Il partito repubblicano - che, in quanto erede di Lincoln è proprio il meno adatto a comprendere questi problemi... - ne sta traendo indebito e momentaneo vantaggio, ma la questione è infinitamente più ampia e sarebbe opportuno che gli europei la seguissero con maggiore attenzione, creando ad esempio vincoli di solidarietà con quanti, all'interno degli USA,riescono lucidamente a vedere che l'Unione Europea non è per nulla liberista, ma repressiva e dirigista, e che sarebbe assai molto più correttamente definibile in sigla come EURSS, visto che ricorda molto da vicino un regime non troppo rimpianto...
       La ricostruzione di piccole patrie, autonome e libere, pronte a confluire - se del caso - verso una visione imperiale condivisa, appare a mio giudizio decisamente più stimolante che le costruzioni totalitarie a vantaggio delle multinazionali, magari "legittimate", se e quando capita, con poco "panem" e molti "circenses" per il lumpenproletariato. In questo modo, si riaprirebbe anche una via di dialogo con una parte tutt'altro che irrilevante della cultura politica americana.
       Naturalmente è soltanto un'ipotesi, ma è una comune opzione anti-totalitaria e - come europeo - sul fatto che l'UE sia in piena deriva totalitaria non avrei alcun dubbio.

                          Piero Visani

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