lunedì 8 dicembre 2014

Al "Cova"

       Che cosa ci faceva Carlo, in quel pomeriggio di pioggia novembrina, in uno dei più celebri locali di Milano? Sicuramente molto turistico, ma pur sempre a suo modo fascinoso.
      Inseguiva il ricordo di una telefonata, che lo aveva raggiunto proprio lì, anni prima, inducendolo ad uscire - era infatti con amici - per parlare più tranquillamente con colei che lo stava chiamando.
       Era stata una bella scelta uscire, nonostante il solito soverchio affollamento di via Montenapoleone. Ma le parole che gli aveva detto la donna all'altro capo del telefono gli avevano fatto provare una improvvisa e insperata felicità, una felicità che ricordava ancora, dopo tanto tempo.
       La sua interlocutrice gli parlava del libro che lui, dopo averlo scritto, le aveva appena regalato con tanto di dedica, ed era inspiegabilmente tenera, partecipe, quale forse mai era stata, con lui.
       Quella telefonata era stato uno dei punti più alti di un rapporto strano e davvero mai decollato, ma che per parecchio tempo aveva occupato il suo cuore, dapprima come realtà immanente, poi come ricordo di ciò che avrebbe potuto essere e non era stato.
       Era tornato parecchie volte al "Cova", anche in splendida compagnia femminile, ma in fondo il ricordo di quella telefonata non si era mai cancellato del tutto, dalla mente di Carlo, perché era una telefonata vera, viva, partecipe, da parte di una donna solitamente molto criptica, con lui. Quel giorno Carlo aveva sperato che molte cose, nel suo rapporto con lei, potessero cambiare. Non era accaduto e in fondo lui non aveva mai smesso di chiedersi il perché.
        Carlo era seduto nell'ultima saletta, poco distante da una comitiva di turisti cinesi molto loquaci e pure chiassosi. La chiamata di un cliente interruppe il flusso dei suoi pensieri e di fatto lo disturbò. Il cliente - un intrigante - sentendo arie di opera diffuse come musica d'ambiente del locale, non esitò a chiedergli dove si trovasse e Carlo, vagamente irritato da tale invadenza, gli rispose - tra l'ironico e il tranchant - sono a "A night at the Opera...!".
     Qualunque conoscitore dei Queen, per quanto blando, avrebbe individuato la battuta e anche il senso di vago fastidio che la connotava, ma lo scocciatore telefonico non era all'altezza del tutto e rimase interdetto, e Carlo si mise a sorridere, anzi quasi a ridacchiare, tra sé e sé, forse contento per quella frase che aveva profferito, non propriamente a bassa voce.
       Fu guardandosi attorno, quasi per saggiare l'effetto delle sue parole, che incrociò gli occhi di una donna. Una signora sui 45 anni, decisamente piacente, che stava seduta di fronte a lui, dall'altra parte della saletta, e che doveva avere seguito tutta la conversazione e anche la chiusa "operistica" della medesima.
       I due sguardi si incontrarono e la signora gli sorrise. A Carlo parve uno sguardo simpaticamente complice, quello di una sagace conoscitrice di situazioni... e dei Queen.
       Nel frattempo, i cinesi avevano cominciato a raccogliere le loro cose e ad avviarsi all'uscita. Una celebre aria si diffondeva nella saletta, decisamente più udibile di prima, e la donna gli disse: "Ha ragione, davvero A night at the opera...", sorridendo maliziosa. E Carlo, di rimando: "Beh, non proprio A Night, direi piuttosto An Afternoon, vista l'ora".
       "Che ora è?", chiese lei.
       E Carlo: "Le 16", guardando per automatismo il suo orologio da polso.
       "Che bell'orologio!", esclamò la misteriosa signora, "posso vederlo da vicino?".
       Carlo, sebbene sorpreso dalla richiesta, Le si avvicinò, si sedette a fianco a lei e le mostrò il suo semplice Swatch in acciaio.
       La donna guardò a lungo l'orologio, protendendo il capo in avanti per esaminarlo meglio, poi gli afferrò con estrema grazia il polso e... a tutt'oggi Carlo non è sicuro che gliel'abbia ancora lasciato andare.

                     Piero Visani



       

       

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