venerdì 3 aprile 2015

Festività

       Il lavoro rallenta, i telefoni tacciono, gli spazi di riflessione e di silenzio aumentano. Non ho mai avuto una particolare sensibilità per le festività, in quanto non ho mai fatto altro che cose e attività che in qualche modo mi piacessero. Non dovevo e non devo fuggire da niente; o meglio, dovrei fuggire da tutto, ma quello è un altro problema.
       Mi aspettano giorni di tranquillità, di tennis, di letture e di lavoro, perché a me, nelle festività "canoniche", piace molto lavorare, di modo che, se mi salta in mente qualche ghiribizzo durante il tempo di lavoro "normale", a me resta la possibilità di fare - liberamente e agevolmente - "l'anormale", mollare tutto e andarmene per i fatti miei. Ho una notevole insofferenza per le costrizioni e ho sempre fatto in modo  che non mi condizionassero più di tanto. Detesto il vivere associato, sono a favore degli "happy few" perché - quando ne conosci qualcuno - scopri di appartenere alla stessa "band of brothers", e sono bei momenti.
       Non sono visioni condivise, le mie, dunque mi sono molto care proprio per quel motivo. Se avessi voluto essere ordinario, non avrei cominciato ad esserlo oggi. Penso e scrivo; scrivo e penso. Ho una spiccata insofferenza per i riti di massa e la retorica che producono, la quale, in definitiva, è ancora più insopportabile dei riti stessi. E penso sempre che non ci può essere nulla di peggio, a questo mondo, che una "vita a credito", una sorta di existence octroyée, dove a Natale, Pasqua e altre feste comandate devi pure fingere di essere libero. In effetti, ho una naturale renitenza alle prese per i fondelli - individuali e collettive - e cerco di restarne alla larga. Se proprio non ci riesco, a buon rendere, ovviamente...

                                 Piero Visani