giovedì 7 maggio 2015

Sentenze

      Talvolta - prematuramente o meno - si è oggetto di sentenze inappellabili. A mio carico ci fu, fin dai miei trent'anni, quella per cui non avevo vocazione mercantile. Tale mancata vocazione - insieme a molte altre carenze - sarebbe stata la principale ragione di talune mie difficoltà lavorative ed esistenziali.
       Come sempre, non reagii con le parole, ma non diedi particolare importanza alle sentenze di cui venivo fatto oggetto. Per me, essere "rinviato a giudizio" era (ed è) una pratica quotidiana. Su persone ben più importanti di me, nessuno formulava giudizi e, nel caso in cui lo facesse, erano sempre molto benevoli; con me c'erano minore serenità e benevolenza.
       Qualche anno fa, nel bel mezzo di una complessa e profonda trasformazione di lavoro, venni fatto oggetto di un giudizio sarcastico, di quelli che intendono ferirti a morte e vengono pronunciati con nonchalance, onde farti maggiore male. Venne messa in dubbio la mia effettiva capacità di fare business, solo perché la situazione di mercato era tale da rendere molto più complesse cose che un tempo sarebbero state decisamente più semplici.
       Non risposi. Non rispondo mai alle contestazioni, tanto più a quelle di coloro che considero inferiori: se lo facessi, vorrebbe dire che attribuisco una qualche forma di validità a quello che mi viene detto, e non è così: non sono democratico e non mi lascio scivolare in diatribe del tutto inutili.
       Mi misi a lavorare più di prima, con la tenacia che mi è tipica. Non ho colto straordinari successi, ma ho completamente rovesciato quella sentenza inappellabile e offensiva che era stata pronunciata a mio carico. Essenzialmente, l'ho fatto per spirito sportivo, perché non mi va di essere giudicato. Mi si era dato dell'incapace e ho dimostrato che non lo sono. Il resto è silenzio, o flatus vocis...

                                              Piero Visani