sabato 12 settembre 2015

"Washington Consensus"


       Non esiste solo in economia, ma anche in politica e l'acronimo che lo caratterizza (WC) ne indica gli effetti...
       Alcuni esempi: l'Iraq di Saddam Hussein venne utilizzato da Washington per contenere la spinta rivoluzionaria dell'Iran khomeinista, in una guerra durata otto anni (1980-1988) e sviluppatasi come un gigantesco massacro.
       Appena terminata, una serie di presunti fraintendimenti tra padrone e servo portò il rais ad attaccare il Kuwait, operazione cui si sentiva evidentemente autorizzato. Tale invece non era e così scoppiò la Guerra del Golfo (1990-91).
       La "brillante" gestione americana delle conseguenze del conflitto portò a una feroce guerra asimmetrica, che trovò il suo culmine nell'invasione americana del 2003 e nei conflitti successivi, da cui è nato lo Stato Islamico, meglio noto da noi come ISIS.
       Stessa cosa in Afghanistan. Dapprima Osama bin Laden venne usato come uomo degli americani contro l'URSS ormai prossima al collasso e poi, una volta cacciati i russi, Osama si mise in proprio, con le conseguenze ben note. E oggi l'Afghanistan è un'altra delle tante aree "stabilizzate" dalla politica USA. (E, per i più politicamente raffinati, "il papavero resta sempre un fiore", di pronto consumo anche su mercati molto lontani...).
       Esattamente come a livello economico, esiste quindi un "Washington Consensus" con cui si può essere d'accordo - cioè sottomessi - oppure no. Nel primo caso si diventa schiavi della Casa Bianca, nel secondo del Fondo Monetario internazionale e della Banca Mondiale. Nei due casi, di entrambi, come "Arlecchino servitore di due padroni" (o di uno solo...?).
       Insomma, la sigla (WC) esprime al meglio i contenuti di queste politiche, e dove occorrerebbe destinarle... E non per gioco, ma per non morire.

                                             Piero Visani