mercoledì 17 febbraio 2016

Due Camere e... Servizi

       Nei miei quasi vent'anni di attività in ambito istituzionale - esclusivamente come consulente esterno - mi sono molto guardato intorno. Ne avevo tempo e non avevo ambizioni politiche: a sinistra ero guardato con comprensibile diffidenza, ma ero utilizzato; a destra ero "ovviamente" sconosciuto, non essendo cresciuto nelle sezioni del Msi: non a caso, al momento del primo governo Berlusconi, persi quasi tutti i miei incarichi e mi venne addirittura negata udienza al ministro. Non me ne feci un problema. Capii prima di altri che c'era sempre e soltanto la stessa gente al potere, con un'etichetta diversa...
       In quegli anni, per i miei incarichi, partecipai a eventi molto interessanti, ai quali potei dedicare la massima attenzione, visto che i miei compiti erano meramente consultivi e dunque mi toccava ascoltare, non parlare. Fu in quel periodo che, per ragioni varie, mi capitò di interfacciarmi con alcuni soggetti che la vox populi istituzionale ascriveva ai Servizi, alcuni anche con incarichi formali che consentivano la proiezione all'esterno. Di alcuni di questi, ufficiali di Marina, ebbi un'ottima impressione, decisamente professionale. 
      A livelli più bassi, feci invece conoscenza con una "corte dei miracoli" di cui resta difficilissima la definizione (e anche le provenienze). Soggetti che facevano la loro comparsa in una realtà locale per alcune settimane e alcuni mesi, e poi scomparivano come insalutati ospiti, senza che fosse più possibile raggiungerli, segno che avevano fornito generalità false; ufficiali "pagatori" incaricati di assumere informazioni (e remunerarle) dal fior fiore del sottobosco malavitoso e del radicalismo politico, dove - pagando - non era per nulla difficile infiltrare informatori, spie e traditori; responsabili di "stazioni" aventi sede in posti che, a raccontarlo, nessuno ma proprio nessuno ci crederebbe. E infine - la più "corte dei miracoli" di tutti - una serie di uffici dove presunti "analisti" conducevano non meno presunte "analisi" sulle più prestigiose riviste internazionali e affini, a cominciare da "Foreign Affairs". Ricordo ancora nitidamente, un'estate - credo dei primi anni di questo millennio - in cui mi venne sottoposto, da parte di una fonte militare molto autorevole e di elevatissimo grado, uno studio sul conflitto in Afghanistan che altro non era che un non brillante "copia e incolla" di pubblicazioni internazionali straniere... Feci presente la cosa a chi me lo aveva sottoposto e lui, scrollando il capo, mi disse: "Sapesse quanti raccomandati ci sono tra i nostri analisti!".
       Non so se da allora - ormai sono passati più di dieci anni - la situazione sia cambiata in meglio, mi auguro di sì, ma temo che, come nel nostro Paese accade anche in molti altri campi, la figura dell'analista sia tuttora scambiata con quella dell'assemblatore di fonti rimasticate rapidamente e malamente. Proprio per evitare i danni provocati dalle pessime abitudini italiche, non mi sorprende che vengano ricercati sul mercato esterno, in particolare in ambito accademico, analisti degni di questo nome, che certo non possono sostituire gli agenti sul campo (e che, nella malaugurata ipotesi in cui siano chiamati a farlo, rischiano di fare la fine di Giulio Regeni), ma che almeno possano produrre qualcosa di più di uno scarno "copia e incolla", di nessun valore e utilità.
       Resta l'incomprensibile fascino esercitato sul mondo esterno da un'attività che in realtà non ne ha alcuno e che - come tutti gli arcana imperii - ha anticipato di decenni, al suo interno, situazioni che oggi sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dal venir meno della "forma Stato" e della politica, sostituite da una "guerra per bande" di cui dall'esterno (e talvolta neppure dall'interno) si riescono a individuare le affiliazioni e le linee divisorie. Una guerra che è ormai da tempo un bellium omnium contra omnes di hobbesiana memoria, di cui si riempiono soprattutto i cimiteri, accompagnando le esequie con parole di cordoglio che fanno riferimento a un mondo da tempo tramontato. Di questo alla gioventù occorrerebbe dare chiarissimo conto, specie se si vuole evitare che ad un certo punto, esaurita al fase dei "buonismi", essa non si trovi a dover scoprire, totalmente a proprie spese, che "eppur si muore", nel mondo contemporaneo...

                                             Piero Visani