lunedì 18 aprile 2016

Il referendum e "l'imagination à l'opposition"

       Leggo reazioni assai stizzite all'esito del referendum sulle trivellazioni e debbo confessare che mi sorprendo della sorpresa. Qualcuno pensava/sperava in un esito diverso?
      Da tempo immemorabile, queste occasioni referendarie sono - salvo rarissime eccezioni - un caso esemplare di eterogenesi dei fini; anzi, direi di più, un caso esemplare di tattica asimmetrica intesa a rappresentare non - come prevede la teoria in materia - la "sconfitta del vincitore", ma a moltiplicarne il successo.
      Mi è dunque difficile - al di là delle solite tiritere sulla partecipazione o meno, di cui non mi interesso - comprendere le ragioni per cui viene reiteratamente scelta una modalità di scontro politico che è sicuramente perdente e che giova all'avversario. Di natura sono molto sospettoso e dunque mi chiedo come mai vengano costruite a cadenza ricorrente occasioni affinché il potere possa farsi beffe (più di quanto già non se ne faccia) dei sudditi (mi rifiuto di utilizzare la parola "cittadini" in Italia).
      Era del tutto evidente - a mio sommesso parere - che questo referendum avrebbe rappresentato un'ennesima sconfitta e dunque sarei (sono) stato assai cauto nel prendere una posizione, sia perché era un referendum sull'assoluto nulla, sia perché il sistema vigente in questo Paese non ha davvero bisogno di così macroscopici regali.
       Appare del tutto evidente che la multiforme galassia degli oppositori al sistema, per quanto non necessariamente così minoritaria come potrebbe apparire, avrebbe bisogno di un po' più di accortezza nel muoversi, perché la strategia asimmetrica consiste nel creare situazioni in cui il più debole, mettendo insieme una notevolissima superiorità locale, possa avere ragione del più forte. Così non è, praticamente mai, e si raccolgono sconfitte a ritmi da collezionisti di figurine Panini.
       Non c'è immaginazione, all'opposizione. Nella migliore delle ipotesi, c'è iterazione di tattiche sbagliate e perdenti, oltre che errata individuazione del "nemico principale"; nella peggiore, c'è consociativismo, perché in Italia nessuno ama stare all'opposizione, e tanto meno starci troppo a lungo. Che tutto questo dipenda da voti, politici e/o referendari, è una pia illusione. Vorrei permettermi una considerazione volutamente crudele: qualcuno ricorda il voto politico del 1994, le grandi speranze suscitate e come sono andate a finire?
1) rapida emarginazione di quei pochi che avevano creduto in un progetto veramente alternativo;
2) riciclaggio di tutti i peggiori residui della Prima Repubblica (magari con la scusa che avevano esperienza di [mal]governo...);
3) completa e convinta adozione delle metapolitiche e delle pratiche del sistema precedente, per cui il nuovo governo NON si capiva in che cosa differisse dai vecchi. E poi in effetti si è capito che non differiva in nulla.

       Da vecchio storico, so che la Storia è tutto meno che magistra vitae, però, se qui non si cambia tutto, ma proprio tutto, a cominciare dall'approccio a questi problemi, siamo soltanto - e più che mai - al sempiterno "Facciamoci del male" di morettiana memoria.

                              Piero Visani