sabato 25 giugno 2016

Italiani in fuga

       Ci si trova lì, nel bar di una grande città. Ci si riconosce grazie a una chiamata di cellulare e iniziano i racconti reciproci. E' una persona con almeno venti anni meno di me, all'incirca, con una solida preparazione accademica. Avrebbe voluto rimanere all'università, ma, sul tema di cui è molto competente, ha sempre scritto cose che non rientravano nel mainstream e questo l'ha condannato. In un Paese libero e con "la più bella Costituzione del mondo", se non ripeti come una scimmietta le tesi dominanti, scopri presto che quel Paese non è poi così libero, ma terribilmente totalitario.
       Senza scoraggiarsi, come tanti altri il mio interlocutore ha preso a guardarsi intorno, si è dato da fare e ha avviato un'attività in un Paese lontano, ma molto promettente. Fa la spola avanti e indietro dall'Italia, dove peraltro rimane sempre meno, perché ha già capito quale fantastico futuro attenda il nostro Paese...
      Ci scambiamo gustose impressioni sui nostri contatti con le istituzioni ufficiali della nostra amata Patria, sul personale all'estero raramente reperibile sui luoghi di lavoro deputati, e facciamo qualche risata amara. Siamo "esuli in Patria", secondo la nota definizione di Marco Tarchi, ma non lo siamo per ragioni politiche, bensì per ragioni etico-comportamentali. Non ci va di legare l'asino dove vuole il padrone e siamo refrattari ad ogni forma di servilismo, così siamo in viaggio, apolidi di fatto, ma liberi.
       Non c'è più nulla che ci leghi alla nostra terra d'origine, salvo legami sentimentali o familiari. Siamo diventati, nel peggiore dei modi, "cittadini del mondo". Però, nel diventarlo, abbiamo sviluppato un olfatto sensibilissimo nel riconoscerci: non parliamo di vacanze (o di ferie...), lavoriamo H 24, siamo insofferenti a ogni forma di burocrazia, di nepotismo o di protezionismo politico, vogliamo solo fuggire, "entrare nel bosco". Viaggiamo verso lidi lontani perché abbiamo un'opinione dell'UE e delle sue regole pari a quella del 52% degli elettori al referendum sulla Brexit...
     Non ce lo diciamo - sarebbe inutile - ma sappiamo bene che "il nostro Paese ci ha fatto male". Tuttavia, non ci interessa più. La solidarietà umana che si sviluppa immediatamente tra noi, superiore a qualsiasi legame clientelare e/o mafioso cui dovremmo sottostare in Italia, fa sì che, entro sera, ci sentiamo già un po' fratelli e, ridendo, ci concediamo una piacevole cena insieme. E' un riso amaro - è vero - ma, in un Paese di servi, sentirsi liberi è una sensazione impagabile. Il mondo ci attende, e lo faremo nostro. Lo stiamo già facendo nostro.

                                    Piero Visani