mercoledì 18 gennaio 2017

Augusto Grandi, "Italia allo sbando" - Recensione

       Benché io sia una personalità relativamente semplice, sono spesso oggetto di prevenzioni e grandi fraintendimenti per la mia naturale e spiccata inclinazione a non farmi prendere in giro. Mi piacciono le persone sincere e, quando comincio a sentire una quantità significativa di stupidaggini spacciate come "verità scientifiche", non solo la cosa mi dà fastidio, ma lo dico proprio. Tendenzialmente, parlo molto poco e prediligo il silenzio, a condizione che l'interlocutore rispetti la mia modesta intelligenza. Se mi prende per scemo, allora glielo faccio notare: capire poco non equivale a capire nulla...
       Quando leggo, su un libro come quello di Augusto Grandi, Italia allo sbando (Eclettica Edizioni, Massa 2016), una frase come la seguente: "Il Sistema Italia è basato sulla fedeltà degli incapaci. Ai quali viene affidata la gestione dei gangli vitali di questo Paese", potete stare certi che, se non conoscessi l'Autore da poco meno di mezzo secolo e non avessi potuto fruire (insieme a Marco Tarchi) della sua "protezione" professionale ravvicinata in occasione di una ormai storica conferenza di presentazione della "Nuova Destra" in uno dei luoghi di culto dell'antifascismo torinese, il liceo classico "Massimo d'Azeglio", sarei corso a chiedere la sua amicizia, della quale invece fortunatamente mi onora, perché la figura che amo di più - Gramsci mi perdonerà - è quella dell'intellettuale disorganico, aggettivo che si contrappone anche plasticamente a quell'"organico" che, in riferimento all'intellettualità italiana, è solo una corretta ma indispensabile precisazione coprologica.
      Augusto Grandi è personaggio poliedrico, che ho visto nascere in un certo modo, in talune frequentazioni "carmagnolesche" di una vita fa e che poi ho visto evolvere nel migliore dei modi, sempre attento a non vendersi. Basti pensare - giusto un tocco di classe per illustrare la lungimiranza del Centrodestra locale... - che, in dieci anni di governo berlusconiano della Regione Piemonte, il solo fatto che egli giudicasse gli esponenti del medesimo quali ectoplasmatici rappresentanti del più assoluto nulla, e non lo nascondesse minimamente, ha fatto sì che il suo innegabile talento giornalistico e comunicativo non fosse mai utilizzato, preferendogli qualche servile untorello di turno, capace soprattutto di accelerare il ritorno del Centrosinistra al potere.
       Del suo modo di scrivere, e di essere, amo il fatto che è nato incendiario e non è mai diventato pompiere, e non si è venduto né per quattro lire né per quattro milioni di euro. Una schiena diritta, figura rarissima in quella che fu la Destra italiana. Capace di mantenersi con i suoi (notevoli) talenti, senza dover pietire incarichi o acquisire residenze monegasche.
       Tale dirittura morale emerge ovviamente anche dalle pagine di questo aureo libro, dove - invece che comportarsi come molti (presunti) intellettuali italiani, vale a dire mettendo la sordina sui problemi nazionali - li evidenzia tutti, con estremo vigore e senza fare sconti ad alcuno.
        Durissima è la sua requisitoria contro una classe politica che ha affossato la Nazione, così come non meno dura lo è nei confronti di un ceto imprenditoriale composto, nella maggior parte dei casi, da "padroni delle ferriere" ignoranti, autoreferenziali, miopi e ben decisi anch'essi a farsi strumentali al disegno politico-burocratico di trasformare i cittadini italiani dapprima in sudditi e poi in schiavi.
       Né se la cavano meglio certi manager, arrivati ad incarichi di prestigio perché "figli di..." (ufficiali o meno che fossero) e capaci soprattutto di sommare disastri, uno dopo l'altro.
       L'analisi di Grandi procede impietosa, evidenziando come un insieme di scelte ostili ai valori della qualità, della formazione di competenze, della cultura, abbia completamente distrutto un Paese, anche grazie - e questo mi piace ancora di più, della estrema sincerità dell'Autore - alla compiaciuta complicità di un popolo che "è antisistema solo perché è ancora in attesa [speranzosa, mi permetto di aggiungere io] di essere cooptato".
       E' un'Italia allo sbando, quella che Grandi descrive con precisione chirurgica. Riuscirà mai a rialzarsi? Se i suoi abitanti vorranno cessare di "fare i furbi" a tutti i costi, forse una possibilità l'avrebbe. Tuttavia, devo ammettere che - come "esule in Patria" da quando avevo solo 14 anni - la cosa mi interessa poco o punto. Personalmente, a questa ingrata Patria, che certamente non avrà le mie ossa, mi riesce solo di augurare il disastro totale, quello che, nei suoi quotidiani 8 settembre, legittimamente merita.

                                  Piero Visani