martedì 28 febbraio 2017

Pavesiana

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

     Cesare Pavese.


(La donna ritratta nell'immagine è, ovviamente, Constance Dowling, l'attrice americana di cui lo scrittore piemontese si innamorò profondamente e per la quale si suicidò).

                                                 Piero Visani



Poundiana


       Bene o male, ad onta di enormi "scherzi" esistenziali, penso che sia davvero così:


Quello che veramente ami non ti sarà strappato. | 
Quello che veramente ami è la tua vera eredità. 
(da Ezra Pound, Canti PisaniCanto LXXXI, Garzanti)

                                                 Piero Visani




Compagni di scuola, compagni di niente...

       Settembre 2011. In un celebre circolo di Torino viene organizzato un pranzo tra compagni di scuola di circa 45 anni prima. La nostra classe di IV e V Ginnasio presso il liceo classico "Massimo d'Azeglio" di Torino festeggia il centesimo genetliaco della sua professoressa di lettere. Siamo presenti quasi tutti.
       L'atmosfera, nelle eleganti sale di quel circolo, è assai affine a quella descritta da Carlo Verdone nel suo celebre film del 1988, Compagni di scuola. L'unico problema è che sulle nostre compagne di allora la scure del tempo ha falcidiato assai più che su noi maschi. La cosa mi diverte. Quella assurda compagnia di "Non te la do nemmeno se mi paghi" ridotta a pietire un po' di attenzione da noi che potremmo ancora "rimorchiare" bene senza troppo sforzo. Come sempre, la vendetta è un piatto che si consuma freddo...
       Niente di tutto questo, però, mi interessa. La compagna che ho amato non è venuta e quella che mi piaceva fisicamente è una specie di barile a due zampe, che cerca di destare attenzione e non vi riesce davvero più. Fa la simpatica, ma ci riusciva solo quando era una silfide, un'altezzosissima silfide.
      Sorrido: il mio vecchio compagno di banco, un noto avvocato del foro torinese, ed io sembriamo i fratelli minori dell'eletta schiera. Ce lo diciamo quasi subito, visto che a tavola siamo seduti vicini, con non poca, perfida soddisfazione.
      La mia attenzione, tuttavia, è puntata su altro, sulla comparsa, per la prima volta in penose celebrazioni come codeste, di un ex-compagno (compagno nel senso di sinistroide, oltre che di scuola), al quale devo un vecchio favore, nel senso che non sono mai riuscito a vendicarmi di un suo antico sopruso nei miei riguardi.
       Com'è conforme alla mia natura, quello diventa allora il mio pensiero dominante: la vendetta, il regolamento di conti. Ne parlo all'amico avvocato e anche lui ricorda il fatterello, anche se di natura è molto più bonario di me. Gli chiedo se potrebbe garantirmi una copertura tattica e lui - dopo avermi chiesto: "Ma davvero vuoi vendicartene adesso?" - si dice disponibile a darmela.
       La giornata di inizio settembre è molto calda e i saloni del circolo mal areati e mal climatizzati. Tutti i maschi si tolgono la giacca; io no, perché non lo faccio mai, detesto i comportamenti cheap. Le conversazioni si infittiscono, arrivano doni per la nostra docente e lei ricambia con i suoi; c'è una specie di appello scolastico, per lo svolgimento di questo rito e, quando arriva il turno di questo ex-compagno (che in ordine alfabetico stava prima di me), parte l'attacco: ben mirato, preciso, chirurgico e dunque privo di danni collaterali. Il noto avvocato mi copre il lato destro, a quello sinistro penso direttamente io. Quello che ho fatto preferisco non ancora dirlo pubblicamente: è presto. Ma l'ho fatto e il godimento che provo per la vendetta riuscita è pari ad almeno due orgasmi. E cammino un metro sopra il selciato per non meno di una settimana. 
       Il pomeriggio, al tennis (era un sabato), fornisco un'ottima prestazione. I conti sono in pari, che cosa posso pretendere di più dalla vita? Certo, ho aspettato quasi mezzo secolo, ma ne valeva la pena.

                        Piero Visani




                           

L'anticristiano

       Ci sono religioni il cui unico scopo pare quello di infliggere dolore. Inutile stare a specificare quali siano. In Italia, basta alzare la testa in qualunque borgo e vedrete incombere su di voi la sua fallica espressione. Espressione che non è intesa alla soddisfazione di eventuali esigenze femminili, ma alla sodomia di tutto un popolo, da quando è in età giovanile (tu chiamala, se vuoi, pedofilia), a quando diventa adulto (tu chiamala, se vuoi, sodomia), ed a forme di persuasione per nulla occulta.
       Le mie opinioni sulla medesima sono quelle di Friedrich Nietzsche e della tradizione pagana, e non starò qui a ripeterle. Posso solo dire - sarà pure per mia sfortuna, per carità -  che non ho mai conosciuto persone tanto sgradevoli, false e con una doppia morale quanto taluni appartenenti alla medesima. Con grande rincrescimento e in nome del (loro) benessere, hanno inflitto a me  (ma non solo a me, da quanto leggo, vedo e sento) varie forme di dolore, con tale gusto e impegno da farmi ritenere che la componente sadica non sia, in quella religione, tanto marginale.
       Per di più, nel mentre mi torturavano e mi massacravano, si preoccupavano di chiarire che non lo facevano per farmi del male, ma per farmi stare bene. Perché nella sofferenza altrui (non nella loro, ovviamente) risiede l'essenza profonda della loro assoluta e totale disumanità, che costoro - con apprezzabile inversione semantica - preferiscono chiamare "umanità".
       Li ho sempre odiati, dal profondo del cuore, anche se in genere mi astengo dal fare polemiche con chi per me rappresenta l'assoluto Nulla (si polemizza con il Nulla? Ovviamente no). Da qualche giorno credo di stare odiandoli ancora di più. Ma non ho problemi, ritengo infatti che l'odio sia uno dei sentimenti più positivi che possano esistere e lo coltivo come un fiore.

                             Piero Visani




Nuove guerre

       Ho sempre studiato - sicuramente per limiti miei - la dimensione polemologica del reale. Non ho mai approfondito, per contro, altre dimensioni, non solo del genere "L'uomo che fissa le capre", ma anche a livello alchemico, di riti vudù, di possibilità di colpire e fare mentalmente male a distanza. Mi sto procurando un'adeguata bibliografia in tal senso. Si tratta di conoscenze nuove che potrebbero sempre risultare utili.

                     Piero Visani



lunedì 27 febbraio 2017

Schmittiana

      L'essenza del politico è la contrapposizione amico/nemico. Non c'è peggior nemico di chi ha finto di esserti amico, perché è il nemico interno, l'inimicus, quello che ha approfittato di te e ti ha usato. Un soggetto infinitamente peggiore dell'hostis, il nemico esterno, quello che ti è quasi naturalmente nemico, per cause storiche, ideologiche o geopolitiche.
       E' sufficiente ricordarsene, in eterno.

                        Piero Visani




La buona educazione

       La buona educazione comporta che, quando ti chiedono una cortesia che tu sei in grado di fare, tu la faccia, immediatamente e con buona creanza.
       Ti chiedono con grazia di sparire e tu lo fai.
       La classe non è acqua e i desideri che possono essere soddisfatti sono un ordine, per una persona di stile.

                     Piero Visani




"Impegnati, impegnati!!"

       Mio padre - che era un uomo buono, dal cuore generoso, ma anche un'anima semplice - mi spronava sempre, da ragazzo: "Impegnati, impegnati! Hai buone qualità. Impegnati e vedrai che ce la farai!".
          Mi sono impegnato, anche moltissimo, ma non ce l'ho quasi mai fatta, né sul lavoro né in tutto il resto. Sto facendo un pensierino al disimpegno. Poi è ovvio che la mia indole prenderà nuovamente il sopravvento, però devo dire che - come mestiere e come già aveva intelligentemente notato Francesco Guccini ne "L'Avvelenata" - il "raccoglitore di sputi", detto anche "sputacchiera umana", è un'attività oggettivamente difficile, un po' in tutti i campi. 
       Non meno difficile è anche un altro mestiere, in cui eccello: "Le sue proposte sono bellissime e interessantissime, ma sono troppo per noi". Nemmeno il coraggio di dirmi che fanno schifo; no, pure la sublime iprocrisia del "sono troppo per noi"...
       Non mi resta che fare domanda, a vari livelli e in vari ambiti, per ottenere un sussidio di disoccupazione, perché per me l'impegno è un fantastico viatico ad ottenere calci nelle terga assai ben mirati. Va beh, dai, me ne farò una ragione. Come diceva il mio amato Filippo Tommaso Marinetti, "Marciare, non marcire!!".

                     Piero Visani



Minestre o finestre

       Fin da giovanissimo scolaro delle elementari, non sono mai riuscito a tollerare l'alternativa "O mangi la minestra o salti dalla finestra": fughe dal catechismo (consideravo già allora penosi i principi della religione cattolica), tentativo di sottrarmi alla prima comunione (e, non essendovi riuscito, relativa finta caduta sulle rive del fiume Po per infangarmi a fondo l'abito da cretino che mi avevano fatto indossare), falsificazione di firme genitoriali - alle superiori - per avere la dispensa dall'ora di religione, etc. etc.
       Da allora, l'alternativa testé citata ("minestra/finestra") viene da me ritenuta totalmente inaccettabile e risolta in un solo modo: meno di un nanosecondo dopo che mi è stata formulata, sono già in volo, poco importa che si tratti del piano terra di una casa di campagna, del terzo piano di un condominio o della cima di un grattacielo.
       Potete immaginare le mie condizioni: pieno di ammaccature, nel migliore dei casi; morto più volte, nel peggiore. Trattandosi di una condizione metaforica, non reale, posso dire di essere morto più volte; morto a persone e situazioni che mi avevano posto di fronte a quella prospettiva, che ritengo totalmente inaccettabile. Sono addirittura certo che, per chi mi conosce bene, mettermi di fronte a quell'alternativa sia il modo più indolore (per lui/lei) di sbarazzarsi di me. Per introdurre un fattore di non prevedibilità, cerco sempre di essere un po' più tranchant, nelle mie scelte, di quanto si era previsto che potessi essere, ma non sempre ci riesco, ovviamente.
       Questa alternativa mi ha accompagnato in molte situazioni di lavoro e in non poche relazioni personali, ma di fronte al deliberato deprezzamento della mia persona, di fronte a richieste che privilegiavano il trionfo della morte rispetto al trionfo della volontà, ho sempre preferito il rispetto della mia volontà di potenza. Volevo e voglio vivere, non rinunciare. Volevo gestire situazioni nel migliore dei modi, non buttarle via. Mi sarebbe piaciuto che, in caso di proposizione di tale alternativa, si fosse tenuto anche marginalmente conto del punto di vista mio, oltre che di quello altrui.
       Se e quando ciò non accade, cerco la finestra più vicina, quale che sia il piano in cui si situa, e mi soccorre l'ideologia: "Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora!" e "Viva i salti nel vuoto!", perché c'è molta più vita in certe morti che nel sottoporsi ai condizionamenti altrui.

                            Piero Visani



Blog "Sympathy for the Devil"


       Al termine di una "tre giorni" che ha visto il mio blog accumulare circa mille visualizzazioni, ringrazio i lettori per la loro attenzione, che mi inorgoglisce molto.
       Mi permetto di ricordare, a chi fosse interessato, che è possibile anche - andando sul blog - diventare lettori fissi del medesimo, semplicemente inserendo il proprio profilo Google nell'apposito elenco.
       Grazie ancora.

                              Piero Visani




domenica 26 febbraio 2017

Una sconfitta onorevole


       Io, che passo da una "sconfitta onorevole" all'altra in pressoché tutti i campi, ho apprezzato la sconfitta odierna dell'Ital-Rugby a Twickenham. Quando andavo in vacanza di studio nella ridente cittadina del Middlesex, avendo espresso la volontà di apprendere quel bellissimo sport, me ne insegnarono i rudimenti come li si potrebbe insegnare a un "kafir" (che tali del resto consideravano noi italiani). Venni adottato rugbisticamente da scozzesi e gallesi, decisamente più simpatici - in quanto Celti - dei loro dominatori Anglo-Sassoni, e mi tolsi pure qualche piccola soddisfazione.
       Nella sua fantastica carica di violenza rituale, dove L'UNICA COSA CHE NON è AMMESSA è IL DOLO (e questo spiega perché non si tratti di un gioco democratico e tanto meno liberista...), il rugby io lo adoro.

                      Piero Visani

sabato 25 febbraio 2017

I consigli del mio maestro di tennis

       Me lo diceva sempre il mio maestro di tennis (credo che fosse intorno al 1969), con i toni estremamente severi che gli erano propri: "Visani, smettila di aprire sul dritto e il rovescio in quella maniera! Hai in mano una racchetta da tennis, non un ventaglio per fare aria a un faraone!".
       Colpito dalla natura tanto bislacca di quell'esempio, gli chiesi a che cosa volesse alludere in concreto, che cosa si celasse dietro una frase del genere. Lui smise di colpo i suoi toni abitualmente burberi e mi disse, guardandomi nel fondo degli occhi: "Visani, io ti ho capito, sai? Fai il freddo e distaccato, ma sei generoso e molto passionale. Stai attento, perché sono due qualità che ti procureranno non pochi danni!" 
       Non gli ho mai dato retta, perché sono testardo e ostinato, e mal me ne incolse. Ma non sono pentito. Non mi sono mai pentito di niente, nel bene come nel male. Ho fatto sempre quello che ritenevo giusto fare.

                            Piero Visani 




venerdì 24 febbraio 2017

Piazza pulita


       Bel servizio, ieri sera nella trasmissione "Piazza pulita" di La7, sullo sciopero dei tassisti e ambulanti romani. Era da tempo che non assistevo a un così incoraggiante insieme di dichiarazioni animate da collera, esasperazione, odio, desiderio di vendetta. Mi ha illuminato la serata. Manca ancora la pentola (o le pentole...), ma gli ingredienti per il pastone si stanno mettendo lentamente insieme tutti.
       Non so se la classe politica italiana guardi abitualmente la televisione, non credo, però ieri mi erano più chiare le ragioni di fondo di certi viaggi di "aggiornamento politico-sociale" in California e dintorni, che Federico Rampini ha brillantemente bollato come attestazione di "sommo provincialismo", ma che potrebbero avere come pendant anche la curatela di interessi vari, da "piano B", per intenderci. Come le case a Montecarlo, a Dubai o nel Caribe. Perché ovviamente, quando nelle condizioni emotive di chi ho visto ieri sera ci sarà una parte significativa del popolo, qualche residenza "a loro insaputa" in giro per il mondo, possibilmente in paradisi fiscali, potrà sempre venire utile.
       Non lo scrivo come auspicio, ma come constatazione da entomologo "umano", il ruolo che preferisco da quando, a casa mia, sono riuscito a liberarmi totalmente dall'invasione delle cimici.

                               Piero Visani

Adempimenti


       La vita "nel migliore dei mondi possibili" è una schifosa sequela di adempimenti intesi a mantenere a mie (nostre) spese tali soggetti pleonastici. Qualunque discorso che faccia astrazione da tale fondamentale constatazione mi annoia, e infatti tendo a non farne.         

                                                   Piero Visani


giovedì 23 febbraio 2017

Blog "Sympathy for the Devil": Classifica dei post più letti (21 Gennaio - 20 Febbraio 2017)

      Questo mese ha visto il superamento di slancio delle centomila visualizzazioni e la crescita delle medesime fino a 103.000. Il numero di visualizzazioni quotidiane è stato raramente inferiore alle 120 e, in una occasione, ha toccato le 500.
       L'elenco delle prime 15 posizioni nella classifica generale delle visualizzazioni evidenzia quanto segue:
  1. "Preparatevi alla guerra!", 1.341 (+3) - 02/07/2016;
  2. Salvatore Santangelo, "Gerussia" - Recensione, 990 (+8) - 17/12/2016;
  3. Non sarà il canto delle sirene, 891 (+3) - 06/08/2014;
  4. Carlo Fecia di Cossato, 830 (=) - 25/08/2015;
  5. It's just like starting over, 587 (+2) - 11/12/2012;
  6. Storia della guerra - 14: L'esercito di Federico il Grande, 456 (+18) - 19/10/2013;
  7. L'islamizzazione del radicalismo, 330 (+1) - 03/07/2016;
  8. Non, je ne regrette rien, 309 (+5) - 29/12/2012;
  9. Umberto Visani, "Mai stati sulla Luna?" - Recensione, 281 (+16) - 16/12/2016;
  10. Una questione di stile: Giorgio Albertazzi, 251 (+1) - 28/05/2016;
  11. Un'evidente discrasia (in margine ai fatti di Parigi), 224 (=) - 08/01/2015;
  12. Elogio funebre del generale August-Wilhelm von Lignitz, 200 (+4) - 29/01/2014;
  13. Augusto Grandi, "Italia allo sbando" - Recensione, 199 (+65);
  14. Formal Dinner, 196 (+2) - 12/11/2016;
  15. JFK e lo "zio Adolf", 186 (+2) - 17/05/2013.
       Di fatto, il protagonista di questo mese è stato il post Augusto Grandi, "Italia allo sbando" - Recensione, che è entrato ai massimi vertici della classifica, totalizzando 65 nuove visualizzazioni. Tutte le altre posizioni di punta sono rimaste invece invariate, anche se Salvatore Santangelo, "Gerussia" - Recensione, è ormai a un soffio dalle mille visualizzazioni.
       Un ulteriore dato significativo è che, per poter essere inseriti ai massimi vertici della classifica generale ormai occorrono poco meno di 190 visualizzazioni, il che alza sempre più l'alticella per i post che ambiscano ad avere molto pubblico.
       Per quanto concerne invece i post che sono apparsi nel mese in oggetto, i tre risultati migliori sono stati raggiunti da Spezzeremo le reni all'UE! (154 visualizzazioni), La tragedia degli equivoci e L'ombra del diavolo (entrambi con 102 visualizzazioni).
       Per concludere, le visualizzazioni sono salite a 103.000 circa e i post a circa 2.900, il che sta a significare che il numero medio di visualizzazioni per singolo post è passato da 35,0 a 35,5, realizzando - per l'ennesimo mese consecutivo - un nuovo record del numero medio di visualizzazioni per post.

                           Piero Visani


                                  

Conferenza 22 Febbraio 2017


     Bella serata nella sala della Vittoria Alata del Comando della Prima Regione Aerea di Piazza Novelli, a Milano. Grazie alla sapiente regia degli organizzatori - tra cui, oltre al Comando stesso, occorre ovviamente annoverare la sezione milanese dell'Unuci, e ad entrambi va il mio sentito ringraziamento - la partecipazione è stata nutrita (circa un centinaio di persone, calcolate dalla Questura, non dal sottoscritto...) e molto interessata.
       Maurizio Cabona ed io siamo andati relativamente a ruota libera, partendo dallo spunto tematico iniziale per poi muovere in varie direzioni, come è tipico dei "pathfinders"...
       Mi dicono che l'intera registrazione della conferenza sarà disponibile tra pochi giorni su Youtube e ovviamente renderò noto quale sia il link.
       Qualche amica che tuttora dubita della mia esistenza reale, potrà dunque ricredersi, il che non necessariamente implica pentirsi, anzi...

                         Piero Visani

martedì 21 febbraio 2017

Grande Guerra e Vittoria nella memoria nazionale

       Ne tratterò domani a Milano alle 18, in una sala del Comando della Prima Regione Aerea, insieme all'amico Maurizio Cabona. Ho sviluppato nel corso degli anni alcune ideuzze sul tema e le presenterò senza pretese di esaustività, ma come teorie personali, anche e soprattutto grazie ai robusti stimoli che, in una conversazione del genere, l'amico Maurizio è sempre in grado di fornirmi.
       Ci terremo accuratamente lontani dalla retorica, ma cercheremo di inquadrare il tema in una luce fondamentale, sovente disattesa: il ruolo del mito nella formazione e nella perpetuazione della memoria di un popolo. E lo faremo in forma non accademica (ahinoi, non apparteniamo all'eccelsa corporazione), ma dialettica, guardando a come il passato continui a condizionare il presente, spesso a nostra totale insaputa (e questo è grave...).

                       Piero Visani

lunedì 20 febbraio 2017

Automazione, robotica e lavoro


       Tra le tante cause addotte per giustificare la "grande stagnazione", ormai destinata a trasformarsi in "stagnazione secolare", una delle più divertenti è quella riferita al ruolo dell'automazione, che sottrarrebbe e annullerebbe posti di lavoro, ciò che più o meno equivale a sostenere che, siccome un'auto non ha benzina, è guasta...
       Finanza tossica, furti privati e soprattutto di Stato, economie a pezzi, etc. etc., tutto questo conta poco: la colpa è dell'automazione e della robotica, i nuovi capri espiatori.
       C'è però un settore dove robotica e automazione vanno alla grande, ed è quello mediatico: infatti, in esso, più che sopprimere posti esse sono riuscite in un insperato miracolo, la trasformazione dell'essere "umano" (non voglio esagerare...) in una macchina. Il Minculpop (Ministero della Cultura Popolare) del "pensiero unico" emette più volte al giorno i suoi "distillati di saggezza" e l'"uomo macchina" di giornali e televisioni li riproduce pedissequamente, senza capire che diavolo scrive e tanto meno perché lo scrive (a parte uno stipendio non sempre lauto).
       Qualcuno ancora, nel mainstream mediatico, si attiene al "copia e incolla"; i più, per contro, riproducono e basta, e si sentono pure terribilmente intelligenti, nonché alquanto "à la page": non si lavora più, non si pensa più (e al riguardo occorrerebbe chiedersi se lo si è mai fatto, anche solo per errore...) e si riproducono solo le "veline" del Minculpop planetario, le quali - ahivoi! - neppure somigliano alle "olgettine" ben note...
       Niente più lavoro: solo automazione che ha prodotto robot consenzienti e soddisfatti di esserlo, ovviamente "nel migliore dei mondi possibili", quello del totalitarismo sodomita, quello grazie al quale te lo ritrovi nelle terga e ti piace pure (a molti, quanto meno...).

                                 Piero Visani

sabato 18 febbraio 2017

Il tutt'uno


      Condividi il pensiero unico? Sì, allora puoi dire TUTTO (tanto è uno...).
       Non lo condividi, cane bastardo e populista? Allora devi capire che, se di tua scelta deliberata NON stai e NON vuoi stare dalla parte dei BUONI, dovrai necessariamente pagarne il fio. Come si fa, del resto, A NON VOLER ESSERE BUONI? Ti rendi conto dell'abominio che stai commettendo?
       Comprenderai dunque che, se insisti cocciutamente a non pensare con la nostra testa, ma con la tua (orrore!!!!!), tutto ciò che scriverai dovrà essere sottoposto a censura, preventiva e repressiva, perché - amico caro! - tu diffondi solo "bufale" e "post-verità". Come fai a non sapere, E SOPRATTUTTO A NON CAPIRE CHE SOLO NOI SIAMO I DEPOSITARI DELLA VERITA', perché non mentiamo mai e profferiamo solo affermazioni comprovate dai fatti?
       Perché ti ostini a correre dietro a "cover up", "false flag" e complottismi siffatti. E' tutto chiaro e semplice: i buoni stanno da una parte, e siamo noi, tutti coloro che si oppongono loro sono cattivi e stanno dall'altra.
      Attento a quello che fai, quindi, perché ora siamo all'apertura della fase della repressione censoria, poi riapriremo i manicomi, per te e per quelli come te!
       Uomo avvisato...

                           Piero Visani

Le guerre


       Tra i problemi più gravi che si hanno, quando si entra in guerra (e per di più in un gigantesco conflitto civile planetario), si annoverano i seguenti:
1) Ce ne siamo accorti?
2) In caso affermativo, come intendiamo combatterla, facendo riferimento a quelle precedenti o a quelle future?
3) Siamo consapevoli della natura assolutamente rivoluzionaria della nostra guerra (esempio clamoroso di totale incomprensione: la Germania del 1939-45, che combatté una guerra prussiana, non nazionalsocialista, e che perse TUTTE le occasioni possibili di farne una guerra rivoluzionaria, per il sempiterno problema del complesso di (infondata) superiorità che si porta dietro)?
4) Disponiamo degli strumenti per vincerla, o ci accontenteremo di un conflitto testimoniale?
5) Abbiamo compreso COME si combattono le nuove guerre, grandi o piccole che siano, o muoveremo all'assalto del nuovo che avanza con i "collaudati" strumenti del passato, quelli che almeno una garanzia la offrono: la sicura sconfitta?
       Poi ovviamente di interrogativi potrebbero essercene molti altri, ma uno almeno è dominante e immutabile: è chiaro che ci troviamo di fronte a una gigantesca guerra civile planetaria tra "beati possidentes" e "underdog", oppure ambiamo a fare come i partiti socialisti del 1914, i quali - invece che fare riferimento al loro universo di valori, condivisibili o meno che fossero - si fecero ricattare dalle retoriche nazionalistiche della cultura dominante? Nel caso di specie, a individuare - ahahahahaha!! - nell'Islam il "nemico principale". Magari lo sarà pure, ma lo è degli "occidentali". Personalmente, il solo concetto di Occidente mi dà il vomito...
      Non sono quesiti da poco, e chi scrive non ha certo risposte definitive, ma porre il problema nella giusta luce è già una sia pur minimale forma di soluzione. Per contro, vedo solo guerre per poltrone. Tanto lecite quanto inutili, fatta eccezione per i glutei di coloro che vi poggeranno sopra.

                              Piero Visani

giovedì 16 febbraio 2017

I presupposti


       E' del tutto evidente che, per coloro che nell'Eurolager riescono a stare ancora bene (beati loro!), della sorte di quelli che stanno male o malissimo non gliene può importare di meno. E' mero darwinismo sociale e - anche se non mi risulta proprio essere una visione ultrademocratica - non ho particolari obiezioni. Ho sempre pensato che la vita sia molto semplice: il più forte mangia il più debole. Fine. Il resto è pura declamazione retorica.
       Quello che mi fa sorridere è che, se ai pesci piccoli viene una mezza ideuzza di cercare di tutelarsi un po' meglio, di vivere meno sprofondati nel guano assoluto, nel non dover sempre sorrridere per le tonnellate di sterco che viene loro imposto di mangiare perché "ce lo chiede l'Europa", la semplice ipotesi dell'autodifesa diventa qualcosa di devastante, criptorivoluzionario e ovviamente polemogeno.
La più classica "par condicio" di natura squisitamente democratica, genere Marchese del Grillo: "io so' io e voi siete etc. etc,".
       A lungo reiterata, portata avanti con crescente scherno del popolo, questa condizione comincia a generare insofferenza, fastidio, poi con il tempo è destinata inevitabilmente a lievitare..
      Sorrido, queste cose - anche se le devo vivere sulla mia pelle - mi divertono. Illustri economisti parlano da tempo, in particolare per l'Eurolager, di "stagnazione secolare": forse una ripetizione, in chiave ovviamente stercoraria, del "Reich millenario" che fu.
       E allora - certo di trovare un consenso ad ampio spettro e costituzionalmente benedetto - non mi resta che invocare: "Ora e sempre Resistenza!!".
       Per tutto il resto, visto che non ci basterà in alcun modo Mastercard, dovremo trovarci degli Alleati (scritto con la "A" maiuscola, ovviamente), perché dai lager si fugge solo se arriveranno gli Alleati. Ma arriveranno...?

                    Piero Visani

Polemologo

       Un amico milanese mi telefona per farsi accreditare per la conferenza che terrò mercoledì prossimo nel capoluogo lombardo e mi dice: "Non sapevo che cosa volesse dire la parola 'polemologo', ho dovuto andare a cercarne il significato".
       Rispondo: "Beh, non è parola molto nota e comunque non sono io il responsabile di cosa viene scritto negli inviti".
       Lui insiste: "Ma l'hai suggerita tu?"
       "Sì" - ammetto - "ma perché è un termine ampolloso per dire 'disoccupato cronico, o quasi...'".
       Ride, anzi ridiamo. In effetti, in un Paese assolutamente pacifista, a cominciare dalle Forze Armate, dove potrebbe lavorare un polemologo, ammesso e per nulla concesso che io lo sia?
       Poi, siccome è un ottimo amico, gli svelo l'arcano: "siccome sono sempre in guerra, non solo con gli altri ma spesso anche con me stesso, 'polemologo' è la definizione che meglio si attaglia alla mia condizione di conflitto permanente con l'universo mondo. Anche perché, appena smetto una guerra, mi viene subito il desiderio di iniziarne un'altra, così, per mero divertimento, per sottrarmi al tedio esistenziale. Dunque probabilmente saprò poco o nulla di polemologia, ma di guerre ne ho combattute molte e vorrei continuare, per quanto possibile...".
       Il mio interlocutore sogghigna. Mi conosce da molti anni e sa che, in me, la distinzione tra serio e faceto è rovesciata: chiamo faceto il serio e serio il faceto, se no non riesco a vivere. E poi, se non amassi e studiassi i conflitti, con tutti quelli che ho dovuto combattere, in ogni campo, sarei già mille volte morto. E invece sono qui, a farmi forza, a cercare di combatterne un altro, anzi molti altri, visto che non mi va mai di mollare. Con un solo obiettivo, non propriamente esaltante per i più, ma alquanto stimolante per me: quello di requiescere in bello...

                          Piero Visani




mercoledì 15 febbraio 2017

Un patto sociale contro i populismi


       Nell'edizione odierna del quotidiano "La Stampa", il noto politologo statunitense Charles A. Kupchan, ex-consigliere del presidente Obama, scrive un peana in favore dell'esigenza che "tutti i centristi del mondo" (vedete, a volte si riesce persino a diventare "la voce della fogna" senza neppure pensarlo...) hanno di unirsi in un patto sociale contro i populismi, per lui incarnati per ora da Donald Trump e Theresa May, ma con molti altri in lista d'attesa.
       Non discuterò i contenuti dell'articolo, visto che è la solita tiritera dei "beati possidentes" contro i depredati di tutto il mondo, ormai diventati nuovi diseredati, gli "underdog" di una narrazione che - a dirla tutta - non pare proprio animalista...
       Il finale comunque è un'autentica perla, che i kapò dell'Eurolager dovrebbero incorniciare nei loro lussuosi uffici: "...almeno per ora, la leadership europea è la migliore speranza per l'internazionalismo liberale"....!!!!!
       Non ho ancora smesso di ridere, ai limiti delle convulsioni. A parte che di liberali, in Europa, tra ex-agenti non pentiti della Stasi e socialisti a tempo pieno ne vedo davvero pochissimi - e comunque, ammesso e non concesso che ce ne siano, il loro sarebbe il "liberalismo dei divieti", che potrebbe forse risultare anche un'espressione vagamente contraddittoria - alla fine ho capito quale sia lo "zoccolo duro" delle tesi di Kupchan: IL RIPRISTINO DELLA SCHIAVITU'. E' un programma forse un po' "forte", ma chiaro: il "patto sociale contro i populismi" consiste nell'alleanza di tutti gli establishment mondiali (e dei loro lacchè) per rendere schiavo il resto della popolazione. Del resto, è un patto sociale chiarissimo: NOI SOPRA, VOI SOTTO. Non vi piace...?

                         Piero Visani




Finis

       La vicenda è squallidissima - è vero - ma il protagonista della medesima è mai stato diverso dalla vicenda stessa? La sua natura è emersa solo oggi? 
       Perché vedo parecchi soggetti impegnati in un fuoco di saturazione ad alzo zero, ma io ho passato meno di due anni in AN essendo accusato di "lesa maestà" non dal Capo, cui di me non poteva fregare di meno, ma da una miriade di servi sciocchi che oggi - a quanto pare - si sono dimenticati tutto, anche il fatto di essere stati, sempre e comunque, dei miseri e miserabili lacchè.
       Come sempre in Italia, si diventa antifascisti dopo che qualcuno (meglio: qualcun altro) ha fatto cadere il fascismo... Chapeau!
       Io mi ricordo più che altro genuflessioni, ricerche di "captatio benevolentiae" e ducistici riferimenti a "il Capo ha sempre ragione".
       Vuoi vedere che sia un classico caso in cui "la Ragione aveva torto...?"
       Che pena.

                       Piero Visani

martedì 14 febbraio 2017

La tragedia degli equivoci

       Ricordo, in anni lontani (ma neppure troppo), una discussione al CASD (Centro Alti Studi per la Difesa) sul nostro impegno militare in Iraq. Ricordo l'entusiasmo di molti militari (sempre assai pronti a legare l'asino dove vuole in padrone e per nulla inclini ad ammettere che, essendo il padrone un asino, avrebbero finito per legare l'asino dove voleva lui stesso...) sul fatto che la "militarità" italiana era molto diversa dalle altre, assai vicina alle popolazioni (come testimoniato da migliaia di foto di nostri soldati intenti a carezzare lattanti e bambini più grandicelli) e dunque in grado di mescolarsi "senza rischi" ad esse per la conquista "delle menti e dei cuori" delle medesime; e ricordo altresì come queste posizioni, per quanto le conoscessi da circa un quindicennio, mi avessero fatto sorgere una collera profonda, che mi portò ad affermare pubblicamente, anche se molti dei miei interlocutori di allora storsero il naso, che il loro entusiasmo "pacifista" sarebbe stato gradito ai politici fino a che si fosse dimostrato generatore di consenso. Se quel "pacifismo", per contro, avesse spalancato la porta a un attentato che avrebbe potuto provocare un certo numero di morti, allora la classe politica di governo non avrebbe esitato un attimo a rimproverare loro una palese carenza di "militarità".
       Le mie parole non piacquero e la cosa certo non mi sorprese: non si può dire a quelli, che per funzione dovrebbero essere "credenti", che in realtà sono "atei" e magari lo sono, più che per convinzione, perché dimostrarsi "allineati e coperti" serve molto a fare carriera...
      Oggi - ma non è certo la prima volta che mi accade - leggo sul quotidiano torinese "La Stampa" - che la Corte d'Appello di Roma, Prima sezione civile, ha condannato l'ex-generale dell'Esercito Bruno Stano, nel 2003 comandante della missione in Iraq e attualmente in pensione, a risarcire le 19 vittime italiane della strage di Nassiriya (12 novembre 2003).
       L'incipit dell'articolo è una fantastica sintesi della stupidità italica, quella che scopre le cause di un fenomeno DOPO che ci sono già stati 19 morti: "A Nassiriya si era in guerra, ma qualcuno non voleva capirlo. Insistendo sull'aspetto di 'missione umanitaria', anzi, si esposero i soldati e i carabinieri a un rischio eccessivo".
       Qui subentra una figura fondamentale, in tutte le vicende politiche e militari di questo sciagurato Paese: quella del capro espiatorio. Non credo che il generale Stano, alla pari di molti suoi colleghi e subordinati, non si rendesse conto della reale situazione esistente in Iraq nel 2003, subito dopo l'invasione americana. Molto più semplicemente, gli faceva comodo non accorgersene, perché sapeva bene che quello era ciò che voleva da lui la classe politica, vale a dire organizzare l'ennesima sceneggiata con tante photo opportunities con bambini e vegliardi locali, arruolati (anche a pagamento) per far vedere che il mito degli "Italiani, brava gente" è sempiterno e inscalfibile. Ovviamente, essendo la nostra una classe politica di "uomini d'onore" (latamente intesi), non appena ci sono stati da allineare 19 cadaveri di connazionali vittime di un attacco "terroristico" (o patriottico? Pure questa è una questione aperta, visto che gli iracheni stavano difendendo il loro Paese, arbitrariamente invaso), il voltafaccia da essa operato è stato immediato e a 360° gradi e, quelli che fino al giorno prima erano pacifisti ad oltranza, sono diventati i più veementi accusatori del fatto che la base italiana nella città irachena non era adeguatamente difesa, sotto il profilo militare.
      Che dire? Il disgusto mi blocca ogni ulteriore commento. Sui politici, non credo serva aggiungere alcunché. Li conosciamo fin troppo bene. Sui militari, mi è sufficiente dire che non sempre il calcolo di fare i lacché dell'ideologia e della classe dominante si rivela vincente. Spesso giova, talvolta no. Quanto alle 19 vittime del fatto, e alle loro famiglie, se ancora pensano di essere state vittime degli iracheni, ebbene si sbagliano di grosso...

                                 Piero Visani



Verbo di coniugazione sempre più frequente


Io chiudo
tu chiudi
egli chiude
noi chiudiamo
voi chiudete
essi (per ora) non chiudono.
       Il che, volendo, indicherebbe l'esistenza di un obiettivo chiarissimo, alla terza persona plurale, conseguito il quale si potrebbe pensare che diventi più frequente il verbo "aprire" o "riaprire".

                  Piero Visani

Il "Bel Paese" ove il no suona...


       Una volta suonava il "sì", nel "Bel Paese", ma ormai non è più così. Ora, in tutti i campi che io frequento per lavoro, è una successione ininterrotta di "no". No a questo, no a quello, no a un progetto, no a un preventivo, no a un'ipotesi, NO A TUTTO.
       C'è poi una fase due: nei rarissimi casi in cui si incontra un "sì" nella fase iniziale, si va diritti incontro ad un macroscopico "no" quando si passa alla formulazione di un preventivo, per quanto risicato fino all'osso, con margini di guadagno che verrebbero schifati persino da un lumpenproletario della fine del XIX secolo. "No, troppo caro". "No, mi fanno questo lavoro ad un decimo di quello che mi chiede lei". No, no e no.
       Guai poi ad avere la pessima, direi fatale idea di fare riferimento alla qualità del lavoro stesso. Quello è un accenno tombale: "E chi se ne frega della qualità? Mi faccia il lavoro, possibilmente al costo più prossimo allo zero. Tutto il resto non conta".
       Sono fasi di vita interessanti, quelle nel "migliore dei mondi possibili". Direi che, in linea teorica, è davvero un mondo che istiga al suicidio, ma non è che sono tutti così fessi dal gratificare un mondo che rifiuta tutto di un duplice regalo. Si accontentino del rifiuto, il suicidio è proprio da escludere, per quanto mi riguarda. Dopo tutto, se tutti noi non faremo più niente, sai che decollo dell'economia!

                                Piero Visani

Complimento


       Un amico di FB, scrivendo un commento che non mi riguardava in alcun modo, ha scritto che "i romagnoli sono belligeranti per antonomasia". Di famiglia secolarmente romagnola, per parte paterna, trovo questo commento un complimento bellissimo, che davvero mi ha molto gratificato. Credo sia vero: delle paci, il cui unico pregio è concedere spazi infiniti ai sodomiti, non ho mai capito troppo che farmene. Per parafrasare una celebre affermazione, direi: "se non ci fosse un nemico, dovremmo inventarcelo"... Una soluzione ottimale e anche divertente.

                         Piero Visani

sabato 11 febbraio 2017

Maida Vale, London

       Luglio 1972. Una calda estate. La mia seconda vacanza di studio in college in Inghilterra, dopo quella dell'anno precedente. In college stavo a Twickenham, cittadina della Greater London, nella contea del Middlesex, e tuttavia, non appena finivano le lezioni pomeridiane (non ricordo se alle 16 o alle 16.30), correvo alla stazione a prendere il treno che portava al centro della metropoli.
       Mia era la mia terza "conquista" di quella vacanza spensierata, dopo una spagnola e una finlandese. Eravamo compagni di classe, al college, ma la sua conoscenza dell'inglese era ben superiore alla mia. Ci aveva avvicinato l'attrazione che ho sempre provato per le donne belle ma problematiche. E lei era molto bella: ben oltre il metro e settanta d'altezza, occhi azzurrissimi, capelli biondi, lunghe gambe affusolate, non un etto di grasso (peculiarità che tendo ad apprezzare ad infinito, essendo la figura da modella il mio personale archetipo femminile).
      Avevamo cominciato ad uscire insieme verso la fine della mia vacanza inglese, poco dopo che lei, arrivata nel college molto dopo di me, era stata inserita nella mia classe. Mi aveva colpito la profonda tristezza che traspariva dal suo sguardo e subito volli saperne le ragioni. Non mi interessano le felicità, mi interessa la tristezza e i modi con cui un uomo può aiutare una donna (bella) a togliersela di dosso. Temo sia una condanna esistenziale, peraltro da me vissuta consapevolmente.
      Cominciammo presto ad uscire insieme, dopo che lei ebbe accettato senza problemi di fare con me una gita a Richmond, splendida cittadina nelle vicinanze, provvista di un enorme parco. Poi le nostre peregrinazioni cominciarono ad estendersi, la confidenza crebbe e Mia mi raccontò la causa della sua apparentemente ineliminabile tristezza. Era rimasta orfana di padre e madre, deceduti in un terribile incidente stradale, all'età di 12 anni, insieme a una sorellina di 6. Il servizio sociale di Malmoe, città da cui proveniva, aveva ritenuto del tutto errato, sotto il profilo psicologico, distogliere lei e la sorella dalla casa di famiglia, per cui le aveva fornito un consistente contributo finanziario e l'assistenza pressoché continua di due assistenti sociali, a lei e alla sorella, perché potessero terminare gli studi in ambiente familiare.
       Quando la conobbi, poteva avere 20-21 anni e di lei mi affascinavano - come sempre mi è accaduto - i repentini sbalzi di umore, il suo passare da una gioia sfrenata a una tristezza apparentemente ineliminabile, il tutto intervallato - come è stata peculiarità di tutte le scandinave che ho conosciuto - da lunghi periodi di "calma piatta", in cui avrei potuto chiederle: "ma ci sei, sei connessa?".
       Le nostre lunghe peregrinazioni londinesi, che cominciavano intorno alle 17 e potevano finire anche all'albeggiare del giorno successivo, ci portarono un pomeriggio davanti ai mitici studi di Abbey Road. Erano passati meno di tre anni dalla pubblicazione del celeberrimo album dei Beatles e la via era già oggetto di pellegrinaggio. Dopo aver dato uno sguardo in giro, ci allontanammo a piedi per il quartiere, decisi a raggiungere Regent's Park. Fu così che, senza saperlo, finimmo in Maida Vale.
       Mia lo lesse nell'indicazione all'angolo della via e commentò: "Che buffo nome!". Io sorrisi, sapendo bene a che cosa si riferiva, ma tacqui, come faccio sempre in casi del genere, per non risultare saccente.
       Percorremmo due o tre isolati, ma alla fine Mia si fermò di nuovo di fronte al cartello toponomastico e sbottò: "Ma chissà a cosa si riferisce?".
       Non mi trattenni più: "Si riferisce alla battaglia di Maida, in Calabria, combattuta il 4 luglio 1806 tra truppe francesi e inglesi, rimasta piuttosto famosa nella storia militare perché - secondo fonti britanniche - sarebbe stata la prima volta in cui gli inglesi, combattendo in linea e disponendo quindi di una superiore potenza di fuoco, ebbero ragione dei francesi, che avanzavano in colonna e potevano quindi contare su un volume di fuoco decisamente inferiore. Una peculiarità tattica che sarebbe continuata, praticamente senza varianti, fino a Waterloo, e che avrebbe quasi sempre visto i francesi soccombere". [All'epoca, ancora non sapevo che, quasi trent'anni dopo, nel 1998, questa interpretazione tradizionale sarebbe stata contestata, quanto meno in relazione al solo scontro di Maida, da un certo numero di storici, e mi rifacevo dunque alle fonti più note].
      Di fronte alla mia dotta spiegazione, Mia ebbe una reazione che, da allora, la storia militare (quantunque io abbia insistito a spiegarla ad un certo numero di signore...) non ha provocato più: mi afferrò di scatto e, benché fossimo sulla pubblica via, mi diede un interminabile French Kiss che mi lasciò vagamente interdetto e stordito perché, fino ad allora, i nostri rapporti erano stati parecchio freddini. E commentò ammirata: "You are a great military historian!"  Quella stessa sera, al college, la battaglia di Maida (alla quale sono ancora oggi simpaticamente legato) mi giovò un premio anche maggiore...
      Non sono più tornato, da allora, a vedere quello specifico punto di Maida Vale, anche se lo ricordo nitidamente ancora oggi. Mia la persi di vista quando le mie vacanze di studio in Inghilterra finirono e, sebbene il giorno in cui partii per l'Italia sembrasse affranta, non rispose mai alle mie lettere, come nella più classica delle storielle estive giovanili.
       Un ricordo che mi ha fatto sovvenire l'importanza, a tutti i livelli e gli effetti, di una solida conoscenza della storia militare. Quella, bene o male, non mi è mai mancata. I "vantaggi collaterali" che sarebbero potuti derivarne, ahimè, sicuramente sì.

                                Piero Visani






























venerdì 10 febbraio 2017

Com'è profondo il mare


       Sono assolutamente d'accordo che affondare il nobile ideale europeo insieme all'Eurolager equivalga a buttare via il bambino (invero molto infante, ancora...) con l'acqua sporca. Al tempo stesso, però, supporre che l'Eurolager abbia qualcosa a che vedere con il nobile ideale europeo equivale a confondere un carceriere con un guerriero. Assolvono due compiti diversi, o sbaglio?
       E comunque, riuscire a nuotare in un mare procelloso tenendosi una silfide come Angela Merkel sulle (s)palle, è davvero da "cavalieri che fecero l'impresa".
       Si può provare, ovviamente, ma sono anni che ci sta trascinando a fondo e - se ancora ci fosse un minimo di lucidità mentale, in questo Paese - si capirebbe che è una politica totalmente errata, quella dell'Eurolager. Perseguita con accanimento terapeutico e con la nota ostinazione teutonica, può solo condurci - per dirla "à la Len Deighton" - a un "Funerale a Berlino", il nostro.

                                   Piero Visani




Essere o parere

     Mi affacciai alla seconda fase della mia esistenza sui verdissimi prati della Merry Old England: volevo partecipare, fare, osare. Vedevo gioventù allegra come quella che compare nel finale di Blow Up, di Michelangelo Antonioni. Provai a partecipare, pensando che in qualche misura potesse giovarmi, ma ben presto mi accorsi che quella che per loro era una finzione che poteva diventare realtà, per me era realtà che tendeva a diventare finzione (o addirittura finzione destinata a rimanere tale) e che, tanto più fingevo, quanto più mi osservavo da fuori, con sovrano distacco, e non mi sentivo partecipe di nulla.
       Ancora oggi, mentre gioco realmente a tennis, quel mio giocare mi appare una finzione, al punto che talvolta la palla potrebbe esserci o non esserci, che per me sarebbe uguale, eseguirei i medesimi movimenti...
       In fondo, la mia vita è stata così: una gigantesca finzione che io non ho mai finto di interpretare come realtà, ma che anzi ai miei occhi è rimasta sempre finzione. Certo, ho visto migliaia di persone accettare quella finzione come realtà e addirittura identificarvicisi, ma io non ci sono mai riuscito.
       Credo che sia questo che mi ha spinto in un forte isolamento: non ho mai accettato la finzione, non ho mai dato prova di pensare, nemmeno per un attimo, che quella che mi veniva presentata - anche con molta seriosità - come una realtà, fosse qualcosa di diverso da una pessima finzione. E così mi sono ritrovato solo (o quasi) in quei prati di un verde abbacinante, a fare finta di vivere ed a guardarmi vivere, perché - per mia natura - "io vivo dentro, io vivo fuori" e so ancora guardarmi con distacco, tanto quando sono immerso nella mia realtà quanto quando me ne distacco.
       Tutto questo è stato un viatico di infelicità forte, ma anche di comprensione acuta: ho smesso di confondere - come mi sarebbe stato richiesto dalla Matrice - funzione e finzione, e mi sono rifugiato in una dimensione mia, dove sia giocare davvero a tennis, sia fingere di farlo con tanta partecipazione da trasformarlo in realtà, non mi hanno mai ingannato sulla reale natura del loro significato: zero. Per questa ragione amo molto il finale di "Blow Up", perché in meno di cinque minuti spiega - se lo si vuole capire - come sia davvero la nostra vita.

                                                  Piero Visani                                           



                                                  

mercoledì 8 febbraio 2017

La classe non è acqua


      I commenti più "divertenti", sul giovane suicida di Udine, sono quelli dove algore e distacco procedono di pari passo. Gente che lancerebbe alti lai se - per errore, ovviamente - pestassi leggermente una zampa al loro cane o al loro gatto, tratta di questa vicenda cose se fosse avvenuta su Marte.
       La sensazione di fastidio è evidente: orsù, ci sono cose ben più importanti cui pensare - nell'ordine: il Festival di Sanremo, la necessità di stabilità politica, la governabilità, il debito pubblico, le proprie personali fortune patrimoniali. Umana pietà: zero meno zero, e la situazione peggiora quando parte l'inevitabile accusa: era un soggetto disturbato, sicuramente mosso da motivazioni egoistico-narcisistiche. Ora tutti parleranno di lui e lui, nell'Aldilà, sarà certamente contento. Era quello che cercava, un po' di notorietà a buon mercato.
       E' proprio vero: questo Paese ha una grandissima sensibilità solo in favore di criminali politici e/o comuni: a quelli, perdona tutto. Agli altri, anche se si limitano a scegliere il suicidio (e invero potrebbero fare molto di più e molto meglio, avendo deciso di andarsene), non è riservata alcuna pietà.
       Due pesi, due misure. E non disturbate i manovratori, mi raccomando. Lasciateli lavorare per il "bene della Patria". E' da tanto tempo che lo fanno. Se poi questo costa qualche vita di "disturbato", è il prezzo della sua follia. Chapeau!

                      Piero Visani

La società del BDSM


       Se sei una "risorsa" e incorri negli abominevoli comportamenti della Polizia, a Parigi, giustamente tutti gridano allo scandalo e parte la flagellazione di massa.
       Se invece ti suicidi, sottraendoti deliberatamente a tale flagellazione, i più stentano a capire e si chiedono: "ma perché si è sottratto alla società del BDSM, la nostra, che - dopo tutto - è pur sempre il migliore dei sistemi possibili...?". D'accordo, soffriva, ma solo gli psicopatici non sanno soffrire (ecco la giustificazione cara a Leopold von Sacher-Masoch).
       Lenin ti devi aggiornare: "Flagellate, flagellate, qualcosa resterà". Ma non chiamatevi fuori dalla società del BDSM, altrimenti i nostri padroni e noi come ci divertiamo?

                           Piero Visani

Non esistono più le mezze stagioni


Leggo sulla stampa italiana, qua e là, che sta per "ricominciare la stagione dei sacrifici". Ah, ma perché era finita? E quando, di grazia...?

                     Piero Visani

Chiamo classico il "sano" e romantico il "malato"


       Sono curioso di vedere quante testate, oggi, parleranno di Michele, il trentenne friulano suicida per disperazione, e quante invece delle beghe politiche, del Festival di Sanremo o del campionato di calcio.
      Devo però dire che i commenti individuali che leggo qua e là non mi confortano per nulla. Ci sono rabbia e sdegno, vivaddio!, ma anche una grande ricerca di cause individual-psicologiche, come se si trattasse - ovviamente - dell'ennesimo esemplare di soggetto disturbato. Invece coloro che ritengono "normale" un regime politico-sociale devastante come questo sono "sani", vero...?

                                   Piero Visani

Una piccola, grande Vasto


       Per il momento, siamo alla fase dell'"incidente". Che cosa accadrà poi, è nelle nostre mani e "lo scopriremo solo vivendo". Ma sarà proprio quello il problema, riuscire ancora a vivere in un regime criminale come questo:

LETTERA DI ADDIO SCRITTA DA UN GIOVANE TRENTENNE DISOCCUPATO FRIULANO CHE SI E TOLTO LA VITA OTTO GIORNI FA : "Ho cercato di essere una brava persona, ho commesso molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte,Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.
Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.
Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.
A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.
Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.
Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.
Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.
Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.
Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.
Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.
Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.
Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.
Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.
P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.
Ho resistito finché ho potuto".


       Sono parole fantastiche, da incidere nella pietra, di un giovane non superficiale, che aveva capito tutto. Certo questo giovane era cresciuto nell'Europa imbelle e pacifista, dove gli è stato deliberatamente insegnato - da governi e classi dirigenti al di sotto di qualsiasi giudizio - che di fronte al disastro totale ci si suicida, perché i valori guerrieri sono un orrore assoluto. Gliel'hanno insegnato non a caso, ma perché assolutamente consapevoli del fatto che, diffondendo una cultura imbelle e masochistica, sarebbero sopravvissuti qualche decennio di più.
       Sono divertito dal fatto che non uno straccio di psicologo, sociologo o tuttologo senta la necessità di spendere due parole su fenomeni come questi, sempre più frequenti: un'intera generazione spazzata via da una casta di criminali. Poi penso che - ovviamente - "uscire fuori dal coro" è pericoloso, si rischia lo stipendio (di norma non da disoccupato cronico), e allora è preferibile tacere o scrivere qualche geremiade a buon mercato.
       Tuttavia, sono fermamente convinto che nessuna classe dirigente possa seminare tonnellate di dolore - come sta facendo l'attuale classe dirigente nazionale ed europea - senza che prima o poi tale dolore non le si ritorca contro.
       Come ho scritto, siamo alla prima parte dell'"incidente di Vasto". Cosa succederà poi, sarà una nostra scelta: individuale, ancor prima che collettiva.

                                                             Piero Visani


P.S.: ho vissuto 66 anni provando gli stessi sentimenti e molte delle sensazioni di quel giovane. Se non mi sono suicidato, è solo perché il mio senso della storia mi ha fatto pensare che, se anche io avessi passato tutta la vita con in mano la lama (e non il manico) di un coltello, non sarebbe stato sempre così. Ho cercato di insegnare a mio figlio, e a chi per lui, che quel tipo di impugnatura è intercambiabile. Loro lo insegneranno ad altri. I conti si fanno sempre alla fine. Mai interrompere il percorso prima. Niente regali al NEMICO.