martedì 14 febbraio 2017

La tragedia degli equivoci

       Ricordo, in anni lontani (ma neppure troppo), una discussione al CASD (Centro Alti Studi per la Difesa) sul nostro impegno militare in Iraq. Ricordo l'entusiasmo di molti militari (sempre assai pronti a legare l'asino dove vuole in padrone e per nulla inclini ad ammettere che, essendo il padrone un asino, avrebbero finito per legare l'asino dove voleva lui stesso...) sul fatto che la "militarità" italiana era molto diversa dalle altre, assai vicina alle popolazioni (come testimoniato da migliaia di foto di nostri soldati intenti a carezzare lattanti e bambini più grandicelli) e dunque in grado di mescolarsi "senza rischi" ad esse per la conquista "delle menti e dei cuori" delle medesime; e ricordo altresì come queste posizioni, per quanto le conoscessi da circa un quindicennio, mi avessero fatto sorgere una collera profonda, che mi portò ad affermare pubblicamente, anche se molti dei miei interlocutori di allora storsero il naso, che il loro entusiasmo "pacifista" sarebbe stato gradito ai politici fino a che si fosse dimostrato generatore di consenso. Se quel "pacifismo", per contro, avesse spalancato la porta a un attentato che avrebbe potuto provocare un certo numero di morti, allora la classe politica di governo non avrebbe esitato un attimo a rimproverare loro una palese carenza di "militarità".
       Le mie parole non piacquero e la cosa certo non mi sorprese: non si può dire a quelli, che per funzione dovrebbero essere "credenti", che in realtà sono "atei" e magari lo sono, più che per convinzione, perché dimostrarsi "allineati e coperti" serve molto a fare carriera...
      Oggi - ma non è certo la prima volta che mi accade - leggo sul quotidiano torinese "La Stampa" - che la Corte d'Appello di Roma, Prima sezione civile, ha condannato l'ex-generale dell'Esercito Bruno Stano, nel 2003 comandante della missione in Iraq e attualmente in pensione, a risarcire le 19 vittime italiane della strage di Nassiriya (12 novembre 2003).
       L'incipit dell'articolo è una fantastica sintesi della stupidità italica, quella che scopre le cause di un fenomeno DOPO che ci sono già stati 19 morti: "A Nassiriya si era in guerra, ma qualcuno non voleva capirlo. Insistendo sull'aspetto di 'missione umanitaria', anzi, si esposero i soldati e i carabinieri a un rischio eccessivo".
       Qui subentra una figura fondamentale, in tutte le vicende politiche e militari di questo sciagurato Paese: quella del capro espiatorio. Non credo che il generale Stano, alla pari di molti suoi colleghi e subordinati, non si rendesse conto della reale situazione esistente in Iraq nel 2003, subito dopo l'invasione americana. Molto più semplicemente, gli faceva comodo non accorgersene, perché sapeva bene che quello era ciò che voleva da lui la classe politica, vale a dire organizzare l'ennesima sceneggiata con tante photo opportunities con bambini e vegliardi locali, arruolati (anche a pagamento) per far vedere che il mito degli "Italiani, brava gente" è sempiterno e inscalfibile. Ovviamente, essendo la nostra una classe politica di "uomini d'onore" (latamente intesi), non appena ci sono stati da allineare 19 cadaveri di connazionali vittime di un attacco "terroristico" (o patriottico? Pure questa è una questione aperta, visto che gli iracheni stavano difendendo il loro Paese, arbitrariamente invaso), il voltafaccia da essa operato è stato immediato e a 360° gradi e, quelli che fino al giorno prima erano pacifisti ad oltranza, sono diventati i più veementi accusatori del fatto che la base italiana nella città irachena non era adeguatamente difesa, sotto il profilo militare.
      Che dire? Il disgusto mi blocca ogni ulteriore commento. Sui politici, non credo serva aggiungere alcunché. Li conosciamo fin troppo bene. Sui militari, mi è sufficiente dire che non sempre il calcolo di fare i lacché dell'ideologia e della classe dominante si rivela vincente. Spesso giova, talvolta no. Quanto alle 19 vittime del fatto, e alle loro famiglie, se ancora pensano di essere state vittime degli iracheni, ebbene si sbagliano di grosso...

                                 Piero Visani