venerdì 30 giugno 2017

Gettysburg, 1-3 luglio 1863

       Domani è il 154° anniversario della cruciale battaglia di Gettysburg, quella che - nell'opinione comune - avrebbe deciso le sorti della Guerra Civile Americana. Sono sempre ostile a giudizi così netti, tuttavia mi permetto di segnalare qui - a quanti leggono l'inglese - due libri che vale davvero la pena di leggere:

1) Richard S. SHUE, Morning at Willoughby Run. The Opening Battle at Gettysburg, July 1, 1863, Thomas Publications, Gettysburg 1998, 321 pp., che è dedicato solo alle fasi iniziali della battaglia, la mattina del primo giorno.

2) David G. MARTIN, Gettysburg July 1, Combined Books, Conshohocken (PA), 1995, che è dedicato invece a tutti gli eventi del 1° luglio.

         A mio parere, sono due tra le migliori opere su quella grande battaglia.

                        Piero Visani



Tenere le distanze

       Credo che una delle cose più positive, nei rapporti umani, sia svuotarli di contenuti di ipocrisia. Ci sono rapporti in cui il "tu" era quotidiano, frequente, abituale. Quando però tali rapporti si incrinano, è mia personale abitudine passare al "lei", visto che è venuta meno tale dimestichezza. Ho sempre formulato con chiarezza tale richiesta, accompagnata dall'esortazione a fare in modo che eventuali percorsi comuni venissero meno, nel senso che si provvedesse al minimo sforzo di cambiare strada... Cosa alla quale mi sono sempre accinto di buon grado. Il fatto che i cosiddetti rapporti civili siano per me un po' più che vomitevoli, non significa minimamente che io, in alternativa, offra rapporti incivili. Molto più semplicemente, mi dedico all'eliminazione dei rapporti, nel senso che - per me - l'unica alternativa ad un'eventuale intimità è la totale estraneità, nel senso sottile e bellissimo che non si è esistiti, l'uno per l'altro; non c'è stato un pregresso; non ci sono ricordi e non c'è stato alcunché di condiviso. Solo purissimo guano.
       Posso anche scrivere di queste cose - e l'ho pure fatto - ma sto scrivendo di un poltergeist presente nelle mia mente, non di una persona vera. Non scriverei mai di gente che mi ha fatto del male. Scrivo di proiezioni presenti nella mia mente, frutto della mia fervidissima fantasia autoriale.
       Ci sono un sacco di persone che non mi apprezzano, e non penso certo di voler abbattere la barriera dell'estraneità, con costoro. Ma coloro i quali hanno dato prova di apprezzarmi, e poi hanno cambiato idea, quelli sono finiti. Per sempre. 
           Devo riconoscere che quasi tutte le persone che con me hanno compiuto questo deplorevole itinerario hanno finito - con maggiore o minore facilità e rapidità - per adeguarsi alle mie richieste, passando in un primo tempo dal "tu" al "lei", poi cessando ogni rapporto e infine - e di questo sono loro molto grato - arrivando addirittura a negare di avermi mai conosciuto. Questo mi ha fatto molto piacere, perché vuol dire che hanno infine compreso che non ero io quello che hanno conosciuto. Era un altro. Scelgano loro chi. A me non interessa.

                         Piero Visani




giovedì 29 giugno 2017

L'innesco


       Ho già scritto che potrebbe essere molto più facilmente esterno che interno. Con una precisazione: quanti "fighters" attualmente in sonno sono già entrati grazie alle frontiere e ai controlli colabrodo di questo Paese?
       E quale sarà la volontà di lotta di un popolo che dal 1° luglio potrà vedersi depredato ogni deposito bancario dalla classe politica attuale (non faccio distinzioni di colore), oltre a vedersi controllare i prelievi in contanti etc. etc. etc.?
       I tempi sono sempre più lunghi del prevedibile, in queste cose, poi accelerano. E moderatismo, stabilità, governabilità diventeranno quel nulla totale che sono già ora. 
       Tutto ciò che deve arrivare, arriverà e faremo giustamente la fine degli struzzi, perché ci siamo nascosti mettendo la testa sotto la sabbia. E cosa è rimasto fuori...?
       La sola idea di poter rendere questo regalo a moderati, riformisti, conservatori, perbenisti, progressisti e "razionali" mi eccita dal profondo.
       Ricordarsi il mitico incipit del film "La Haine": stiamo scendendo di qualche altro piano. Evviva!

                              Piero Visani



Interrogativi esistenziali


       L'amico Roberto Alfatti Appetiti ha fatto circolare questo cruciale interrogativo posto da Carl Gustav Jung:
"Io non sono ciò che mi è capitato di essere. Io sono ciò che ho scelto di diventare".
Chi di voi può fare propria questa affermazione di Carl Gustav Jung? Io no
.
      Ho risposto senza problemi: "io sì". Con ciò, non intendo certo farmi bello agli occhi di chi legge, ma semplicemente di riassumere, in due parole, le scelte di vita che ho compiuto.
       Dal momento della selezione della facoltà universitaria, a quello del lavoro, a quello di fondamentali cambi di attività, ho sempre "scelto di diventare".
        Ancor più a livello personale, dove i "non essere puerile", "fai quello che ti dico", "fai quello che è necessario", "fai quello che è più conveniente", "restiamo amici", etc. etc., si sono sprecati fino a tempi recentissimi. Fortunatamente, io dei rapporti umani e delle scelte eterodirette non me ne faccio alcunché, cosippure come non mi interessa di avere una dimensione sociale. Sono selvaggio, asociale, ribelle. Ogni volta che si è cercato di cambiarmi di natura sono scomparso, per sempre.
       Non "sono come tu mi vuoi" o "come voi mi volete". Ho fatto sempre di testa mia. Non credo neppure di aver perduto molto. Se non andavo bene, amen.

                      Piero Visani

29 Giugno

      Tra gli otto e i 16-17 anni, il 29 giugno - Santissimi Pietro e Paolo, nel calendario cristiano - è stata una data che proprio non potevo sopportare. Benché io mi chiami Piero (e dunque, almeno in linea teorica, del tutto estraneo a certe iatture), c'era sempre qualcuno, nel parentado e altrove, che doveva farmi i suoi auguri di buon onomastico. Abbozzavo, ma una collera potente mi devastava l'anima, perché già allora - per una questione di pelle, assolutamente preculturale - con il cristianesimo non volevo avere nulla a che fare.
       Non potevo spiegare alcunché del mio disagio a una famiglia italianamente cattolica come la mia, che cioè assolveva a certi obblighi più in un'ottica sociale che di reale osservanza religiosa, e allora cercavo furiosamente risposte dovunque possibile, e leggevo, leggevo, leggevo.
       Non ero un bambino che vivesse estraniandosi dagli altri: avevo i miei amichetti, giocavo a calcio ed ero un promettente portiere, ma non ero in sintonia con la società e le persone. Mi sentivo un diverso e questo - per miei limiti culturali e per mancanza di supporti familiari e psicologici - mi turbava parecchio. Qualche anno dopo, a partire dai 13 anni circa, l'incontro con alcuni autori (su tutti Friedrich Nietzsche, ma anche Giuseppe Prezzolini, la cui levità di scrittura era molto adatta ad un adolescente poco acculturato come me) mi ha dato il senso della mia diversità.
      L'ho accettata e l'ho giocata a modo mio, cercando di gettare ponti verso il mondo esterno. Qualche volta - raramente - quel "gettare ponti" mi è riuscito, il più delle volte no. Ho sviluppato amicizie maschili molto profonde, che durano felicemente ancora oggi, mentre i rapporti con l'"altra metà del cielo" sono stati molto più complicati.
        Ho subito molti rifiuti, variamente motivati, fino a che sono giunto a non sopportarli più ed a muovermi nel mondo reale con la cautela di un soggetto che abbia fatto voto di castità, ma qualche errore, qualche "errore di saggezza", l'ho commesso e mi è costato carissimo.
       Nutro un'idea molto particolare dei rapporti umani e, in particolare, di quelli che mi vedono coinvolto in prima persona. Non li considero assogettabili a logiche sociali. Se lo vedo fare, la cosa mi addolora molto e allora la prima cosa che mi preoccupo di fare è di distruggere qualsiasi tipo di ponte nella direzione in cui l'avevo gettato. Lo considero infatti un'offesa personale grave, gravissima, irreparabile. La mia concezione tragica dell'esistenza non ammette il dolore procurato, quello inferto, perché ne provo già a sufficienza da solo. Al tempo stesso, non mi va di essere assimilato ad un ometto qualunque. So bene che si può fare, che lo si fa quotidianamente, ma farlo a me significa cancellarmi. Infatti io non ho ex, non ho "rapporti civili" o quant'altro. Nasco e muoio in un attimo. Vivo il mio personale radicalismo con estrema gioia. Io sono così, prendere o lasciare. E l'essere stato spesso lasciato non mi ha fatto minimamente cambiare. Compio 67 anni fra meno di un mese, so di cosa sto parlando. Ho difeso la mia visione del mondo per un periodo così lungo che non è davvero un problema difenderla ancora per qualche anno. Aborro l'omologazione.

                             Piero Visani



  

mercoledì 28 giugno 2017

Lavaggi di coscienza

       Un amico comune mi riferisce che c'è una persona - con cui un tempo ci fu un rapporto di grande fratellanza maschile - che sta molto male e che gradirebbe chiudere il contenzioso che ci ha diviso per qualche decennio.
       "Non ci fu alcun contenzioso" - preciso: "solo una pugnalata alle mie spalle, inferta anche con una certa soddisfazione da parte sua. Dunque non capisco che cosa voglia ora. Prima sono stato vittima, ora dovrei diventare anche strumentale ad un suo molto tardivo lavaggio di coscienza? Non mi pare proprio il caso".
       "Che gli dico?" - insiste l'amico.
       "Buon viaggio, tanto è una gita che faremo tutti".

                        Piero Visani



Il giorno dell'invasione


       A livello polemologico, i fattori esogeni sono sempre molto più importanti di quelli endogeni. Magari il ministro Minniti, che di queste cose sicuramente un po' se ne intende, avrà avvertito gli storditi del suo governo e del suo partito.
       In ogni caso, "tempo al tempo e lo [vedremo]", visto che chi semina vento raccoglie tempesta e chi [dis]semina umani, cosa raccoglie?
      Si avvicina a passi molto rapidi il momento dell'urto frontale tra le "nobili" affermazioni di principio e la tragica realtà dei fatti. Ad un certo punto, basterà poco perché non ci si vada più a bruciare - per disperazione - dentro una sede Inps. Potrebbero succedere eventi di altra natura, non spontanei, ma assolutamente e lucidamente eterodiretti. Anche pagando - e chi deve capire mi capisce - non è che riesci sempre a pagare tutti e non necessariamente il giusto. Senza contare che ci sono coloro che NON hanno bisogno di soldi e possono avere precisi interessi politico-strategici.

                      Piero Visani


Letture di pregio


       Ho appena ricevuto il Quaderno 2017 della Società Italiana di Storia Militare (SISM), di cui sono membro, dedicato quest'anno alla "Economic Warfare".
       In "sole" 763 pagine, i maggiori esperti del settore sviscerano a fondo il tema della guerra economica. Siccome è un tema su cui non so granché, me lo leggerò a fondo. Ormai sono diventato onnivoro, in termini di letture. Ho notato infatti che serve moltissimo al conseguimento del mio obiettivo più immediato: quello di diventare totalmente "outwordly". Se leggo tantissimo, infatti, più di quanto non abbia mai letto in passato (e già leggevo molto), mi accorgo più facilmente e con minore fatica del livello dei miei eventuali interlocutori, il che favorisce la mia "splendid isolation" e mi tiene a distanza di sicurezza da "balenghi" e soprattutto "balenghe".

                             Piero Visani



La decrescita infelice

      Non sono un fautore della "decrescita felice". L'unica decrescita che conosco, a tutti i livelli, è quella infelice.
       Sono stato vittima di molte decrescite, tutte infelici, e ho reagito alla mia maniera, cercando di gettare la migliore luce possibile su ciò che era ancora lecito illuminare. Ho appena scritto due romanzi, su questo.
       Gradirei moltissimo essere lasciato tranquillo, nel senso di essere tenuto al di fuori di banalità e volgarità. Non ho nulla contro alcuno, ma vorrei non essere tirato in ballo in niente e per niente. In tutte le civiltà c'è rispetto per i defunti (anche per quelli metaforici).
       Ho una mia sensibilità, molto diversa dalla media, e non ho nulla contro la sensibilità media, ma io non c'entro. Avere compiuto dei percorsi con me può essere stato propedeutico, talvolta persino maieutico, così come lo è stato - e l'ho scritto - per me (e credo che quest'ultima sia una bella ammissione). Poi però non vorrei finire, magari essendovi trascinato per i capelli, in un mondo che non è mio, fatto di lazzi, frizzi, battutine da due soldi (da quattro sarebbe già dire troppo) e altro ciarpame nazional-popolare, quello dove le persone si cambiano come le scarpe, oggi blu in coordinato con il colore della borsa, domani nere per lo stesso motivo, sabato sneakers, domenica infradito. Tutto ciò mi urta, è soverchiamente cheap.
       Io ho lasciato la mia impronta su certe situazioni, ma ovviamente poi tale impronta svanisce, scompare, si estingue, e magari subentrano comportamenti più disinvolti, che vanno benissimo - sia chiaro - ma se non coinvolgono me o chi per me.
       Io chiedo solo di essere considerato defunto - metaforicamente o no, non mi importa - e credo si tratti di richiesta legittima, nonché conforme a certe aspirazioni di parte. Defunto significa dimenticato e da non citare mai, per nessun motivo, tanto meno con falsa dimestichezza, inesistente da tempo. E non ho un passato comune, perché quella è la prima cosa che è stata cancellata.
       Io non esisto più, per certe persone. Chiedo la cortesia che se ne tenga conto. E chiedo anche di essere cortesemente espunto da ogni forma di memoria. Non sono un ex o quant'altro. Sono niente. Non sono uomo da mediazioni o patteggiamenti. Ho in orrore il diritto.
       Grazie.

                    Piero Visani



Lo spessore delle persone


       Anni di impegno profuso a vuoto sintetizzati in un aggettivo falsamente giovanilista (e ormai orribilmente datato) e in un sostantivo vernacolare. Per fortuna che me ne sono fatto una ragione, ma siamo ben oltre l'offensivo, siamo in una sgradevolezza che è del tutto priva di senso, come se ci si rivolgesse ad un famiglio. E' a lui che si può parlare così, non a me. Con me teniamo le distanze, grazie, oppure facciamo ricorso ad un linguaggio consono.

                         Piero Visani

Il senso grossolano della Storia


       Verrà il giorno in cui le vite dei "beati possidentes" incroceranno quelle dei milioni di "underdog" che essi hanno potentemente contribuito a creare.
       Da soggetto di formazione storica, dico che quel giorno è sempre venuto, anche se non sarà domani o dopo.
     Verrà e alcune "cosettine", per un po', saranno messe a posto. Poi ovviamente torneranno fuori posto, per la tradizionale questione dei "corsi e ricorsi storici", e tuttavia, ancora una volta, ci sarà nuovamente "l'eterno ritorno dei valori" e chi ora ride e se la gode, o i suoi eredi, cesseranno per un po' di farlo. Anzi forse "cesseranno" del tutto. 
       Non ci sarà una particolare soddisfazione in tutto questo, ma lo si dovrà fare, semplicemente perché questo è il senso grossolano della Storia. E' per questo che cercano di farla studiare sempre meno ai nostri figli, perché dimentichino che la Storia, a certi appuntamenti, si presenta sempre e - considerato che di norma ha tempi lunghi - è pure sempre puntuale.

                      Piero Visani

Il mio iter relazionale

Ignorato in quanto misterioso.
Ricercato in quanto misterioso.
Provocato in quanto misterioso.
Scoperto.
Gradito in quanto scoperto (e nuovo).
Gestito (in quanto ancora relativamente nuovo).
Gestito (in quanto ancora da sfruttare, a vario titolo: regali, ristoranti, viaggi, etc.).
Percepito come sovrabbondante (non fisicamente, intellettualmente e umanamente).
Pesante, difficile da sopportare.
Come liberarsene?
E' fatta! Evviva!
Ma come ho fatto a "digerirlo" così a lungo?
Non ne potevo più, mie care!
Sbeffeggiamenti, diretti e indiretti.
Damnatio memoriae.

       Un autentico cliché. Senza generalizzare (cerco di non farlo mai), la fantasia - a livello comportamentale - non è una delle doti femminili più diffuse.
       Non ho messo la fase "rimpianti", perché non credo proprio di poterne suscitare. 
       So che la fase "Sbeffeggiamenti, diretti e indiretti" in genere dura a lungo e mi auguro di suscitare molta allegria, in quanto giova alla salute.

                               Piero Visani



martedì 27 giugno 2017

Confessioni di una mente pericolosa


       Ho appena scritto due romanzi - è vero. Ho raccontato molto, ma non tutto, e ancora devono uscire...
Ma credo che, prima di lasciare - insalutato ospite - questa valle di lacrime, mi piacerebbe davvero raccontare tuttto. Ci penserò, perché credo di dovermelo.
      Dovrò essere soltanto molto più vecchio di quanto non sia ora, e sono già molto vecchio. Ma ora potrebbe essere frainteso.
       Tra dieci anni, invece, sarà la mia "My Way", una canzone che si canta e si suona da soli. Sempre che ci arrivi, tra dieci anni. Non ho paura. Le vite buttate non sono perse. Sono solo buttate: è diverso.

                          Piero Visani



I perché


       Ne ho indagati molti, ne ho trovati pochi. In qualche caso avrei preferito trovarli, in molti altri NON trovarli.
       Ho capito che sono sempre stato rovinato dall'omologazione, ma - in fondo - quello già lo sapevo. Non me ne sono fatta propriamente una ragione, semmai una non troppo allegra compagna di vita. E' virilità pure questa.

                    Piero Visani

Precisazione


       Ci sono dei termini, invero alquanto "cheap", che sono del tutto estranei al mio forbito interloquire e che non userei mai, anche per la loro palese natura plebeo-volgare.
       Tanto meno mi permetterei - in questa fase postuma - di rivolgere contestazioni sgarbate o quant'altro, ormai del tutto archiviate e fuori luogo.
      Ho semplicemente evidenziato i frutti di un'analisi semantica con qualche modesto risvolto psicologico, da me compiuta per la mia abituale inclinazione alla riflessione sulle cause dei fenomeni, di qualsiasi tipo essi possano essere.
      E mi permetterei altresì di suggerire sommessamente il ricorso al "Lei" o - meglio ancora - al "Voi". Esprime maggiormente distanza, quella che sussiste tra persone di classe, e io ne possiedo molta.

                      Piero Visani



Incontri al bar - 1

       Da quando il mio amico Fabrizio Rossettini - il protagonista della vicenda narrata nel mio primo romanzo - ha saputo che questo sarà pubblicato subito dopo l'estate dagli amici di Idrovolante Edizioni, mi tormenta quasi quotidianamente. In un primo tempo, era in preda a una sorta di gioiosa eccitazione per la pubblicazione; poi voleva sapere a tutti i costi la data della medesima, ed ho dovuto tranquillizzarlo. Da qualche tempo, invece, è in preda a tormenti. Così ho deciso di incontrarlo al "Gran Bar" di Piazza Gran Madre, a Torino, uno dei luoghi abituali dei nostri colloqui.
       "Ho riletto molte volte la tua ultima versione del romanzo" - esordisce - "e sono soddisfatto. Ma ho un appunto da farti: qua e là è troppo freddo e distaccato".
       "E' il mio carattere" - gli rispondo - "e poi forse non ti ricordi di quanto fosse 'sopra le righe' la tua prima stesura, con il rischio di crearti anche problemi di vario genere. Io ho reso il tutto molto più lieve, preservando i lati belli della vicenda".
       "Sì, può essere" - ribatte lui, poco convinto - "ma non hai preservato la mia identità. Il Fabrizio Rossettini, protagonista del romanzo, talvolta è più te che me. Si pone interrogativi suoi, non miei".
       "E quali sarebbero gli interrogativi che non mi sarei posto?", gli chiedo con una dose di malcelata ironia.
      "Quelli veri, quelli fondamentali, quelli relativi alla deliberata distruzione di una bella storia. Nella mia versione originale, quella che poi ho trasmesso a te perché la emendassi, c'erano".
       "E' vero" - ammetto - "ma un romanzo non è e non può essere una mera cronaca. Occorre guardare in trasparenza e pensare che è scritto da una sola persona, l'Autore, e non da due, cioè i due protagonisti. Ne consegue che ci vuole molta levitas e che è meglio parlare di ciò che si sa, cioè dei sentimenti e delle emozioni tue, non di quelle di cui non si sa, o non si sa abbastanza, e ci si limita ad interpretarle, vale a dire le emozioni della protagonista femminile".
       Fabrizio tace, ma pare poco convinto, poi prosegue: "Mi fido di te, ma io l'avrei reso più personale, ci avrei messo di più delle mie sofferenze, della mia identità violata, della mia dignità conculcata".
       "Sarebbe stato uno sciocco regolamento di conti", obietto io. "Meglio lasciar parlare gli eventi, visti come li hai visti tu con i tuoi occhi, senza pretendere altro".
      "Si capiranno le mie ragioni e i miei comportamenti?", mi chiede lui, quasi ansioso.
      "Ha importanza?", chiedo io, sapendo che una domanda del genere lo farà arrabbiare.
       "Sì, caspita, sì che ne ha. Non voglio fare la figura dello scemo!". E alza anche troppo la voce, nel dirlo.
      "Non credo proprio che la farai" - ribatto io - "Al massimo sei stato ingenuo, ma neppure troppo. Il giusto".
       "Dici davvero?" - mi chiede lui, con aria sorpresa.
       "Fidati di me" - cerco di tranquillizzarlo - "Non sono mai stato granché bravo a gestire l'ex ante e il 'durante', ma gestire l'ex post di qualsiasi vicenda è una mia specialità: ci sono gli eventi, ma anche la memoria dei medesimi. E' stato a lungo il mio mestiere!".
       Fabrizio infine sorride: "Lo vedremo alla prova dei fatti".
       "Certo, fidati!".

                             Piero Visani



"Hell Riders" - Recensione

         Come è possibile passare dall'"histoire bataille", con le sue mappe, i suoi grafici, la descrizione dei movimenti delle truppe sul terreno, a una microhistoire militare dove tutto quanto è stato appena citato non manca, ma è per così dire nobilitato e impreziosito da una formidabile ricerca d'archivio condotta sulle memorie, le lettere e le testimonianze personali dei 664 cavalleggeri britannici che presero pare alla "Carica della Brigata Leggera" a Balaclava (25 ottobre 1854), durante la guerra di Crimea, da noi meglio conosciuta come "La Carica dei Seicento"?
       E' possibile farlo se si è degli storici di primissima qualità, come dimostra di essere Terry Brighton nel suo aureo libro Hell Riders, The Truth about the Charge of the Light Brigade (Viking, London 2004, 370 pp., 14.99 sterline in versione tascabile), che è una ricostruzione minuziosissima di quella che è forse la più celebre carica di cavalleria della storia.
       Dopo un capitolo introduttivo sullo scoppio della Guerra di Crimea e l'arrivo in zona del corpo di spedizione anglo-franco-piemontese, l'Autore descrive al lettore, minuto per minuto, direi addirittura attimo per attimo, tutto quanto è avvenuto nel corso di quella celebre carica, lasciando quasi sempre la parola alle testimonianze di prima mano degli ufficiali e soldati britannici coinvolti nella medesima, e anche delle forze russe che stavano loro di fronte. E' sicuramente un modo inusuale di fare storia militare, ma è altresì convincentissimo e questo approccio "dal basso" non lede in alcun modo la visione complessiva dell'evento, che anzi - nel capitolo 4 - viene dibattuta dai punti di vista più diversi e controversi, sviscerandone ogni singolo dettaglio.
       Scritto in un inglese eccellente e per nulla pesante, anzi molto attento all'esigenza di fare sì che sia di interessante lettura anche per un lettore medio e poco o punto acculturato nel campo molto specialistico della storia militare, il libro di Brighton è un'opera davvero validissima e rende assolutamente condivisibile l'affermazione contenuta nella quarta di copertina, dove viene scritto che "sarà molto difficile scrivere un resoconto più dettagliato di questo" della Carica della Brigata Leggera. In effetti, si potrebbe farlo solo scandagliando ancora più a fondo le fonti russe, senza peraltro dimenticare che il livello di alfabetizzazione dei soldati zaristi era, all'epoca, decisamente inferiore a quello dei soldati inglesi, per cui potrebbe scarseggiare la materia prima...
      A dimostrazione della sua completezza, il libro contiene un esplicito riferimento al maggiore Giuseppe Govone e al tenente Landriani, ufficiali di collegamento dell'esercito sardo, i quali chiesero e ottennero - in base all'encomiabile etica militare dell'epoca - l'onore di poter prendere personalmente parte alla carica, dove entrambi rimasero feriti e uno cadde prigioniero dei russi.
       In definitiva, un gran bel libro, la cui lettura mi permetto di consigliare vivamente, non solo agli specialisti.

                   Piero Visani



Letteratura e psicologia

     Ho ascoltato e letto molte menzogne, in questi mesi. Non me ne sono preoccupato più di tanto. Ho una mentalità molto precisa: se devo sopprimere metaforicamente qualcuno, non ho bisogno di farlo salvando le apparenze. Tuttavia, so bene che quello che penso io non è necessariamente condiviso da altri, così ho capito che questa mia "uccisione simbolica" aveva bisogno di tutto un insieme di strutture e strumenti che la rendessero accettabile non per me, ma per chi l'aveva perpetrata.
       Così, attento come sono ai dettagli, sono andato a rileggermi molta letteratura su un'autrice come Carolina Invernizio (1851-1916), la quale - per stile e concettualità contorta - mi pareva la più affine a un certo tipo di testi che mi capitava quotidianamente di leggere.
      Senza voler in alcun modo condividere la terribile valutazione di Antonio Gramsci a carico della poveretta ("l'onesta gallina", la definì), quello che emerge dall'analisi dell'opera della medesima è il ruolo dominante di una morale borghese (ma sarebbe più corretto dire piccolo-borghese), intrisa di perbenismo e di necessità di salvaguardare le forme più esteriori della morale sociale.
       Nel fare questo, la Invernizio non esita a stravolgere alcun tipo di realtà, a condizione di renderla strumentale al proprio disegno di costruzione della trama e, al tempo stesso, alla propria visione del mondo, dove ipersoggettivismo e masochismo costituiscono spesso le vie di sfogo di un erotismo molto forte, ma rifiutato in quanto - per l'appunto - non socialmente "presentabile".
       Mi sono divertito a leggere la critica letteraria su questa scrittrice e ho trovato molti spunti di analisi e comprensione della psicologia femminile. Così ho capito che, non rientrando in una disegno preconfezionato e socialmente accettabile, il mio ruolo era segnato.
       La mia attuale serenità è frutto di questa approfondita disamina, in quanto ho compreso di essere sul versante discendente di quello che era stato - a suo tempo - il versante ascendente: fatto di volontà predatoria, di corteggiamento costante e continuo, di gelosie parossistiche di un soggetto che, in quella fase, aveva esigenze di conquista e non - come qualche tempo fa - liquidatorie.
       In una parola, ho compiuto un ciclo e detto ciclo non è certo privo di componenti psicologiche profonde e molto radicate, dove ciò che è attribuibile a censure moralistiche dell'Autrice viene rovesciato a carico dei suoi personaggi di sesso maschile, inevitabilmente destinati a diventare "colpevoli" di tutto, essenzialmente in quanto maschi.
       Oggi, dopo tanta riflessione e speculazione, ho raggiunto un'assoluta tranquillità, nel senso che ho compreso che, qualunque cosa avessi fatto - non nel male, ma nel bene - mai sarei potuto riuscire a sottrarmi a questa autentica "macchina infernale". In una parola, ero entrato in un meccanismo psicologico da cui non avevo scampo. E inoltre, sapendo che quello stesso meccanismo si era già attivato altre volte, con altri uomini, di fatto non ero altro che "una vittima predestinata" in più...
       Credo che l'analisi psicologica, pur con tutti i suoi limiti, possa aiutare a comprendere la reale natura di molte situazioni e ritengo che il vedersi addossare ogni colpa, anche le più banali, sia la soluzione più agevole per poter respingere più facilmente, a livello psicologico, ciò che l'Io vorrebbe, ma il moralismo borghese non consente di fare.
      E' evidente che scrivo tutto questo non per giudicare, ma semplicemente per sottolineare che ho capito e preso atto. Da certe psicologie e dalle situazioni che esse ricreano per naturale e profonda "coazione a ripetere", non c'è difesa alcuna. E infatti ho smesso di preoccuparmene.

                                        Piero Visani



lunedì 26 giugno 2017

Lo "Storytelling"


       Far diventare disinvoltamente casuale una storia fortemente voluta richiede una spiccata capacità di "storytelling", intesa come esemplare fusione di narrazione e metanarrazione.
       Come capita al dilettante quando si addentra nei meandri del diritto, errori, ingenuità ed inesperienze emergono con notevole evidenza agli occhi del professionista esperto, e si palesa quella "costruzione di realtà" che si dovrebbe (e probabilmente vorrebbe) a tutti i costi occultare, e invece risulta (e risalta...) tristemente lampante.
       Ma non c'è problema, ho le spalle larghissime e ahimè già curve: mi autoaccuso di tutto e non pretendo assoluzioni. Sono io l'unico colpevole, colpevole di esistere, di essere quel fantastico soggetto che sono. Questa colpa me la assumo volentieri: non pretendo, né cerco, né merito assoluzioni. E' stata solo mia la colpa. Ho vissuto questa situazione un discreto numero di volte. Per me è un "déjà vu": ho distrutto, di mia deliberata iniziativa, il migliore dei mondi possibili. Quale iconoclasta sono!

                       Piero Visani



Allegria


       Sto pensando che sono allegro, d'estate, d'autunno e d'inverno. Non vorrei diventare carnefice, perché sono stato solo vittima. A mio sommesso parere, certe colonne sonore meriterebbero maggiore (e più onesta) aderenza al testo e al contesto.

                       Piero Visani

Riletture


        Rileggere passi dei due romanzi che ho appena scritto è molto bello perché, essendo parecchio autobiografici, mi fanno rivivere situazioni piacevoli che ho sperimentato. E non l'ho mai nascosto: li ho scritti proprio per quello. Per ricordarmele, per farne mia memoria storica; per consegnarle alla mia eternità.
       Volendo essere sereni ed equanimi, è anche un bell'omaggio alle due protagoniste femminili. Non ci siamo capiti, ma le ho trattate benissimo: come credevo che fossero, il che non è necessariamente come sono. Il privilegio della scrittura...

                        Piero Visani



La grande bouffe



Sto cercando di divertirmi. Sono fatto per le scorpacciate esistenziali. Le rinunce appartengono ad un altro universo ideologico, rispettabilissimo ma non mio.
Mi muovo sotto traccia. Ho scritto due romanzi per raccontare due storie di rinuncia. Ora vorrei scriverne un terzo da "la grande bouffe"...

Piero Visani

Carte dei vini


       Le analizzo sempre attentamente. A volte, dopo lunghi periodi che non mi concedo una data bottiglia, mi piace gustarla nuovamente. Altre volte, è il gusto della scoperta a spingermi.

                        Piero Visani

La postura genuflessa


       Sebbene io veda che pare donare ilarità a qualcuno (anche a qualche corista/corifea che un tempo si mostrava più rispettosa), del che mi compiaccio (almeno servo a qualcosa...), la postura genuflessa purtroppo non mi si addice. Per essa, servono altre tipologie di ometti. Abbondano, peraltro, per cui non è cosa più difficile del manzoniano "fra Galdino e la cerca delle noci". Buona caccia!

                   Piero Visani

Duel

      Domenica sera, ore 19,30.
      Una strada secondaria tra Carmagnola e Pralormo, in provincia di Torino.
      Un lunghissimo rettilineo, di almeno 4 km, in cui l'asfalto è stato in parte rifatto di fresco.
      Procedo lentamente. Sto andando fuori a cena, non ho fretta alcuna.
      La strada è deserta. Nella mia direzione ci sono solo io, con la mia auto.
      Ad un certo punto, a circa un chilomentro davanti a me, vedo venirmi incontro un auto, posizionata molto al centro della carreggiata. La strada è stretta, ma non strettissima, anche se fortemente "a dorso d'asino".
        La mia attenzione è inevitabilmente attratta dalla strana posizione che essa tiene, ma non ci faccio molto caso. Penso che si tratti di qualcuno che non ci vede molto bene e che, avendo parzialmente il sole in faccia, forse procede così per sicurezza.
        La distanza fra le due auto, anche se procediamo entrambi a non più di 70-80 km/h, si riduce rapidamente e così riesco a notare che si tratta di un'auto molto vecchia, di cui non saprei individuare il modello, molto sporca, talmente grigia di sozzura che non pare esserci alcuno a guidarla.
       Mi interrogo rapidamente sul che fare, perché le distanze continuano a diminuire e l'auto si mantiene al centro della carreggiata. Mia moglie si altera e dice che quell'auto ci sta venendo addosso, per cui mi invita a portami sul lato o a fermarmi.
       Le faccio notare che sono già sull'estremità più totale del lato destro e che la strada è fatta in modo tale che, se esco dalla carreggiata, rischio di precipitare nella scarpata. Al tempo stesso, visto che queste situazioni non mi sono del tutto nuove, penso che, se mai dovessi fermarmi, il pazzo che mi sta venendo incontro mi centrerebbe in pieno, e con facilità. Non so quali siano le sue intenzioni, ma so quali sono le mie: evitarlo, non favorirlo.
       Da ragazzo neopatentato, ero un grande amante del chicken game, cioè del "gioco del pollo", il mitico gioco statunitense dei tempi di James Dean o Elvis Presley, in cui due maschi, onde saggiare "chi l'avesse più lungo" e farsi belli con le ragazze, si scagliavano a tutta velocità verso un precipizio e naturalmente chi frenava per primo sarebbe stato "il pollo", mentre l'altro "il macho, il figo" (sono tutti termini che all'epoca non usavano, ma non mi viene in mente nulla di meglio).
       E così mi invento un mio personale chicken game. Una delle mie peculiarità migliori, del resto, quella che fa sì che io resti quasi sempre da solo, è che non so riparare niente, non ho il "pollice verde", non amo particolarmente il mio prossimo, ma sono gelidissimo, ai limiti dell'algore, nelle situazioni di crisi. Così gli punto direttamente contro con la mia auto, creando un nostro personale chicken game. Man mano che ci avviciniamo, noto che è un uomo calvo, molto abbronzato, di notevole statura, visto che la sua testa tocca quasi il tettuccio dell'auto. Mi pare abbia un'aria allucinata, ma ora ho altro cui pensare.
       La mia idea è che, più attenderò all'ultimo per scartare, più avrò la possibilità di evitare un urto frontale. E così faccio. Mia moglie urla, io no. Io lo scarto all'ultimo, mettendo due ruote sulla scarpata e prendendo sicuramente una botta alla parte sottostante dell'auto (poi verificata come fortunatamente influente), ma riprendendola subito e riportandola sulla carreggiata, ovviamente dopo aver corso un discreto rischio di capottare.
       Allora, solo allora, guardo nello specchieto retrovisore e vedo che il pazzo continua a procedere alla medesima velocità e nella medesima direzione, occupando il 70 per cento della carreggiata.
       Invoco tutti gli dei dell'universo pagano affinché facciano sì che, dietro di me, a distanza di qualche chilometro, proceda tranquillo il camion protagonista del celebre film "Duel", di Steven Spielberg. Sarebbe bello vedere, in quella circostanza, quale potrebbe essere il comportamento del pazzo che aveva deciso di farmi a pezzi. Purtroppo è domenica, per cui l'ipotesi è di difficile realizzazione, ma comunque spes ultima dea.
       Poi tutti a cena tranquilli. Le situazioni di crisi si risolvono così: usando il cervello o comprandosi una "technika". Ma, nell'Europa devirilizzata, utilizzare a fin di bene la mitragliatrice di bordo di quel tipo di auto mi metterebbe dalla parte del torto, del "criminale omicida". Invece così il mio diritto alla ragione (e anche quello alla sopravvivenza) consiste nel fatto che sono riuscito a scamparla. Altrimenti avrei potuto esercitare il mio "diritto ad una buona morte" o ad un concorso di colpa ("ma perché diavolo mai passavi di lì a quell'ora, ma sei tutto scemo, o solo sfortunato...?"), e il mondo giuridico italiano si sarebbe sentito, insieme a quello politico, come sempre molto soddisfatto.
       Ho cercato di risolvere da me, come sempre. Mi trovo bene, quando lavoro con e su me stesso: mi prendo un sacco di insulti, di inviti a sloggiare, suscito ilarità e facili ironie, da parte di coloro che sanno colpire solo di spalle, mai di fronte, ma le situazioni le so gestire, senza dover scendere ed esclamare: "vai via, cattivone, che mi disturbi"...

                          Piero Visani



Una serata ad Alba

      Traversiamo in auto il Roero, dopo un'ottima cena, e scendiamo verso la capitale delle Langhe.
       Serata molto calda, città piena di gente, tra autoctoni e turisti, gelaterie, dehors, quell'atmosfera affluente e allegra assai diversa dal resto del Piemonte.
       Non ci vado mai troppo volentieri, ad Alba, perché il passato impone le sue ferree leggi sul presente, e al passato finisco per pensare, più che al presente. Tuttavia, quella lenta passeggiata nel centro della città, in mezzo a turisti per caso e no, mi induce alla riflessione ed è una riflessione che mi fa bene: ho sempre fatto tutto quello che ritenevo possibile fare e, quando non andavo più bene, sono uscito di scena, com'era giusto che facessi. Avrei molti rimpianti, ma non sono state decisioni mie, ergo non so bene che cosa potrei rimpiangere. Ho preso atto di cosa era stato deciso a mio carico e ho levato le tende. Ho raccolto i miei ricordi per iscritto e dopo l'estate li pubblicherò. Ho chiesto di essere dimenticato, e questo credo sia già avvenuto, e ho sollecitato rispetto per mio figlio, come io ne ho sempre evidenziato per altri figli che mostrano promettenti capacità in altri campi, di cui sono lieto, ma sommessamente. Chi è ostile a me - e non ho problemi nei riguardi di tale ostilità, che comprendo benissimo - è cortesemente pregato di ignorare l'esistenza di mio figlio. Abbiamo un rapporto che definirei simbiotico, per cui gradirei che il giovane Umberto fosse ignorato ed estraneo a qualsiasi forma di relazionalità, soprattutto se positiva (se negativa, la potrei capire: vorrebbe dire che il figlio farebbe ribrezzo come il padre, e questo potrei tranquillamente accettarlo).
       Quanto a me, si sprecano le volte che sono stato dichiarato "persona non grata". D'accordo, preso atto, scomparso. Comprendo e accetto tutto. Non penso mi sia richiesto anche di suicidarmi, non credo sia necessario. Me ne torno a casa in queste belle strade di Langa, respirando l'aria della notte. Se non andavo bene ad A, andrò meglio a B, o a C, o a D. Oppure non andrò bene ad alcuno, ma andrò bene a me stesso. Notoriamente mi piaccio molto, moltissimo.

                  Piero Visani




domenica 25 giugno 2017

Capitalizzazioni


       Ho messo insieme parecchi anni di gentilezze più o meno inattese, poi sono passato a riscuoterle...

                        Piero Visani

Esigenze comuni


       L'esigenza - assolutamente condivisa e condivisibile - di avere a fianco a sé persone che illuminino il proprio percorso esistenziale, è tuttavia soggetta a normali e comprensibilissime regole di reciprocità, per cui mio figlio NON gradisce che chi è ostile al padre metta dei "mi piace" a post o ad immagini di lui. E' una modestissima esigenza di difesa dalle contaminazioni. Grazie!

                               Piero Visani

              

Cattivo gusto


       A volte il cattivo gusto trionfa e va beh, uno se ne fa una ragione, e si astiene...
       Come ho scritto, basta polemiche.
       Prendo atto che la neutralizzazione è alla base della società "umana" e faccio qualche passo indietro.
       Tuttavia, avevo già chiesto di evitare, e invece: "Persevera et obdura".
      Faccio un esempio: non si può fare guerra a mio figlio senza farla pure a me. Ma anche viceversa...
        Spero di essere stato più chiaro. Sui legami di sangue non si scherza, mai.
       Mi permetto di suggerire un'istruttiva visione del film "L'ombra del diavolo" (di Alan J. Pakula, 1997), per avere chiari certi automatismi, anche palindromi...
           Grazie.

                      Piero Visani





sabato 24 giugno 2017

Ride bene chi ride ultimo

       Torino, oggi, ore 15,20. L'avvocato Simone e io scendiamo sul campo centrale, in sintetico, del nostro club di tennis. Temperatura indicata dal termometro: 37°. Temperatura percepita, causa un forte tasso di umidità: 43°.
       La mia Weltanschauung prevede che, quando una cosa si deve fare, si fa: piova, nevichi, grandini, ci sia un caldo canicolare, etc. "Ci tocca di andare", e si va. Senza chiedersi troppi perché: si va.
       Scendiamo in campo e, per almeno un'ora, esprimiamo un buon tennis.
       Per sua sfortuna, il campo centrale del mio club è posto a fianco della stradina che conduce alla piscina e, ad un certo punto, cominciano due processioni: quella di coloro che in piscina ci vanno e quella di coloro che dalla piscina vanno via. Nulla di male, siamo abituati a concentrarci sul gioco estraniandoci da quanto ci succede intorno.
       Quello che invece dà parecchio fastidio è essere guardati come fenomeni da baraccone: i più educati occhieggiano ironici o al limite si danno di gomito; i meno educati ci indicano a dito, come se fossimo dei pazzi.
       Orbene, signori miei, sono stanco di profondere energie dietro a cretine e cretini che cambiano idea ad ogni stormir di fronda, ma in realtà noi meriteremmo, se non vera e propria ammirazione (e quella invero io me la concederei...), almeno rispetto: ci stiamo addestrando a reggere situazioni limite e a farlo senza battere ciglio. Non ci scambiamo certo per eroi, che davvero non lo siamo, ma cerchiamo di temprarci. Sarebbe bello se io mi mettessi ad esprimere tutto il mio eventuali disprezzo nei confronti di quei bacini di urina che chiamano piscine pubbliche (sia pure di club privato)? Io non sto dicendo di essere migliore di voi - anche se è evidente che lo sono, e pure di parecchio. Dico solo che, se anche voi vi faceste i fatti vostri, come io i miei, sarebbe preferibile.
       Aggiungo, come modesto monito, che alcuni anni fa, in una situazione analoga, mio figlio Umberto (che oggi purtroppo non c'era), decise che quelle risatine di sufficienza lo avevano scocciato e indirizzò il suo servizio (mediamente sta sui 170-190 km/h, il ragazzo ha avuto molti maestri di grande livello) - ovviamente per errore, per un deplorevolissimo errore, bisogna sempre dire così, in questo Paese... - sulla massa dei passanti irridenti, che si calmarono e diventarono subito più seri. La pallina era una Head Pro nuova, molto gonfia, molto piena. E non c'era nemmeno ancora da battere il record dello sniper canadese che ha fatto fuori un bersaglio a 3.540 metri di distanza. Si poteva "lavorare" su distanze più modeste.
       Ah, il motto di famiglia è, per chi ancora non lo sapesse: "Nemo me impune lacessit".

                       Piero Visani



Senza un perché


        Poiché lo scrivente e Lenny Belardo (Pio XIII) sono - caratterialmente parlando - pressoché la stessa persona, un po' di colonna sonora non guasta, e il titolo è formidabilmente esplicativo...

                    Piero Visani



Exit Strategy


       Sono stato oggetto di decisioni altrui.
       Ho fatto ciò che ritenevo giusto fare.
       Il mio primo romanzo racconterà quel che ho vissuto e COME l'ho vissuto, e ritengo che, pur essendo un quadro soggettivo, sarà assolutamente rispettoso e sincero, nonché testimone di una totale coerenza di comportamenti/sentimenti/visioni, peculiarità cui tengo molto. Sarà il romanzo a parlare per me, d'ora in poi. Lo farà ovviamente quando uscirà, dopo l'estate. Io a questo punto ho detto e scritto tutto. Non intendo aggiungere altro.

                              Piero Visani



Blog "Sympathy for the Devil": Classifica dei post più letti (21 Maggio - 20 Giugno 2017)

       L'elenco delle prime 15 posizioni della classifica generale evidenzia una assoluta stabilità, quale forse non si era mai registrata nei quattro anni e mezzo di vita di questo blog:

  1. "Preparatevi alla guerra!", 1.341 (=) - 02/07/2016;
  2. Salvatore Santangelo, "Gerussia" - Recensione, 995 (=) - 17/12/2016;
  3. Non sarà il canto delle sirene, 921 (+9) - 06/08/2014;
  4. Carlo Fecia di Cossato, 832 (=) - 25/08/2015;
  5. It's just like starting over, 588 (=), 11/12/2012;
  6. Il pericolo (non) scampato, 528 (+6) - 07/05/2017;
  7. Storia della guerra - 14: L'esercito di Federico il Grande, 480 (+7) - 19/10/2013;
  8. Non, je ne regrette rien, 370 (+3) - 29/12/2012;
  9. L'islamizzazione del radicalismo, 332 (+1) - 03/07/2016;
  10. Umberto Visani, "Mai stati sulla Luna?" - Recensione, 298 (+12) - 16/12/2016;
  11. Una questione di stile: Giorgio Albertazzi, 293 (+21) - 28/05/2016;
  12. Augusto Grandi, "Italia allo sbando" - Recensione, 243 (+1) - 18/01/2017;
  13. Giorgio Ballario, "Vita spericolata di Albert Spaggiari" - Recensione, 242 (+1) - 29/03/2017;
  14. El Capitan Alatriste, 244 (+5) - 03/03/2017;
  15. Quantum mutatus ab illo!, 240 (+1) - 20/05/2013.
       Ne consegue che non si sono registrati nuovi ingressi di alcun genere o progressioni di posizioni, mentre i due post che hanno fatto registrare i maggiori incrementi di visualizzazioni sono stati Una questione di stile: Giorgio Albertazzi (+21) e Umberto Visani, "Mai stati sulla Luna?" (+12).
       Per ciò che attiene invece ai post che sono stati pubblicati nel corso del mese oggetto della presente disamina, quelli che hanno avuto le maggiori visualizzazioni sono stati: Lo stile è l'uomo (193 visualizzazioni), Lions or Lambs? (186), Una signora gentile (121), Inquietanti parallelismi (117).
       Prima di concludere, si deve osservare che le visualizzazioni totali del blog sono salite a quasi 131.000 (a fronte delle oltre 124.000 del mese precedente), mentre i post sono saliti da 3.246 a 3.563. Ciò significa che il numero medio di visualizzazioni per ogni singolo post è passato da 37,1 a 36,7, con una diminuzione di 0,4 visualizzazioni, la prima che si registri dopo moltissimi mesi.

                             Piero Visani




Le maestre e il "Margherito"


       Mi stupisce sempre - con discreto disgusto - la perenne vocazione di certe rappresentanti del genere femminile, costantemente intente ad impartire lezioncine didascaliche (ovviamente non loro, sarebbe pretendere troppo, ma copiazzate qua e là...) dai toni patentemente autogiustificativi e autoassolutori. Un sorriso in una serata estiva fa sempre piacere, in ogni caso, però occorre ricordare che le maestre hanno alunni; non hanno titolarità per insegnare ai professori. E' una semplice questione di piramide gerarchica.

                 Piero Visani



venerdì 23 giugno 2017

Letture


       Ho lavorato molto, oggi, a vari livelli, principalmente perché voglio dedicarmi esclusivamente al business e passare a scrivere SOLO PER ME.
       Però ho trovato tempo - oltre a scrivere una recensione e varie altre cose - per leggere alcuni testi di guerra psicologica. Interessantissimi. Devo approfondire il tema.

                     Piero Visani

Comportamenti - insegnamenti


       Sto riflettendo molto approfonditamente sui primi, per trarne le giuste conseguenze.
      Uno l'ho già tratto: a-relazionalità totale, solo scrittura e lavoro, lavoro e scrittura. Di paturnie di vario tipo ho già fatto il pieno. Sat est.
       Siccome pare sia obbligatorio cercare di "stare bene", io "sto bene" a negarmi, a non apparire, a non comparire, a suscitare interesse mediante la negazione.
       Poi magari parlerò di più con un libro, ma un libro è sempre frutto di una (ri)elaborazione.
       Quel che è importante è: NON FARE MAI QUELLO CHE GLI ALTRI, per cari o meno che possano essere, VOGLIONO CHE TU FACCIA. MAI SUBIRE RIDIMENSIONAMENTI, DECLASSAMENTI, CAMBI DI RUOLO. Mantenere un'identità. Se non piace, piacerà ad altri.

                       Piero Visani



Gulliver 2017


"Di tutte le sue vite,
vagabondate al sole,
restavan vuoti gusci di parole
" (F. Guccini, "Gulliver").
       E allora:

"Drink to me, drink to my health,
You know I can't drink anymore
" (P. McCartney, "Picasso's Last Words").
      E non necessariamente per sopraggiunta (non sia mai!!) astemia... L'importante, fin che si può, è trattarsi bene, con classe.

                        Piero Visani


Avagliano - Palmieri, "L'Italia di Salò 1943-1945" - Recensione

      Può succedere che, ad un certo punto, il passato che non voleva passare si decida comunque a cominciare a farlo. Può succedere che ciò avvenga per un'infinità di motivi diversi, dal semplice distacco da un'interpretazione soverchiamente politica della storia all'esigenza di creare una cornice metapolitica a nuove esigenze della politica stessa, come quella della convergenza al centro di settori moderati della sinistra e della destra, ansioni di riprendere a fare affari (dire politica mi parrebbe eccessivo) e attenti a sbarazzarsi del peso non tanto del radicalismo di destra (assolutamente marginale) quanto da quello di un certo radicalismo di sinistra, che non ha ancora capito in che direzione soffia il vento dell'Italia di fine secondo decennio del nuovo millennio.
     Detto questo, il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, L'Italia di Salò, 1943-1945 (il Mulino, Bologna 2017, 489 pp., 28 euro), è un libro assolutamente interessante, fatto bene, con forte senso della produzione storiografica e una ragguardevolissima capacità di far parlare le fonti, attingendo a numerose testimonianze d'archivio e a tantissime lettere private. Si tratta - come rivendicano esplicitamente gli Autori nell'introduzione - di una "storia dal basso" che getta molta luce su cosa fu realmente la Repubblica Sociale Italiana (RSI). Emerge infatti con forza un aspetto talvolta volutamente trascurato: quello che, insieme al "ritorno alle origini" di un regime - che, per stare al potere, si era pesantemente compromesso con le forze più negative della società italiana (la monarchia, la Chiesa, i grandi potentati finanziari e industriali) e che, nel mentre si diceva "rivoluzionario", era diventato a volte anche grottescamente reazionario e, in quella sua trasformazione in negativo, aveva di fatto perduto ogni sua residua credibilità, finendo per diventare tutto ciò che sono sempre state le "rivoluzioni" in questo Paese: un fare in modo che "tutto paia cambiare senza che in realtà nulla cambi" - c'è pure da considerare la "rivolta ideale" di centinaia di migliaia di italiani contro una fuoriuscita dalla guerra che, nella situazione militare dell'epoca, poteva pure avere le sue ragioni, ma che venne realizzata nel modo più vergognoso possibile, gettando una macchia purtroppo indelebile (e tuttora presente) sulla nostra storia nazionale.
     Con sagacia, gli Autori parlano anche di questo, delle multiformi motivazioni che condussero molti italiani ad aderire alla RSI, adesione che non sempre fu puramente ideologica, ma ebbe anche molte altre cause. Siamo dunque in presenza di una storiografia non manichea, la quale - pur con i limiti ancora presenti nella cultura della società italiana odierna - riesce comunque a mostrare "le ragioni dei vinti", il che non equivale a condividerle, ma ad evidenziare come ce ne fossero e spesso fossero affermate e vissute in totale buona fede.
       Il libro fa notare come molti italiani aderirono alla RSI per prendere le distanze da un cambiamento di campo vergognoso, per i modi con cui si realizzò, e per cercare di cancellare quella macchia storica che è l'8 settembre 1943, essendo tutti ben consapevoli che una guerra si può perdere, ma fondamentale è il modo in cui la si perde. Non a caso, nomi illustri o illustratisi nel dopoguerra aderirono a quella che in una certa misura fu "una Repubblica necessaria" e al tempo stesso rappresentò l'attestazione del consenso di massa di cui, ancora nel 1943, il fascismo era in grado di suscitare nel Paese.
       Certo, in molti casi si trattò di anziani squadristi della prima ora o di giovani cresciuti esclusivamente all'interno della pedagogia di massa del fascismo, che a quanto pare, però, dovette funzionare piuttosto bene e lasciò tracce di autentica fede, vissuta con sincerità e partecipazione. Sarebbe interessante fare un paragone con quante tracc(i)e, basate sul più totale disinteresse e sulla messa in gioco di se stessi, lascerebbe la democrazia totalitaria odierna. A difesa della quale - sarei lieto di scommettere su questo punto - non alzerebbe un dito alcuno.
       In definitiva, un ottimo libro, di utilissima lettura. Scritto con il massimo impegno di onestà intellettuale, e con grande attenzione proprio a far risaltare come la RSI non fu un accidente della Storia, ma il frutto di una serie di precondizioni molto chiare. Mi è piaciuto leggerlo e - dalle moltissime fonti di prima mano citate, spesso di persone molto umili e senza incarichi di rilievo - ho compreso molte cose su quel difficilissimo periodo.

                                      Piero Visani