martedì 29 agosto 2017

Corse e rincorse

       I sostenitori del nostro "come il migliore dei mondi possibili" sono sempre pronti - per qualsiasi critica, anche molto soft e urbanamente formulata contro la loro visione del mondo - a sbatterti in faccia che la "bellezza" di questo mondo è data dalle moltissime opzioni a disposizione di ciascuno. Loro non le vedono restringersi, non sia mai, sono troppo intelligenti e soprattutto troppo equilibrati, e per qualsiasi problema hanno una soluzione assolutamente "saggia".
       Vedremo. E' almeno dal 1989 che tale saggezza non la vedo più, ma resto curioso. Deve essere interessante ragionare mentre alcuni stupratori inseguono tua moglie o tua figlia (e non ho scritto - si prega di notare - "stupratori di colore").
       Uno dei problemi più gravi della ragionevolezza è che comincia come dote dei saggi, poi - strada facendo - diventa dote dei più sciocchi, o dei più ciechi, o dei più collusi, o di tutti e tre.
       Personalmente, non ho alcuna speranza in alcunché, ma - per usare i titoli di alcuni recenti romanzi francesi - attendo con forte curiosità i giorni della "Guerriglia", quelli della "Sottomissione", quelli dei massacri. Le ragionevolezze finiscono sempre in massacri. Attendo fidente. Del mio, nulla mi importa. Nella democrazia totalitaria non mi sento per nulla vivo, ergo attendo una naturale ricomposizione tra morte formale e morte sostanziale.

                             Piero Visani





domenica 27 agosto 2017

Lo stile è l'uomo, anche a Dunkerque (Dunkirk)

       Nelle sue memorie (Le memorie del maresciallo Alexander 1940-1945, traduzione italiana, Garzanti, Milano 1963, p. 98), il futuro maresciallo Harold Alexander scrive, con perfetto stile da ufficiale delle Guardie della Regina (nello specifico delle Irish Guards), rispetto all'evacuazione dei reggimenti della Guardia dalle spiagge di Dunkerque, nel 1940:

"Credo, ma non sono del tutto sicuro che la Marina avesse ordinato o consigliato agli uomini di salire a bordo senza l'ingombro delle armi individuali. Questo potrebbe spiegare, forse, perché tante armi furono abbandonate sulla spiaggia. Ma posso affermate, con l'orgoglio di guardsman, che ogni battaglione delle Foot Guards tornò in Inghilterra con i complementi di armi individuali intatti. E non è una leggenda che tornarono con i calzoni stirati!"

       Lessi questo libro all'età di 13 anni, a Varigotti, sulla spiaggia (in mezzo ai lazzi e ai frizzi dei miei "geniali" coetanei), dopo che un avvocato amico di famiglia e mio mentore personale me lo ebbe comprato in una libreria del centro di Savona.
       Nel leggerlo (nel mentre tutti mi chiedevano che diavolo leggessi...), mi dissi che quello era un gran bell'insegnamento e che l'avrei seguito per sempre: stile, eleganza e portamento anche nelle circostanze più estreme. E' ciò che ho fatto.

                         Piero Visani




                              

Sci-Fi

       Per lavoro, sto facendo un bel viaggio esperienziale nella Science-Fiction statunitense. Tra utopie e soprattutto distopie, mi accorgo che era una lettura che mi mancava, o che comunque non avevo mai sufficientemente approfondita, perché davvero è stato immaginato di tutto e di più, e, se anche talune letture non sono memorabili dal punto di vista artistico, molte lo sono dal punto di vista della capacità di "pensare l'impensabile" e sotto il profilo della capacità di cogliere le orribili distorsioni del sistema dominante, che è il classico "cadavere in buona salute" (o presunta tale...).
       Mi sto divertendo. Come sempre, lavoro divertendomi.

                          Piero Visani



venerdì 25 agosto 2017

L'accoglienza e la...ripresa

       Passo molto spesso, per lavoro, dalla parti di un centro di assistenza torinese che distribuisce pasti due volte al giorno. Malgrado le vacanze agostane e i ristoranti sempre pieni, la coda dei questuanti si fa ogni giorno più lunga: molte persone provenienti dai Paesi dell'Est, qualche nero (ma pochi) e un numero crescente di italiani, anche famigliole con bambini.
       So di fare del barbaro populismo, ma non ho mai visto un politico, di maggioranza o di minoranza, che sia passato a dare un'occhiata, così, per conoscere meglio la realtà.
            Per non parlare di coloro che rovistano tutti i cassonetti dell'immondizia per trovare qualcosa, qualsiasi cosa, e la fila di pensionati anziani che si affolla nei mercati rionali quando gli ambulanti iniziano ad andarsene via, cercando di rimediare qualche foglia di insalata o frutto marcio da mangiare.
       A livello politico - si sa - nessuno fa niente, ma questo è solo il frutto amarissimo della scelta scellerata degli italiani di votare, sempre e comunque, i più imbecilli e gli yesmen, gente che, dopo che ha cenato al ristorante pluristellato, ha concluso le proprie preoccupazioni sociali.
       Tuttavia, vedere anziani e bambini in fila per un piatto di pasta o di minestra ha una conseguenza fantastica, sull'animo di chi, oltre a guardare lo smartphone, sa guardarsi ancora un po' intorno: la constatazione dolorosa di un disastro assoluto, un disastro in tempo di pace. Complimenti sinceri a chi l'ha provocato. Sale, lievita, si moltiplica, il costo umano della democrazia. Sono vecchio, purtroppo, non vedrò la resa dei conti. Sarà uno dei miei primi rimpianti, da morto.

                         Piero Visani



mercoledì 23 agosto 2017

Dunkirk


       Deliziosa - e piena di dettagli di classe assoluta (ad esempio il riferimento all'elmetto "Fritz"...) - la recensione del film Dunkirk, di Christopher Nolan, da parte del mio carissimo amico Maurizio Cabona su "La Verità" di oggi e degno di riflessione il suo riferimento al giudizio di Winston Churchill su Italia, guerre e calcio. Genere, all'inverso, "mancò la fortuna, non il valore", perché - in quella che appunto era una partita, mica una guerra... - prendemmo palo e l'arbitro ci negò almeno un rigore. Ai carri armati scatole di latta, fatti da un'industria nazionale indietro di decenni rispetto al resto del mondo avanzato, non si deve accennare mai, tanto quelli che c'erano dentro a sacrificare la loro gioventù per una classe dirigente indegna sono morti, e pace all'anima loro. 
       Non potremo andare più ai supplementari e nemmeno ai rigori ma - dopo tutto - era solo una partita.
       O era una guerra...? Mah!

                          Piero Visani



lunedì 21 agosto 2017

Memento

       A tutti quelli che pensano che il ritorno alla leva obbligatoria potrebbe essere un modo per fare acquisire "capacità guerriere" agli italiani, mi corre l'obbligo di ricordare che, in 19 anni di collaborazione come consulente esterno dell'istituzione militare, in qualità di esperto di comunicazione istituzionale, i più grandi problemi che ho dovuto affrontare sono stati due:

1) spiegare ai diretti interessati la differenza fra militare, soldato e guerriero;

2) badare bene a che nessuna iniziativa presa dall'istituzione potesse avere una qualche valenza che andasse contro la metapolitica dominante, quella dei "soldati di pace". Quello era un aspetto fondamentale: o si era "soldati di pace", o non si era. Ricordo sproloqui pazzeschi di esponenti politici di Sinistra, Centro e Destra, tutti egualmente influenzati da tale metapolitica, senza alcuna distinzione. e tutti accolti con applausi "ottimi e abbondanti" dalle loro platee militari... Ricordo che, in occasione del primo governo Berlusconi, chiesi un appuntamento a un sottosegretario alla Difesa di Alleanza Nazionale (partito di cui all'epoca anch'io facevo parte), nella mia qualità di estensore dei rapporti quindicinali del CEMISS (Centro Militare di Studi Strategici) sugli orientamenti della stampa italiana in materia di difesa, che per prima cosa finivano sul tavolo del titolare del Ministero della Difesa, oltre che su quelli di tutti i Capi di Stato Maggiore. Costui non ritenne opportuno ricevermi, benché la mia richiesta fosse stata accompagnata da un' autorevole presentazione del generale Jean. Non gli risultava che potessi servire a qualcosa...

       Oggi, con la perfetta imbecillità tipica dell'ambiente centrodestroide italico, e con la totale insensibilità al fatto che si tratta di un problema metapolitico, e non politico (ma questo sarebbe forse pretendere troppo, visti i proponenti...), viene avanza la richiesta di ripristinare la leva obbligatoria, che è l'equivalente a cambiare il treno di gomme a un'auto cui non funziona il motore...
Non dico niente, non serve. Il primo problema da affrontare, in Italia, potrebbe essere - a mio avviso - come si porta una divisa... Avrei tanto da dire, al riguardo, ma ormai preferisco tacere. Dico solo che è la motivazione l'arma principale dei "terroristi" o presunti tali: hanno un nemico e lo vogliono distruggere, perché hanno una metapolitica e una politica. E noi, l'abbiamo? Vogliamo la leva obbligatoria del Paese dello ius soli? Sì, andate pure avanti voi, con le vostre richieste demenziali, che a me viene da ridere...

                   Piero Visani


domenica 20 agosto 2017

Un indizio è un indizio...

       Nel marzo 1978, un nucleo terroristico armato delle Brigate Rosse (o devo scrivere ancora "sedicenti Brigate Rosse"?) rapì il presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro, dopo aver ucciso i cinque membri della sua scorta. L'azione, condotta con estrema efficacia e certamente supportata da sostegni esterni, sui quali è inutile stare adesso a formulare ipotesi, dimostrò che il terrorismo vero è quello che alza progressivamente il tiro verso obiettivi che siano decisamente più elevati e "paganti" di gente normale che passeggia per le vie centrali di una grande città europea.
       Quello che è strano - ma ovviamente potrei essere smentito da un momento all'altro - è il livello per il momento molto basso dell'insidia e la sua assoluta ripetitività, certamente mortifera ma incapace di produrre un'escalation di condotte operative che sarebbe la prima cosa da aspettarsi nel caso di un'offensiva terroristica realmente definibile come tale.
       Certo - si dirà - il terrorismo si prefigge di diffondere terrore, ma - e questo è l'interrogativo fondamentale - per colpire chi, per giovare a chi, con quali obiettivi? Per il momento, pare soltanto che esso intenda innescare risposte securitarie da parte dei governi europei, atte soltanto a ridurre i già ristrettissimi limiti di libertà all'interno dei quali riescono oggi a muoversi le nostre società. Nessun obiettivo di maggiore portata, nel mentre i governi europei ribadiscono la loro piena fiducia nelle politiche di accoglienza, supportati dai mezzi di comunicazione di massa e anche dalla totale passività delle masse. Ma davvero si può credere che atti sempre più uguali e ripetitivi, compiuti con modalità spesso alquanto affini, da manovalanza che riesce sempre a farsi impallinare non da forze o corpi speciali, ma da normali poliziotti di strada, rappresentino un'offensiva terroristica e, nel caso fosse realmente così, a quali obiettivi mirerebbero?
       "L'offensiva si esaurisce progredendo" - scrive Carl von Clausewitz nella sua fondamentale opera "Della guerra" - ma qui come fa ad esaurirsi, visto che è sempre uguale a se stessa e tanto meno progredisce, ma semmai si limita a ripetersi?

                     Piero Visani



giovedì 17 agosto 2017

"Mente capti"

       A Chancellorsville, in Virginia, nelle vicinanze dell'inizio del Jackson's Trail, vale a dire di quell'insieme di stradette che il corpo d'armata confederato al comando del generale "Stonewall" Jackson imboccò nella drammatica notte dell'1-2 maggio 1863, per compiere una fantastica manovra di aggiramento tattico - rimasta negli annali della storia militare - alle spalle delle forze unioniste, c'è un piccolo monumento che ricorda il luogo del conciliabolo tra Jackson e il suo superiore, Robert Edward Lee, comandante dell'Armata confederata della Virginia Settentrionale, dove i due decisero di intraprendere quella brillantissima manovra.
       Ho visitato quei luoghi una dozzina di anni fa, ne ho percepito l'atmosfera da "sacred ground", rispettata tanto dai filo-unionisti quanto dai filo-confederati, e poi ho percorso in auto, molto lentamente, le piccole strade che condussero le truppe di Jackson a sboccare sul fianco dello schieramento unionista, ed a travolgerlo.
       Era una giornata di agosto molto calda e la Wilderness virginiana faceva sentire il peso della sua abituale umidità. Con mio figlio Umberto, seguimmo ogni singolo passo, contenti di rivivere la Storia e, con noi, alcuni "Civil War buffs", lieti come noi di quel fantastico privilegio, ciascuno con i propri identificativi di schieramento, unionista o confederato. Nel massimo rispetto, nel più totale silenzio. Si era compiuta in quei luoghi una delle più brillanti manovre della storia militare americana, e non solo, e occorreva tenere un comportamento rispettoso.
        Vedo ora fotografato su vari giornali un gruppo di giovinetti afro-americani seduti con aria tra l'imbarazzato e lo strafottente su luoghi e simboli di cui non conoscono minimamente il significato. Sono probabilmente una scolaresca nera affine a quella che, nel cimitero militare di Arlington, ho visto redarguire e minacciare a mano armata, da alcuni soldati del 3° Reggimento di Fanteria, quella Old Guard ritratta favolosamente bene da Francis Ford Coppola nel suo film "Giardini di pietra". Ma lì il chiasso disturbava il riposo eterno dei vincitori, mentre quello dei vinti - come sempre - vale parecchio meno. I poveretti ignorano che li stanno prendendo clamorosamente per i fondelli e che per loro è pronta una nuova schiavitù, la schiavitù della libertà condizionata e del pensiero unico, senza alcuna possibilità di dissenso, compreso ovviamente il loro...
       Buona fortuna!!

                        Piero Visani



domenica 13 agosto 2017

Dietro i fatti di Charlottesville

       Situata alla base del magnifico Parco Nazionale dello Shenandoah, Charlottesville è una bella città della Vecchia Virginia, sede della prestigiosa università dello Stato, ricca di un'atmosfera giovanilistica e al tempo stesso coloniale (non per nulla la Virginia è nota come "The Old Dominion State"). Ci si può stare molto bene e sentirsi in un "Nuovo Mondo" che assomiglia molto al Vecchio, poiché le tracce del dominio coloniale britannico certo non mancano.
       Alla stessa stregua, non mancano le memorie della Confederazione (che proprio in Virginia, nella non lontana Richmond, ebbe la sua capitale), a cominciare dal magnifico monumento equestre a Robert Edward Lee, il figlio più illustre dello Stato e certamente uno dei più grandi generali della Storia, non solo americana. Un uomo che non riuscì a comprendere il peso che l'avvento delle armi moderne stava avendo sulla tattica, ma che dopo la terribile lezione subita a Gettysburg (1-3 luglio 1863), seppe combattere un conflitto impari fino a quando gli fu possibile, gestendo sapientemente le scarse forze a sua disposizione, con una sagacia tattica raramente eguagliata.
       Per chi - come me - a Charlottesville c'è stato, riesce difficile pensare che quella dolce città sia stata frutto in questi giorni di scontri sanguinosi. Meno difficile, per contro, gli riesce comprendere che cosa stia avvenendo negli USA in merito alla questione dell'improvvisa e furibonda crescita d'odio contro qualsiasi cosa ricordi o possa ricordare la breve vita (1861-1865) degli Stati Confederati d'America.
      Dopo la pesante sconfitta subita nella Guerra Civile, il Sud fu oggetto di una gravosa occupazione militare che ridusse molti suoi Stati alla fame. Al tempo stesso, l'abolizione della schiavitù non rappresentò - per la popolazione afro-americana - quel toccasana che avrebbe dovuto rappresentare, visto che i neri andarono a svolgere, nelle grandi fabbriche del Nord, quel ruolo servile che avevano sempre svolto nelle piantagioni del Sud, formalmente assimilati ai bianchi nei diritti civili, in realtà emarginati e discriminati in forma solo più scaltramente ipocrita della precedente.
       A partire dalla fine dell'Ottocento e poi sempre più solidamente nel Novecento, il Sud riuscì a compiere, a livello metapolitico, un miracolo di cui nessuno si sarebbe minimamente attesa la realizzazione: riuscì cioè a creare una memoria dei vinti che non solo conferì legittimità alle loro scelte e ai loro comportamenti, ma che costruì progressivamente una metapolitica positiva che conferì onore e prestigio al sacrificio e agli sforzi compiuti da centinaia di migliaia di uomini sui campi di battaglia, e non solo (cfr., al riguardo, l'eccellente saggio di Wolfgang Schivelbusch, La cultura dei vinti, il Mulino, Bologna 2006, 370 pp., 25 euro).
       Questa evoluzione positiva ebbe una drammatica battuta d'arresto tra la fine degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta del Novecento, quando lo sciocco radicalismo del Ku Klux Klan e dei suprematisti bianchi - talmente stupido da appare una perfetta filiazione di tutto ciò che i suoi avversari si aspettavano da lui (una deriva, questa, che in politica è sempre molto sospetta, poiché configurarsi come ti vuole il tuo nemico è un'idiozia troppo grande per essere vera e non frutto di manovre sotterranee, spesso neppure percepite da chi ne è vittima, a causa della sua assoluta insipienza) - incorse giustamente nelle ire del governo federale, che pose fine d'autorità a pratiche inaccettabili come la discriminazione razziale e il rifiuto dell'iscrizione dei neri in determinate università, per non citarne che alcune.
       A partire da quella data, tuttavia, e con particolare accentuazione dalla fine degli anni Ottanta, si fa strada nel Sud una visione politica e metapolitica decisamente più intelligente, che rivaluta accortamente il ruolo della Guerra Civile come guerra sostenuta dai poteri locali contro un potere centrale, quello di Washington e del governo federale, brutalmente autoritario, centralista, interessato solo all'esazione fiscale e alla privazione delle libertà civili garantite dalla Costituzione.
       Questa visione - accuratamente depurata da tesi insostenibili, come quella della legittimità della schiavitù, vista ormai come un fenomeno connesso ad una situazione economica in rapida evoluzione, dove gli Stati del Sud più avanzati, a cominciare dalla Virginia, stavano rapidamente liquidando le piantagioni, affrancando gli schiavi e aprendosi a forme economiche più moderne, come l'industrializzazione - ha cominciato a raccogliere seguaci in varie aree del Paese, anche in quegli Stati del Midwest e dell'Ovest che non avevano fatto parte della Confederazione, ma dove la gente sentiva sempre più come intollerabile il peso del potere centrale (e pure in non pochi Stati del Nord).
       Il culmine di tale ascesa politica e metapolitica è stato raggiunto quando sono stati pubblicati i primi libri sul fatto che il Sud avesse ragione (di cui una delle più brillanti espressioni è il libro di James Ronald e Walter Donald Kennedy, The South was right!, Pelican Publishing, Gretna (Louisiana), 1991, 431 pp.)  e che la sua fosse una più che legittima ribellione contro il potere centrale dello Stato federale che, con Lincoln, aveva reagito manu militari a quello che in realtà era il pieno diritto di qualsiasi Stato dell'Unione, quello di secedere e andarsene per la propria strada, se riteneva che i suoi diritti fossero conculcati e i suoi interessi fossero danneggiati da Washington.
       Nel momento cruciale di questa crescita metapolitica, scatta l'offensiva di chi la ritiene pericolosissima: fanno la loro ricomparsa, uscendo dal nulla in cui vegetavano, gruppi di suprematisti bianchi una volta di più inclini a comportarsi esattamente come atteso e voluto dai loro avversari: suprematisti che riscoprono le patetiche parafernalia del Klan, che si abbandonano a violenze contro i neri, che arrivano addirittura ad ammazzarne qualcuno, soddisfacendo in tal modo le più rosee aspettative dei loro avversari.
       A quel punto, parte la reazione: il semplice riferimento a simboli della Confederazione diventa un atto da reprimere immediatamente, anzi quei simboli vanno abbattuti come esternazione di "razzismo", e la Storia, ormai diventata Memoria, si rivitalizza nella politica e soprattutto nella cronaca, e scatta la più totale DEMONIZZAZIONE di tutto ciò che può riguardare la Confederazione, con la richiesta di vietarne i vessilli, di abbatterne i monumenti e presto anche di scrivere libri sulla medesima che non siano di piena e assoluta condanna della stessa.
       Non so assolutamente come andrà a finire questa fase, so però che - anche se momentaneamente conculcato - il fiume carsico della teoria che vede nella Confederazione la migliore e più fedele interprete dei diritti degli Stati contro il potere federale tornerà prima o poi a galla, non solo perché è l'unica e vera causa della Guerra Civile americana, ma anche perché è un problema di enorme attualità, che prima o poi dovrà essere risolto: i diritti degli Stati (e, con essi, i diritti dei cittadini che di tali Stati sono parte attiva) contro il ferreo e occulto controllo del potere centrale, di quello Stato federale e delle sue burocrazie su cui il cittadino medio non ha alcuna possibilità di contrasto e di cui deve sopportare tutte le prepotenze, anche quelle - e non sono poche - palesemente illegali.
      Lo scontro è aperto. In una certa misura, la stessa elezione di Trump alla presidenza ne ha costituito un segno. Poi Trump è stato in larga misura fagocitato dal potere centrale e dalle forze neppure troppo occulte che gli stanno dietro, ma fate un lungo giro per gli "Stati Uniti profondi", invece che andare nelle solite mete da turisti da selfie, e incontrerete realtà e voci estremamente interessanti. Lontani da Gotham City, vicini al "Paese reale". Quello è viaggio, non turismo, e tanto meno per caso...

                                         Piero Visani



sabato 12 agosto 2017

Consigli di lettura: "L'imperatrice creola"

      Sebbene scritto in forma talvolta immaginifica, ma sempre letterariamente molto convincente, L'imperatrice creola. Amori e destino di Giuseppina di Beauharnais, la prima moglie di Napoleone, accurata biografia opera di Carolly Erickson (Mondadori, Milano 2003, 370 pp.), è un libro molto godibile e ricco di particolari, che mi sono casualmente riguardato in questi giorni.
        Mi ha sempre affascinato il personaggio di Joséphine, non tanto perché sposò Napoleone Buonaparte per evidenti ragioni di interesse, ma per comprendere come mai lui - soggetto poco o nulla fedele e parecchio affamato di sesso - abbia potuto amarla teneramente per tutta la vita, al punto da rimanere molto scosso quando ne apprese l'improvvisa scomparsa (1814).
       Da tutte le fonti - e anche dal libro della Erickson - emerge la personalità di una donna fascinosa ma al tempo stesso profittatrice, lucidamente consapevole del fatto che, per sopravvivere come vedova e madre di due figli ancora relativamente piccoli in un'epoca di sconvolgenti cambiamenti come quella della Rivoluzione francese, dove era stato ghigliottinato anche il suo primo marito, il visconte Alessandro di Beauharnais, ed ella aveva conosciuto il carcere, la cosa migliore per lei era fare riferimento costante al suo notevolissimo fascino, alle sue non minori capacità seduttive, in una parola al suo riconosciuto "pussy power", che fece cadere ai suoi piedi decine di uomini, incapaci di resisterle.
      Il giovane generale Buonaparte fu tra questi e nessuna biografia è davvero in grado di stabilire in via definitiva come lei riuscì a fare innamorare così profondamente di sé un uomo tanto complicato, duro, difficile. Da biografa, dunque da donna, la Erickson dedica pagine molto interessanti al clima di totale rilassatezza sessuale che si instaurò in Francia dopo la fine del tragico periodo del Terrore e come un'ansia di vita e una bramosia di sesso avessero finito per coinvolgere in un abbraccio fatale (e l'immagine non è necessariamente metaforica...) tutti coloro che, per un motivo o per l'altro, per almeno un anno avevano vissuto nel timore di cadere sotto le grinfie del furore giacobino dei Robespierre e dei Saint-Just.
       Il passaggio ad una fase politica nuova - nota acutamente la Erickson - venne salutato anche con una molteplicità di accoppiamenti, talvolta pure orgiastici, che fecero sentire a tutti, molto nitidamente, che dopo aver sfiorato la morte era possibile "vivere di più", per ripagarsi delle troppe paure provate. Il timido e rozzo generale Buonaparte non fu certo partecipe di quegli eccessi, ma fu facile preda delle eccellenti e più che sperimentate arti seduttive di Madame de Beauharnais. Nessuna biografia ci dice quale vantaggio personalmente ne trasse il futuro imperatore, né ci spiega se la sua consorte fu la causa dell'aumento esponenziale degli appetiti sessuali di lui, ma certo Napoleone le serbò sempre la massima affezione. Non propriamente quella che si riserva ad una "nave scuola", ma quella che un soggetto meno esperto riserva alla propria maitresse, a colei che gli ha fatto scoprire mondi nuovi, senza peraltro garantirgli (come del resto lui non garantì a lei) una qualche forma di stucchevole fedeltà fisica. Le fu fedele in termini di passione, di riconoscimento di un primato su tutte le altre donne della sua vita e Joséphine, in svariate occasioni, diede prova di averlo pienamente compreso. Gli amori veri superano agevolmente le stracche convenzioni borghesi.

                        Piero Visani



giovedì 10 agosto 2017

Alle radici della "bontà"

       Scrivendo dal Quartier Generale del Distretto della Frontiera, situato a Fort Smith, Arkansas, in data 17 novembre 1863, il generale Jos. T. Tatum, dell'Esercito dell'Unione, spiegava a chiare lettere che i guerriglieri confederati che agivano alle spalle delle linee unioniste, infliggendo pesanti danni alle loro linee di comunicazione e ai loro rifornimenti, non avevano alcun diritto al riconoscimento di uno status di combattenti regolari e dovevano essere impiccati sul posto se catturati, in quanto:

"common foe of mankind"

vale a dire "nemici del genere umano".
       La bellezza di studiare la Storia consiste proprio in questo: che essa consente di scoprire radici e sedimenti di visioni del mondo che esistono ancora oggi. Ecco, la teoria del nemico come "nemico del genere umano", dunque non un combattente di un altro esercito, ma un soggetto addirittura al di fuori del consorzio civile.
       Questa frase, letta in un'illustrazione relativa a un manifesto dell'epoca, pubblicata a pagina 16 del libro di Sean McLachlan, "American Civil War Guerrilla Tactics", Osprey Publishing, Oxford 2009, mi ha molto colpito e mi ha fatto altresì molto riflettere. Tutto ha le sue radici ed esse affondano proprio là dove ancora oggi prosperano, in quella stessa visione del mondo manichea.

                     Piero Visani




                       


domenica 6 agosto 2017

In vino veritas

       Nello scrivere il breve saggio sul vino che mi è stato commissionato e di cui non posso ovviamente dire nulla per deontologia professionale, ho però appreso tante cose che non sapevo in particolare sui vini bianchi e sui miei amatissimi vini bollicinati, con in testa lo champagne. Credo che d'ora in poi, a seguito di questa full immersion tematica, potrò selezionare i vini con decisamente maggiore cognizione di causa, con superiore consapevolezza delle mie scelte. Ne sono lieto, è una sorta di fringe benefit di questo lavoretto.

                         Piero Visani



Al muro del tempo

       La mia natura è di tipo costruttivo. Cerco sempre di costruire qualcosa, pur in mezzo a mille difficoltà. Se ci riesco, ne sono molto contento; se non ci riesco, me ne dolgo. Il mio procedimento è sempre empirico, provo e riprovo. Talvolta mi va bene, molto più spesso mi va male, ma a me piace provare. Credo di aver avuto e di avere tuttora grossi problemi di comunicazione. Vedrò di cercare di ridurli/contenerli, salvaguardando la mia identità. Non mi serve molto altro, sono terribilmente egosintonico e quindi, dovessi essere anche in disaccordo con tutto il mondo, mi basterà sempre e solo essere d'accordo con me stesso.

                       Piero Visani

                             

sabato 5 agosto 2017

Onori e oneri

       Ho appena completato un breve lavoretto sul vino per un cliente business e allora, per tenermi informato e "sul pezzo", l'ho completato concedendomi un'ottima bottiglia di Extra Dry "Fripon" della Cave du Mont Blanc, che è stato consigliato a mio figlio Umberto dalla Signora Elisabetta Allera, comproprietaria del mitico Ristorante-Albergo "Lou Ressignon" di Cogne.
      Leggero, molto delicato, ricco di bollicine, credo sia uno degli spumanti italiani prodotti a quota più elevata. La Signora Elisabetta, con la sua peculiare cortesia, mi ha sempre consigliato bene, nei decenni di mia frequentazione del suo locale e questa volta ha consigliato benissimo anche mio figlio. Si impone di fare quanto prima una scorta di questo ottimo vino.

                     Piero Visani


Un sorriso

       Un lieve sorriso increspa il mio volto. Chi mi conosce davvero (e sono pochissimi...) potrebbe forse pensare - non illegittimamente - a un sorriso vagamente ironico. Tuttavia, preferisco non parlare, non è il caso. Sorrido, mi basta. Dietro quel sorriso c'è un mondo, il mio, con le sue vette.

                        Piero Visani



Il valore dell'addestramento

      Oggi tennis dalle ore 15,15 alle 17,30 con mio figlio Umberto. Temperatura sul campo, chiaramente indicata da un termometro posto ai margini dello stesso, 39° C. Sole bruciante. Calore accresciuto dal fatto che considero i campi in terra rossa adatti a braccia sottratte all'agricoltura, ergo gioco solo sul sintetico. Umidità molto elevata. Ma si deve giocare, e si gioca. Tirarsi indietro è da vili.
       Si apprezzano tutti i vantaggi dell'addestramento: "se ti sarai addestrato bene, la guerra ti sembrerà quasi rilassante, rispetto all'inferno dell'addestramento".
       "Andare dentro, sempre e soltanto andare dentro. Questa è l'essenza del vivere, dell'unica vita possibile".

                            Piero Visani





giovedì 3 agosto 2017

Il 14° Rgt. di linea ad Eylau (8 febbraio 1807)

      Nelle sue memorie ("Mémoires du Général Marbot", Plon, Paris 1891, vol. 1, pp. 342-356), opera tra le più celebri dell'epopea napoleonica, il generale Marbot, all'epoca della battaglia di Eylau semplice capitano facente funzioni di aiutante di campo del maresciallo Augereau, ci racconta di come il corpo d'armata comandato dal suo superiore, colto di sorpresa dall'improvvisa avanzata delle truppe russe, sotto una terribile tempesta di neve, riuscì a tenere per miracolo la posizione che gli era stata assegnata, a prezzo di gravissime perdite.
       Il reggimento più esposto all'offensiva russa risultò essere il 14° Reggimento di fanteria, il quale, sotto il peso delle cariche di cavalleria, si chiuse in quadrato su una specie di monticello che si stagliava dal terreno, non potendo ritirarsi in quanto l'ordine dell'Imperatore era di tenere la posizione a tutti i costi.
       Vedendo una tale carneficina, tuttavia, Napoleone si preoccupò di sottrarre un reparto così valoroso ad un inutile massacro e diede ordine al maresciallo Augereau di autorizzare il 14° alla ritirata. Questi incaricò il capitano Marbot di recapitare l'ordine al comandante del reggimento e Marbot, sfruttando le doti velocistiche della sua splendida giumenta Lisette, riuscì ad arrivare sull'altura dove il 14° Reggimento resisteva con la forza della disperazione, ora sottoposto all'attacco di un reparto di granatieri russi del reggimento Pavlov.
       Il maggiore che comandava quel che restava del reggimento, dopo che tutti i suoi superiori erano morti, fece notare a Marbot che, per un reparto ormai ridotto ai minimi termini come il suo, ogni tentativo di ritirata sarebbe stato impossibile e che quindi il 14° sarebbe morto sul posto, dopo aver combattuto fino all'ultimo uomo. Chiese tuttavia a Marbot di aiutarlo a salvare l'onore del reparto, riportando "l'aquila", cioè la bandiera reggimentale sormontata dal simbolo imperiale, a Napoleone, come testimonianza della devozione a lui del reggimento. Del resto, perdere "l'aquila" sarebbe stato un disonore troppo forte per il reparto al suo comando.
       Marbot, ben consapevole di ciò che pretendeva l'onore militare dell'epoca, accettò di prendere in consegna la bandiera, ma prima chiese e ottenne di poterla staccare dall'asta, insieme all'"aquila", altrimenti il suo ritorno alle linee francesi sarebbe stato impossibile, a causa del peso della bandiera stessa e di come lo avrebbe reso visibile in mezzo a nugoli di cosacchi, rallentando altresì la corsa della sua giumenta.
       Dopo aver salutato il comandante del 14°, il rientro di Marbot non fu agevole, perché il reparto della Vecchia Guardia fatto avanzare per coprire il cimitero di Eylau dall'avanzata russa lo scambiò per un ufficiale nemico e lo tempestò di proiettili, abbattendo la sua cavalla e facendolo precipitare al suolo, dove svenne e fu ritrovato solo parecchie ore più tardi, quasi completamente spogliato dei suoi abiti, come si usava fare all'epoca con i morti ed i presunti tali. La sorte della bandiera del 14° Reggimento non è chiarissima, ma restano la beltà e la nobiltà del gesto del suo comandante perché la riportasse all'Imperatore, che al reggimento l'aveva a suo tempo conferita. Quel che più conta, di certo essa non cadde in mano russa, dal momento che Marbot venne abbattuto proprio di fronte a un quadrato della Vecchia Guardia cui i russi non ebbero nemmeno l'ardire di avvicinarsi, spaventati dalla semplice vista degli alti colbacchi neri e dall'aspetto molto minaccioso di coloro che li indossavano. L'onore militare era salvo.

                        Piero Visani




                      

Piccole soddisfazioni

       Ciò che suscita maggiore soddisfazione, a cose fatte, è capire quanto si è stati compresi e stimati. A quel punto, si intende lucidamente che è stato tutto inutile, che avere a che fare con sordi e ciechi sarebbe stato più agevole, e si volta definitivamente pagina.
       Per soprammercato, potrei anche chiedere - pirandellianamente - una "patente"... Quanta energia dispersa, e quanta capacità di comprensione! Chapeau!

                            Piero Visani



mercoledì 2 agosto 2017

Mind Games

       E' tempo di tornare a giocare. E' tempo che io torni a giocare.

                   Piero Visani



La scrittura terapeutica

       Questo tipo di scrittura ha un ottimo valore quando si tratta di spiegare a se stessi eventi che si sono vissuti e che si ritiene ancora bisognosi di una rilettura critico-nostalgica. Oltre a questo, però, non le vedo altre particolari valenze, se non a fini di autoconsolazione o di approfondimento del Sé.
        Oltre queste, io voto decisamente in favore dell'esperienza terapeutica, che ritengo decisamente preferibile e che è tanto più indispensabile nel caso in cui si possa finire protagonisti, sia pure involontari, di soluzioni di compostaggio.

                         Piero Visani



martedì 1 agosto 2017

Fasi

       La pubblicazione del mio primo romanzo - mi auguro presto - chiuderà una fase esistenziale, accompagnata ovviamente da qualche recensione e da qualche presentazione. Ci sarà qualche momento divertente e qualche altro meno, come sempre accade in casi del genere. Mi immagino che ci sarà pure qualche sorpresa e qualche discussione, ma le ho messe in conto.
       Poi mi preoccuperò di trovare un editore per il mio secondo romanzo, che è già perfettamente pronto, e anche quella sarà un'altra fase.
        La fase successiva sarà riservata a un terzo romanzo, relativamente al quale ho già scritto due o tre trame diverse, su cui sto riflettendo. I tempi principali saranno superficialità, incomunicabilità, volubilità, desiderio di prendere in giro il prossimo, così "per allegria", per il gusto di fare male, di fare danno. Ma sono alla ricerca di una trama che mi convinca al cento per cento e ancora non l'ho trovata.

                      Piero Visani



Mauro Corona

       Non conosco Mauro Corona, se non che per qualche comparsata televisiva, però mi è molto piaciuta la sua reazione a carico dei balordi che hanno cercato di penetrare in casa sua, spaventando parecchio i suoi familiari.
       In casi del genere, giusto i giuristi, con la loro visione "complessiva" delle cose, riescono a spaccare il capello in quattro, in modo da alterare completamente la realtà, come è tipico della loro formazione burocratico-servile. I comuni mortali, per contro, reagiscono, chi più istintivamente, chi meno.
      Contro un atto ostile, quale che sia, rivendico il mio diritto di colpito di reagire come meglio credo, senza limiti di sorta, se non quelli caratterizzati dalla mia capacità di leggere le situazioni. E ovviamente totalmente pronto ad accettarne le conseguenze, per soddisfare l'onanismo mentale dei giuristi.
       In vita mia, sono stato colpito molte volte, sia in forma diretta sia metaforica e, ogni volta che reagivo, sentivo tanto gli aggressori coraggiosi (pochi) quanto quelli vili (moltissimi) preoccuparsi soprattutto di farmi notare DI NON ECCEDERE. Chi, io? Io non avrei dovuto eccedere? E pensarci un attimo prima di aggredirmi? E valutare i rischi cui si sarebbe potuti andare incontro? E' chiedere troppo?
       La consapevolezza della più totale immunità, in tutti i campi, sta facendo molti danni, ma non è necessario aver letto Carl von Clausewitz e il suo aureo saggio Sulla guerra, per sapere che il protrarsi delle ostilità è una forma di ascesa agli estremi e, poiché l'offensiva si esaurisce progredendo, ampi spazi si aprono per la difensiva... E, in determinati casi, è molto meglio avere qualche avversario abbattuto in più che qualche familiare vulnerato. Questa legge fondamentale sta venendo sempre più fuori, perché è insita nella natura umana. I giuristi e i politici raramente lo capiscono, ma non è il caso di aprire qui una discussione sull'"umanità" della loro natura...

                   Piero Visani





"Qualcuno che ti osserva già vorrebbe la tua gola"

      Molti amici, parenti e conoscenti che vivono nell'area collinare alla periferia di Torino sono concordi nel rilevare il numero insolito di "neri non per caso" che percorrono le tortuose stradine della collina stessa, talvolta - se più accorti della media... - intenti a fingersi pacifici joggers.
       Da queste parti, chi abita in case singole, anche per nulla isolate, sa bene che agosto NON è un mese adatto a fare vacanze e che, se del caso, è meglio affidare il presidio della propria abitazione a qualcuno che ci rimanga dentro od eserciti qualche forma di controllo costante e ravvicinato.
      I residenti di queste zone sanno bene che uno dei pregi migliori della democrazia italiana è lasciar fare tutto a tutti, a condizione che non danneggino i manovratori e la loro solida rete di interessi, e che lo Stato esiste solo per prendere, mai per dare. Dunque guardano con crescente preoccupazione a questa "festa mobile" di soggetti che si spostano di continuo da un punto all'altro della collina, sempre provvisti di telefonini ultimo modello. E la situazione non è diversa o migliore nei centri urbani limitrofi, dove ormai è costante la loro presenza davanti o nei pressi di condomini, magari anche per studiare le abitudini dei residenti.
       Come cittadino, la cosa mi preoccupa relativamente poco: ho già dovuto dare forzosamente tutto il mio poco oro alla Patria, per il pagamento di balzelli vari utili a mantenere ed ingrassare la classe politico-burocratico dominante, ergo ho da perdere giusto le mie catene. Nient'altro.
       Come padre di famiglia e come marito sono preoccupato per la sicurezza dei miei familiari, perché io non ho scorte e non ho certo risorse per potermele permettere. Al massimo, posso pensare di fare come Mauro Corona...
       Come polemologo, infine, la cosa mi diverte alquanto, perché vedo gettare disinvoltamente le basi di una conflittualità e di uno scontro sociale che non potrà finire altro che in un qualcosa di molto sanguinoso. Sorrido; è probabile che potrà essere anche il sangue mio, ma non sarà il solo. Di fronte alla follia più totale di un popolo di ebeti e dei suoi governanti, la cosa in fondo mi diverte. Mi viene in mente il rimbrotto di Federico il Grande ai suoi granatieri, a Kolin (1757): "Maledetti, pensate forse di vivere in eterno...?". Io no, per nulla, anzi penso che in questo sistema di morte io sia già morto da tempo. Ergo...

                        Piero Visani 



Numerologia

       Ho sempre avuto la massima attenzione per i numeri e le date. Circa quattro anni fa, il 4 agosto 2013, conclusi di mia iniziativa una fase di vita che avevo iniziato nel dicembre 2010 e lo feci sulla base di un mio forte impulso interiore, un autentico desiderio di rivincita. Non potevo invece sapere che solo due giorni dopo, il 6 agosto 2013, se ne sarebbe aperta un'altra, non propriamente per mia iniziativa, poi anch'essa malamente degenerata.
       Non sto scrivendo queste righe per attribuire responsabilità: per esperienza di vita, so di essere uno che viene facilmente "buttato via" e non intendo farne carico ad alcuno. Ad un certo punto, evidentemente, ci si stanca di me, e va bene così.
       Ho però una discreta curiosità relativamente a ciò che potrà accadere a partire dal 7 agosto. Per me, che ho una certa sensibilità per queste cose, è come se iniziasse una fase nuova, svincolata da influenze precedenti.
       Vorrei dire che mi potrò sbarazzare del mio passato, ma è assai più corretto sostenere che è il mio passato che si è sbarazzato di me. Siccome non è assolutamente la prima volta, occorre prenderne virilmente atto. Mi ha aiutato a scrivere due romanzi, dunque a qualche cosa è servito.

                                Piero Visani