giovedì 3 agosto 2017

Il 14° Rgt. di linea ad Eylau (8 febbraio 1807)

      Nelle sue memorie ("Mémoires du Général Marbot", Plon, Paris 1891, vol. 1, pp. 342-356), opera tra le più celebri dell'epopea napoleonica, il generale Marbot, all'epoca della battaglia di Eylau semplice capitano facente funzioni di aiutante di campo del maresciallo Augereau, ci racconta di come il corpo d'armata comandato dal suo superiore, colto di sorpresa dall'improvvisa avanzata delle truppe russe, sotto una terribile tempesta di neve, riuscì a tenere per miracolo la posizione che gli era stata assegnata, a prezzo di gravissime perdite.
       Il reggimento più esposto all'offensiva russa risultò essere il 14° Reggimento di fanteria, il quale, sotto il peso delle cariche di cavalleria, si chiuse in quadrato su una specie di monticello che si stagliava dal terreno, non potendo ritirarsi in quanto l'ordine dell'Imperatore era di tenere la posizione a tutti i costi.
       Vedendo una tale carneficina, tuttavia, Napoleone si preoccupò di sottrarre un reparto così valoroso ad un inutile massacro e diede ordine al maresciallo Augereau di autorizzare il 14° alla ritirata. Questi incaricò il capitano Marbot di recapitare l'ordine al comandante del reggimento e Marbot, sfruttando le doti velocistiche della sua splendida giumenta Lisette, riuscì ad arrivare sull'altura dove il 14° Reggimento resisteva con la forza della disperazione, ora sottoposto all'attacco di un reparto di granatieri russi del reggimento Pavlov.
       Il maggiore che comandava quel che restava del reggimento, dopo che tutti i suoi superiori erano morti, fece notare a Marbot che, per un reparto ormai ridotto ai minimi termini come il suo, ogni tentativo di ritirata sarebbe stato impossibile e che quindi il 14° sarebbe morto sul posto, dopo aver combattuto fino all'ultimo uomo. Chiese tuttavia a Marbot di aiutarlo a salvare l'onore del reparto, riportando "l'aquila", cioè la bandiera reggimentale sormontata dal simbolo imperiale, a Napoleone, come testimonianza della devozione a lui del reggimento. Del resto, perdere "l'aquila" sarebbe stato un disonore troppo forte per il reparto al suo comando.
       Marbot, ben consapevole di ciò che pretendeva l'onore militare dell'epoca, accettò di prendere in consegna la bandiera, ma prima chiese e ottenne di poterla staccare dall'asta, insieme all'"aquila", altrimenti il suo ritorno alle linee francesi sarebbe stato impossibile, a causa del peso della bandiera stessa e di come lo avrebbe reso visibile in mezzo a nugoli di cosacchi, rallentando altresì la corsa della sua giumenta.
       Dopo aver salutato il comandante del 14°, il rientro di Marbot non fu agevole, perché il reparto della Vecchia Guardia fatto avanzare per coprire il cimitero di Eylau dall'avanzata russa lo scambiò per un ufficiale nemico e lo tempestò di proiettili, abbattendo la sua cavalla e facendolo precipitare al suolo, dove svenne e fu ritrovato solo parecchie ore più tardi, quasi completamente spogliato dei suoi abiti, come si usava fare all'epoca con i morti ed i presunti tali. La sorte della bandiera del 14° Reggimento non è chiarissima, ma restano la beltà e la nobiltà del gesto del suo comandante perché la riportasse all'Imperatore, che al reggimento l'aveva a suo tempo conferita. Quel che più conta, di certo essa non cadde in mano russa, dal momento che Marbot venne abbattuto proprio di fronte a un quadrato della Vecchia Guardia cui i russi non ebbero nemmeno l'ardire di avvicinarsi, spaventati dalla semplice vista degli alti colbacchi neri e dall'aspetto molto minaccioso di coloro che li indossavano. L'onore militare era salvo.

                        Piero Visani




                      

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