giovedì 27 settembre 2018

Recensione di Pietro Comelli - Andrea Vezzà, "I mondi di Almerigo"

       Ci sono persone che, per notorietà, per comune appartenenza ad un ambiente, nel caso di specie anche perché vittime di un tragico destino, si sono sentite nominare spesso, anche da amici comuni che le hanno personalmente conosciute, senza per questo che si sapesse molto di loro, se non che le dimensioni più chiaramente pubbliche della loro vita.
       Accade però che, per quei percorsi spirituali e caratteriali che solo i libri sanno farci compiere, queste stesse persone escano da una dimensione puramente mitico-agiografica per diventare uomini veri, reali, "nutrite di sangue e di sogni" come noi, anzi probabilmente più di noi, ma figlie di percorsi esistenziali che anche noi abbiamo compiuto, di passioni che abbiamo condiviso, grandi o piccole che fossero.
       Ho ripensato a tutto questo leggendo il libro di Piero Comelli e Andrea Vezzà, I mondi di Almerigo (Spazio In Attuale, Trieste 2017, 158 pagine, 25 euro) perché - nel farlo - ho scoperto inattese convergenze individuali con la figura di Almerigo Grilz, giornalista e corrispondente di guerra, caduto in Mozambico nel 1987, a soli 34 anni, mentre svolgeva la sua difficile e pericolosa professione. Ne avevo ovviamente sentito parlare, avevo saputo della sua tragica fine e sapevo altresì della sua appartenenza ad un universo politico che era anche il mio. Quello che non conoscevo erano le sue passioni giovanili per i soldatini di carta, per i fumetti di argomento bellico, per il disegno militare e tanto meno per la British Pageantry. Tutte cose che piacevano e piacciono tuttora anche a me.
       Così, leggendo questo bel libro, corredato di numerosissime illustrazioni provenienti dall'archivio evidentemente molto vasto del protagonista, la mia mente è inevitabilmente tornata alla mia gioventù, al fatto di essergli quasi coetaneo (lui del 1953, io del 1950), di aver vissuto molte esperienze politiche comuni, sia pure in ambiti geografici relativamente differenti (estremo Nord-Est lui, Nord-Ovest io). E mi sono soffermato a pensare a come possano essere uguali e al tempo stesso diverse le esperienze di un mondo giovanile, ricco di sfumature al proprio interno ma mai completamente separatosi, salvo - nel caso di alcuni - per poter "godere" fino in fondo le solite esperienze entriste-alimentari, quelle che servono a rinnegare, nella maturità, ciò che si è sostenuto in gioventù...
       Una sottilissima vena di emozione ha percorso i miei ricordi, subito ricacciata indietro da un carattere che non ama le concessioni all'emotività, ma mi sono inevitabilmente soffermato a pensare che morire giovani, seguendo il proprio sogno professionale ed esistenziale, sia tragico ma al tempo stesso preferibile allo sprofondare nella senescenza, magari con il laticlavio, dispensando "perle" di saggezza "pompiera" dopo un breve (brevissimo) periodo di intemperanze "incendiarie" (o pseudo tali). Si godono pensioni e vitalizi, ma forse guardarsi allo specchio diventa un esercizio di difficoltà atroce, ammesso e non concesso che si abbia una coscienza (o uno specchio...). Dopo tutto, chi ha mai detto o scritto che la vita sia un fatto meramente quantitativo...?
       Sono grato agli Autori di questo bel libro per avermelo fatto ricordare.

                                  Piero Visani



Nessun commento:

Posta un commento