mercoledì 24 aprile 2019

Date a Lucky L. quel che è di Lucky L.

       Non sono mai stato un grande estimatore della comunicazione della Lega, anche se i sondaggì mi danno torto, visto il raddoppio dei consensi ottenuto nel giro di soli dodici mesi. Tuttavia, devo riconoscere che la decisione di Salvini di festeggiare il 25 aprile in Sicilia, celebrando la lotta contro la mafia, è un piccolo capolavoro comunicativo. Si può contestarlo - è vero - e lo hanno già fatto sia le opposizioni sia gli "alleati" di governo grillini, ma non si può spingere la critica troppo in là, perché si dovrebbe ricordare che uno dei principali padri nobili della "lotta di liberazione" è stata la mafia, il che inquina vagamente certe paternità, sia pure solo un po'...
       Non so se questo possa essere considerato un atteggiamento sovranista, e neppure mi interessa, ma mi piace ricordare che l'alleanza tra la mafia e i servizi segreti statunitensi in occasione della preparazione e dell'esecuzione dello sbarco alleato in Sicilia del 10 luglio 1943 - ampiamente documentata in libri come quelli di Carlo D'Este (1943. Lo sbarco in Sicilia, Mondadori, Milano 1990) e Alfio Caruso (Arrivano i nostri, Longanesi & C., Milano 2004) - ha fatto scrivere a uno storico sicuramente di Sinistra come Paolo Maltese le seguenti parole: "Fu, quella, una decisione gravida di conseguenze per la Sicilia e per l'Italia, giacchè il fatto di appoggiarsi ad elementi della mafia, addirittura dando loro una autorità pubblica, porterà poi, come logica conseguenza, a un rafforzamento della 'onorata società', favorendone il potere nelle zone in cui essa tradizionalmente dominava" (Maltese, Lo sbarco in Sicilia, Oscar Mondadori, Milano 1981, p. 140), per approdare, in ultimo, alla nota trattativa Stato - Mafia.
      Trovo intelligente e apprezzabile la decisione di sottolineare non solo che la diatriba fascismo/antifascismo è leggermente datata, ma anche e soprattutto che i "buoni" (o presunti tali) non erano propriamente delle verginelle e, non potendo vantare tra le loro file un prefetto Mori, avevano scelto di avvalersi di un Lucky Luciano e di un Vito Genovese:  à chacun son goût,  ovviamente.
       In definitiva, due ottimi piccioni con una sola fava: in primo luogo, le celebrazioni di regimi sfiatati, anzi sfiatatissimi, sono effettivamente un po' datate, quando non del tutto eteroteliche; secondariamente, i "buoni" erano (e sono) forse un po' meno buoni di quanto amino descriversi e hanno anch'essi alcune facce impresentabili, nell'album di famiglia. Il manicheismo, del resto, non ha mai giovato ad alcuno...

                         Piero Visani





sabato 20 aprile 2019

"E liberaci dalla vita eterna, amen"

       In uno stupendo articolo comparso su "la Repubblica" del 18 aprile, Silvia Ronchey ci illustra le fondamentali differenze che intercorrono tra la concezione pagana della morte e quella cristiana, ponendo in evidenza come "nel mondo pagano non ci si attendeva nulla dopo la morte. E questo senso della finitezza incrementava il valore dell'esistenza". Lo aveva ben compreso il grande poeta irlandese William Butler Yeats, quando, nel poema Calvary, Lazzaro rimproverava a Cristo di averlo tratto da "...quell'angolo / dove avevo creduto di poter giacere al sicuro per sempre".
       E la Ronchey conclude il suo articolo con un passo meraviglioso: "Mezzo secolo prima del Lazzaro di Yeats, un poeta vittoriano, Algernon Swinburne, scrisse un inno a Proserpina, la regina degli inferi, che immaginò pronunciato dall'imperatore Giuliano poco dopo la definitiva vittoria della religione cristiana: 'Vicisti, Galilaee', 'Hai vinto, Galileo', si leggeva in exergo.
       A Cristo si rimproverava di avere sottratto agli umani la morte, e con la morte la vita: quel senso pagano del vivere che la promessa di resurrezione cancellava, quella sensualità della caducità, così intrinseca alla letteratura antica: 'Vuoi prenderti tutto, Galileo? Ma questo non potrai prenderlo: /il lauro, le palme e il peana, / la danza delle Ore come un'unica lira / le corde crepitanti come scintille di fuoco. / Poco viviamo. Perché non più pienamente possibile?".
       E la Ronchey conclude: "Una pienezza inscindibile dalla finitezza, quasi un'invocazione di mortalità: liberaci dalla vita eterna, amen".
       Così, in queste stucchevoli mattinate pasquali, mi ritrovo in una visione del mondo totalmente affine alla mia, che fin dai 5-6 anni era ostile al cristianesimo "di pelle" (non potevo avere, stante l'età, altri supporti...). E ora, oltre sessant'anni dopo, mi chiedo se la mia non fosse anche una virulenta ostilità a una forma di "assistenzialismo filosofico/religioso" che rifiuto esattamente come quella dell'assistenzialismo politico/sociale: non voglio NESSUNO che mi stia a fianco - per sfruttarmi... - dalla culla alla tomba. Voglio stare da solo, assolutamente da solo, affrancato dalla presenza di chiunque osi affermare che "sta lavorando per me". Vorrei anch'io essere liberato dalla vita eterna, grazie, visto che gli unici momenti di autentica felicità me li sono procurati nella vita terrena, con le mie sole forze e i miei soli affetti, quelli veri. Tutto il resto ho saputo, so e saprò affrontarlo DA SOLO, E IN PIEDI.

                                         Piero Visani













giovedì 11 aprile 2019

"Ma cosa c'entro io in tutto questo?"

       Alcuni amici, molto carini e solleciti, mi chiedono le ragioni di un certo mio silenzio giornalistico. Rispondo loro con la verità: avendo dovuto lasciare un certo tipo di mercato grazie alle condizioni in cui è stata ridotta l'economia italiana, non ho cercato redditi di cittadinanza. Sono da sempre ferocemente antistatalista, anche - e direi soprattutto... - quando ci vado di mezzo di persona (sapete: una modesta questione di coerenza...). Mi sono quindi dato da fare per porre rimedio alle difficoltà del momento. Almeno in parte ci sono riuscito, anche se dovrò ulteriormente aumentare il numero delle ore di lavoro quotidiane. Ma di tutto questo, all'Italia degli stipendi di cittadinanza, dei redditi di cittadinanza, dei "ponti" dal 18 aprile al 2 maggio non interessa alcunché e, in fondo, nemmeno a me. Ho un'etica elementare e, se mai dovessi salvarmi, mi salverò da solo.
       Quanto allo scrivere, sono in una fase di disgusto politico totale. Vedo una banda di dilettanti non più allo sbaraglio, ma già brillantemente autosbaragliatisi, in preda al loro rivendicato nullismo. Li lascio fare, sorridendo mestamente. Il rivendicato nullismo è una malattia nazionale di vecchia data. Piace al popolo, all'(in)colto e all'inclita. Che potrei fare io? 
       Vedo sostenere con leggerezza tutto e il contrario di tutto, anzi NIENTE E IL CONTRARIO DI NIENTE. Di che dovrei preoccuparmi? Vado d'accordo con qualche decina di persone, che almeno hanno un po' di etica e di cultura politiche. Per il resto, vedo la sempiterna "Droite la plus bete du monde" alle prese con i suoi amori mai spenti, i suoi Mussolini (di cognome...), le sue "difese della Cristianità", il suo "Dio, Patria e Famiglia" (perennemente sbertucciato, nei fatti...). E allora spengo il computer e ne accendo un altro, quello dove scrivo per me e per i miei vari lavori. Salut!

                Piero Visani