giovedì 26 settembre 2019

Lo Stato etico. Versione 4.0

       Quando, fra il 1969 e il 1973, ero un giovane studente della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Torino, indirizzo Scienze Storiche, ero solito seguire con molta attenzione le lezioni di docenti che erano grandi nomi delle discipline storiche italiane dell'epoca: Alessandro Galante Garrone, Franco Venturi, Aldo Garosci. Tutti storici eminenti, dai quali spero di aver imparato molto a livello di metodo. La loro generale appartenenza alla Sinistra per me non era un problema: sono solito prima ascoltare e poi - se resta tempo - parlare...
       Ricordo la generale deplorazione da essi riservata allo "Stato etico" gentiliano e alle parole severe riservate ad un assetto istituzionale che comprimeva pesantemente le libertà del singolo, per sottometterle ai voleri di un Leviatano che - di fatto - incarnava ovviamente le volontà di pochi.
        Dopo il crollo del comunismo e la vittoria della democrazia liberale, non avrei mai pensato che l'approdo di quest'ultima sarebbe stato il più rigido dei totalitarismi, una nuova forma di "Stato etico" in cui ai cittadini è consentito di fare tutto ciò che è ritenuto (da altri) buono per loro. Sorge a quel punto spontanea la domanda: "Da chi è ritenuto buono?" e le risposte sfumano, diventano più confuse e incerte.
       Non puoi fare questo, perché non ti fa bene. Non puoi fare quello, perché fa male al pianeta. Non puoi usare il denaro contante perché facilita l'evasione fiscale. Non puoi usare l'auto perché inquina (ma il SUV no, chissà come mai...?), e neppure l'aereo. Dunque scopri a tue spese che il "migliore dei mondi possibili" è ciò che maggiormente somiglia a una galera o, al limite, a un riformatorio. Dunque, nel migliore dei casi, sei uno scavezzacollo, un corrigendo, uno non degno di stare al mondo perché non rispetta le regole. Chi le ha stabilite, le regole? E chi custodisce i nostri custodi? Domande retoriche e oziose: è ovviamente il "bene comune", il "bene supremo", quello su cui TUTTI sono d'accordo. Ma tutti chi, è come si è formato questo consenso? In base a quali meccanismi? In genere in base a meccanismi finto-plebiscitari, dove pochissimi decidono e gli altri si adeguano, per non rischiare la riprovazione sociale o la morte civile o - più semplicemente - per mero conformismo o totale idiozia.
       A questo tema, Dave Eggers ha dedicato un libro celeberrimo, Il cerchio (Milano 2017), ma a quanto pare, pur se tradotto anche in film, non pare aver scosso le coscienze, perché stiamo precipitando a tutta velocità nell'un tempo deploratissimo "Stato etico".
       Su questo sfondo, noto con una certa soddisfazione che almeno qualcosa di utile si sta facendo strada, vale a dire il suicidio assistito. Così, ho la certezza che, se nessuna forma di resistenza si rivelerà in grado di opporsi a questa assurda e iper-pervasiva forma di totalitarisma, potrò sempre chiedere, a questo benevolo "Grande Fratello", di concedermi il diritto alla "dolce morte", sempre che quest'ultimo non si sia preoccupato già prima - e io sono certo che lo farà - di procurarmela non appena possibile e neppure tanto dolce, se non altro perché, in base ai suoi irrinunciabili principi, ha già preso il solenne impegno di BATTERSI PER ME FINO  ALLA MORTE, LA MIA... E, in effetti, come dargli torto? Che vita è questa, in un lager non più nazista o comunista, ma infine pienamente libertario, nel migliore dei mondi possibili, dove puoi fare tutto, a condizione che non sia vietato (e, sfortunatamente, sempre più cose sono vietate...)?

                    Piero Visani





Emilio Canevari, "Guerra! Lo Stato maggiore germanico da Federico il Grande a Hitler", a cura di Piero Visani, Oaks Editrice, Milano 2019

       Lo studio della guerra è considerato un'attività alquanto "sospetta", in quest'epoca di irenismo diffuso. Come sempre accade, tuttavia, dietro le immagini tranquillizzanti si celano realtà che lo sono molto meno. E' vero, ad esempio, che la guerra classica, tradizionale, è destinata a risultare sempre meno utilizzata, dal momento che i costi che essa impone sono nettamente superiori ai vantaggi che può offrire. Ma, proprio a seguito di tale constatazione, negli ultimi decenni, a cavallo tra i due millenni, la concezione della guerra si è molto dilatata, ha assunto aspetti sempre più complessi e multiformi, ed è diventata più che mai "la continuazione della politica con altri mezzi", mezzi che a loro volta si sono fatti molto più complessi, articolati, sofisticati, confermando, oltre alla celebre massima clausewitziana testé citata, anche il meno noto ma non meno veritiero principio del grande pensatore prussiano per cui "la guerra è solcata in ogni direzione da forze morali".
       Su questo sfondo, il libro del generale Emilio Canevari - una delle più brillanti menti militari italiane del periodo tra le due guerre mondiali - di cui ho curato la prefazione a questa riedizione (Oaks Editrice, Milano 2019, 240 pagine, prezzo 20 euro), rappresenta un modo semplice ma non semplicistito per acquisire alcune nozioni fondamentali sui principi fondamentali della guerra così come sono maturati in Germania nel periodo che va da Federico il Grande a Hitler.
      Prevedibile la tentazione di considerarlo un libro per specialisti, mentre si tratta soprattutto di un sintetico compendio, scritto con notevole maestria e semplicità di linguaggio, su alcune figure fondamentali del pensiero militare germanico, analizzate in un'ottica ormai datata (quella del secondo conflitto mondiale), ma che ci consente  comunque di vedere come "i fondamentali" della guerra rimangano tali, pur se le sue forme esteriori tendono significativamente a mutare.
     Personalmente, sono convinto che la guerra accompagnerà sempre di più le nostre vite e - nelle sue forme di guerra ibrida, guerra mediatica, guerra economica e guerra informatica, per non citarne che alcune - lo sta facendo ogni giorno di più, anche se ai fautori del "pensiero unico", ovviamente irenista, fa molto comodo fare riferimento ad alcune geremiadi come le riflessioni sulla pace universale, senza peraltro specificarci: 1) che è quella che vogliono imporci a viva forza, pur se subdolamente; 2) che è una "pace eterna", nel senso che vogliono costringerci a vivere da morti e schiavi credendo - suprema  illusione! - di essere vivi e liberi.

                                   Piero Visani



martedì 3 settembre 2019

I re regnano ma non governano; i presidenti sì...

       Nelle monarchie costituzionali di durata plurisecolare, si dice che "il re regni ma non governi". Questa tradizione deve essere ormai apparsa vecchia e stucchevole ai demototalitari, quelli che sanno sempre bene che cosa ci serve, e come. Non nel senso di che cosa serve a noi, ma in quello - vagamente più limitato - di quello che serve a loro per dominarci con il sorriso sulle labbra, come è tipico di tutte le monarchie assolute (e per nulla costituzionali) del grande e felice (o quasi) mondo di SODOMIA.
       Nella monarchia liberale del Regno d'Italia (1861-1946), la prerogativa dei sovrani di casa Savoia si limitava in genere alla scelta del Ministro della Guerra, che di fatto era la longa manus del sovrano per il controllo di quanto costituiva la garanzia del suo potere, vale a dire le Forze Armate.
       In quei decenni bui, dove la repressione a carico del cittadino comune era terribile (ma non controllavano alla gente i conti correnti, forse perché erano pochi e appartenenti a un'unica casta di beati possidentes ad averli, dunque non ci sarebbe stato molto da rubare, e quasi tutto in casa...), il sovrano poteva dire la sua su un solo dicastero.
      Nella "felicissima" Italia repubblicana, a parte la Chiquita (che conta tantissimo, come sapete, vista la natura della Repubblica) e il fatto che l'aborrita monarchia è stata abolita, i retaggi del potere assoluto, a parte qualche parentela controversa e non riconosciuta, non ci sono più e il presidente - repubblicanissimo e democraticissimo - arroga a sé, al più, il diritto di nomina di quattro dicasteri (Difesa, Esteri e altri due economico-finanziari): insomma, vince per 4 a 1.
      E noi - incapaci di essere tra quelli che "dicono no" (altrimenti Vasco Rossi si adira e ci fa causa) - perdiamo ogni fiducia nel "migliore dei mondi possibili" e davvero ci sentiremmo presi per le terga se per caso ci assalisse il desiderio (ma non accade, non può davvero accadere, stante la situazione) di cantare "Liberi, liberi". In effetti, una cosa è essere presi per le terga dagli apologeti delle SODOMIE di massa, un'altra è credervi... Meglio tacere, quindi. Che la farsa (democratica) continui!!

                                                      Piero Visani