giovedì 28 febbraio 2019

I buoni consigli

       Quando si è costretti a chiudere, per crisi, una piccola società, la peggiore iattura non è quella del ritrovarsi più o meno a piedi in età non propriamente giovanissima, ma doversi sorbire i moralismi di quelli che si sentono in dovere di gratificarti di "buoni consigli": cosa avresti dovuto fare, perché, per come, etc. etc.
       Inutile spiegare "mi sono tenuto lontano da voi perché mi facevate semplicemente schifo", oppure perché la captatio benevolentiae non è al vertice delle mie politiche. Ho parecchi anni, ho vissuto periodi diversi, sono sempre sopravvissuto, bene o male. Solo a partire da una certa data sono incappato in politiche intese solo ed esclusivamente a farti fallire, per eccesso di carico fiscale o per sparizione del tuo mercato di riferimento. Ne ho preso atto e - mi dicono - avrei fatto alcuni "salti nel vuoto".
       Mi permetto di dissentire. Non è propriamente così. Quando ti spingono deliberatamente sull'orlo di un precipizio, non hai molta scelta: o ti vendi o ti butti. Esclusa la prima ipotesi, mi è rimasta la seconda. Ora scopro che è colpa mia. Probabilmente è così, ma i salti nel vuoto sono preferibili, in ogni circostanza, al servaggio o alla schiavitù.
       In definitiva, è quello che non riescono a comprendere i "democrats" di certi comportamenti populisti. Ci avete già distrutto, cari dem, cosa credete che abbiamo ancora da perdere? Avete mai sentito parlare della progressiva proletarizzazione della borghesia? A voi non ha ancora colpito? Bene, buon per voi! Quanto a noi, non abbiamo da perdere altro che le nostre catene: di cosa dovremmo essere preoccupati, dello spread? Il salto nel vuoto, credetemi, è infinitamente più affascinante che il salto nel guano, quello che voi ci avete "generosamente" offerto... Poi, sì, è giusto - come voi dite - che siamo dei "falliti", ma ce ne faremo una ragione. Con l'acqua (o forse non è proprio acqua...) ben sopra la gola si ragiona meglio, molto meglio...

                               Piero Visani




                          

martedì 26 febbraio 2019

Scrivendo una prefazione

       Sto scrivendo la prefazione di un saggio di storia militare. Leggo molto perché non c'è nulla che mi infastidisca di più del farsesco atteggiamento dell'"uno vale uno". Cerco di salire a valere almeno due, così potrò essere sostituito fin da subito per manifesto inegalitarismo...
      Leggo così che, nel febbraio 1812, quando la Prussia, sotto il peso dell'imposizione napoleonica, fu costretta ad allearsi con la Francia contro la Russia, il maggiore Carl von Clausewitz - contrarissimo a quell'imposizione, che gli pareva bloccare ogni possibilità di rinascita della Prussia stessa dopo la catastrofica sconfitta di Jena (1806) - decise, con pochi altri ufficiali del suo Paese, di recarsi in Russia per mettersi al servizio dello zar.
       Seppure gratificato del prestigioso incarico di istruttore militare del principe ereditario Federico Guglielmo, von Clausewitz decise di fare egualmente una scelta dalla quale non aveva nell'immediato alcunché da guadagnare e scrisse al suo pupillo, per chiudere le sue lezioni, le seguenti, memorabili parole:

       "Anche quando le probabilità sono contrarie, non si deve sempre considerare una impresa di guerra impossibile e irragionevole: essa è giustificata quando non si può fare di meglio e quando si impiegano nel modo migliore i deboli mezzi disponibili.
       Affinché non manchino in simili momenti la calma e la fermezza, qualità che la guerra tende a smussare e senza le quali divengono inutili le più alte qualità dello spirito, è necessario rendersi familiare il pensiero di perire con onore. Occorre nutrire costantemente questo pensiero perché ci divenga del tutto abituale. Siate convinto, Monsignore, che senza tale ferma risoluzione, nulla di grande si può fare, anche nella guerra più fortunata, e tanto meno nelle avversità. Nella memorabile giornata del 5 dicembre (1757) Federico II ardì attaccare gli austriaci a Leuthen appunto perché era deciso a morire con onore alla testa dei suoi soldati, e non già perché calcolasse di vincere impiegando nella battaglia l'ordine obliquo".

       Rifletto un attimo su queste auree parole e comprendo perché, nel silenzio del mio studio, ho sempre preferito la riflessione sulla storia a molte altre attività: perché in tal modo ho avuto il privilegio di poter scegliere i miei compagni di viaggio tra i leoni, non tra le iene...

                            Piero Visani



venerdì 22 febbraio 2019

Similitudini storico-tattiche

       Notte fra sabato 17 giugno 1815 e domenica 18. Piana di Waterloo (Belgio). Pochi, nell'armata anglo-olandese al comando del duca di Wellington, riescono a dormire, in previsione della battaglia dell'indomani. Tra i membri più giovani dello Stato Maggiore britannico serpeggiano ansia e inquietudine, e alcuni si arrischiano a chiedere al "Duca di Ferro" che cosa prevede che succederà l'indomani, che cosa faranno i francesi. Quest'ultimo, con il suo tono altero e distaccato, sorride sommessamente e dice: "Verranno avanti nella solita vecchia maniera e noi li sconfiggeremo nella solita vecchia maniera".
       Forse la sicurezza di "Welly" sfiorava la sicumera, ma egli - come comandante - doveva preoccuparsi di dare fiducia agli uomini al suo comando e, al tempo stesso, i lunghi anni della Guerra Peninsulare in Spagna e Portogallo (1808-1814) lo avevano reso pienamente consapevole del fatto che gli attacchi francesi in colonna di battaglione, costantemente iterati su ogni campo di battaglia, erano stati costantemente stroncati, anche nelle situazioni più difficili, dallo schieramento in linea delle truppe britanniche, che in tal modo potevano sviluppare un volume di fuoco nettamente superiore a quello dei loro avversari e, di conseguenza, li costringevano alla ritirata a causa delle molte perdite che infliggevano loro.
       Mutatis mutandis, trasformate l'incipit di questa frase con "Staranno indietro nella solita vecchia maniera e noi etc. etc.". Il "Cholo Simeone" non ha combattuto la Guerra Peninsulare, ma ha certamente visto il modo con cui Manchester United, Young Boys e Atalanta avevano sconfitto la Juventus. E - sapendo che il calcio NON è un "gioco semplice" - ne ha tratto qualche prezioso insegnamento tattico...

                    Piero Visani



Il giardino dei semplici

       Ormai è un mantra: "il calcio è un gioco semplice"; "la medicina è una cosa semplice" (con il corollario: "io me la sono studiata su Internet"...); "la scienza è una montatura"; e via vaneggiando. E' tutto "semplice", basta essersi "laureati alla scuola della vita" o - se va un po', ma poco, meglio... - in Rete.
        Ora io non nego che ci siano delle componenti non infondate in talune affermazioni anti-culturali, del tipo "quello ha preso due laure ma non capisce assolutamente niente". Chi scrive, ad esempio, potrebbe costituirne uno splendido esempio. Tuttavia, lo studiare tanto, oltre ad avermi fuso il cervello, mi ha anche fatto comprendere che di semplice, a questo mondo, esiste praticamente nulla e mi ha pure insegnato ad accostarmi ai problemi seguendo un metodo.
       Secondo testimonianze fornite ovviamente a posteriori (dirlo in altri momenti avrebbe messo a repentaglio carriere...), Gigi Maifredi, quando era allenatore della Juventus, esauriva il suo contributo tattico con una frase rimasta celebre: "Andate in campo e fategliene quattro!". Sappiamo bene come andò a finire. Il molto più blasonato Massimiliano Allegri certo non proferisce una frase del genere (basta guardare come giocano solo in difesa le squadre da lui allenate), ma è un altro estimatore del fatto che "il calcio è un gioco semplice": o segni oppure non segni. Il fatto che si arrivi a segnare, oltre che per un rimpallo sui glutei di qualche attaccante, anche adottando precise tattiche per portare i propri giocatori al tiro e per liberarli in modo da consentire loro di farlo nel migliore dei modi (problematica sulla quale sono state scritte centinaia di testi) è questione che neppure lo sfiora, a testimonianza che non pochi, tra i peggiori allenatori della storia del calcio, sono stati ex-calciatori...
       In ambiti un po' più rarefatti, il problema si pone in termini analoghi: un cuoco dilettante, capace di fare un discreto arrosto, già si sente Paul Bocuse, per non parlare di chi discetta sul fatto che la politica è semplice (ma "che ce vo', a farla"...) e sull'inevitabile corollario di questo atteggiamento verso la vita, perfettamente riassunto dalla frase: "uno vale uno", quella per cui chiunque può fare qualsiasi cosa, non servono competenze, tirocini, esperienze, etc., e così porta al governo i Di Maio, i Salvini, i Renzi, i Berlusconi, etc. etc. etc.
       In realtà, se solo si è un po' vissuto, è facile capire che nulla è semplice: l'unica cosa semplice, forse, è coltivare nel proprio animo questo assurdo pensiero riduzionistico, che non fa troppi danni fino a che non ha bisogno (o motivo...) di confrontarsi con la realtà - quella vera, dura, aspra, difficile. Dopo, dal "Cholo" Simeone a tanti altri, in ogni campo, sono stati in tanti a insegnarci che "gli otto milioni di baionette", se mai li avessimo avuti, sarebbero stati del tutto inutili in una realtà dominata dai carri armati, dai bombardieri e infine dalla bomba atomica. A meno che, come fece lo Stato Maggiore italiano nel 1939-40, sollecitato a studiare la Blitzkrieg germanica, rifiutò di aprire il dossier al riguardo perché si trattava di una dottrina in fondo "semplice", di cui ci si sarebbe occupati dopo la guerra. Sappiamo come andò a finire, ma non ci ha mai insegnato niente, perché studiare è fatica, tanta. E non è per niente semplice...

                           Piero Visani




lunedì 18 febbraio 2019

"In medio stat virtus..."

       Questa massima non mi è mai piaciuta, intrisa com'è di (in)sana cultura moderato-democristiana. Però ho pensato - ma credo che prima di me l'abbiano pensato in molti - che la massima stessa si rivaluta se abbinata ad una pratica gestual-digitale non finissima, ma estremamente eloquente e concettualmente densa. E, di colpo, la massima ai miei occhi si è (parzialmente) rivalutata...

                      Piero Visani

L'"odio assoluto"

       Vittima di un deplorevole tentativo di aggressione nel corso di una recentissima manifestazione dei gilet gialli, l'intellettuale francese Alain Finkelkraut ha dichiarato di essersi sentito oggetto di un "odio assoluto". Premesso che un atto del genere è del tutto privo di giustificazione, sono rimasto sorpreso dal riferimento all'"odio assoluto", perché è evidente che - pur se Finkelkraut ha sottolineato che non è la prima volta che gli accade - sorge spontaneo l'interrogativo di che cosa si aspettino le classi dirigenti europee dopo le politiche che hanno svolto in questi anni.
       E' possibile che, nel caso di Finkelkraut, la componente antisemita possa avere svolto un ruolo, anche di rilievo, ma - detto questo - rimane l'interrogativo di che cosa si possa ottenere diffondendo a piene mani disoccupazione, povertà, tasse, lavori remunerati in maniera sempre più insufficiente, e così via. Certamente, per una politica del genere, continuerà a non mancare il consenso di quanti ne sono in vario modo beneficati, ma costoro sono pochi e in continua diminuzione. Per gli altri, fin quando possibile funzioneranno gli spauracchi dell'antisemitismo e della violenza fine a se stessa,  sempre utili con la classe borghese, ma poi - e questo è l'interrogativo di fondo - quando borghesi non ce ne saranno più a seguito del completamento del deliberato processo della loro proletarizzazione e il proletariato non sarà neppure più lumpenproletariato, come già è oggi, ma una massa di disperati non in grado di unire il pranzo con la cena, e magari di doverle saltare entrambe? Ovvio che non siamo ancora a questo, ma si vedono segnali significativi di inversioni di tendenza?
       Il riferimento alla grande bontà delle brioches, tipico dei beati possidentes attuali (che continuano a cibarsene con gusto...), è destinato a funzionare sempre meno con chi non riesce neppure più a procurarsi il pane, o al massimo solo quello. Un tempo si diceva che "chi semina vento raccoglie tempesta". Il detto non vale più, oggi, o forse è più attuale che mai?

                                 Piero Visani



domenica 17 febbraio 2019

Traduzioni "all'italiana"...


       Ho preferito chiudere la mia società - che faceva, tra l'altro, anche traduzioni - perché costavo troppo e perché, pur discretamente competente in campo militare, da tempo si è imposta la logica per cui "uno vale uno" e il campo del lavoro è stato forse il primo dove detta logica si è affermata di prepotenza (ben prima dell'emergere del M5S).
       Ho raccolto ovunque, nel settore delle traduzioni, un florilegio di mostruosità davvero sbalorditive, ma su un libro acquistato stamane ("Cambrai 1917", di Alexander Turner, tradotto in italiano - si fa per dire... - da tale Annalisa Magri, e comparso in una collana in teoria prestigiosa come "La grande biblioteca militare della Prima guerra mondiale", che dovrebbe consistere nella versione italiana (a cura di RCS Mediagroup) di libri pubblicata in origine da un'editrice serissima come la Osprey Publishing inglese, leggo (a p. 72, oltre a continui errori su nomi di reggimenti "aut similia") una topica da Premio Nobel dell'ignoranza: la concessione della massima decorazione militare britannica, la "Victoria Cross", con la motivazione "for gallantry" (cioè "per coraggio, per ardimento") tradotta in "per galanteria" (!!!!!!!!!).
       Dopo omeriche risate e qualche riflessione un po' più amara, la curiosità mi ha spinto ad utilizzare "Google Translator", non propriamente noto per essere un traduttore elettronico affidabile (ammesso e per nulla concesso che ne possa esistere uno), e ho scoperto che il medesimo traduce per l'appunto "for gallantry" in "per galanteria"....!!!
       Poiché le mie insufficienti letture marxiane mi fanno comunque ricordare che "alla base dell'accumulazione primitiva c'è il furto", direi che pagare 9,99 euro per un libro tradotto con topiche di questo livello è davvero un furto. Un minimo di editing, effettuato da qualcuno con qualche conoscenza non militare, ma di inglese, avrebbe evitato figure di purissimo guano come questa.
       Gli editori italiani sono in continua polemica, da qualche tempo a questa parte, con le fake news. Mi permetterei di suggerire loro - ma purtroppo costa... - anche un po' di impegno nella lotta contro le fake translations. Si eviterebbero, forse, cantonate mostruose come questa, che indicano, tra l'altro, un disprezzo assoluto per i lettori, trasformati in semplici pagatori dell'assoluto Nulla. Complimenti alla traduttrice e a RCS Mediagroup!

                                   Piero Visani



sabato 16 febbraio 2019

Messaggi trasversali


       So anche fin troppo bene, per esperienza personale diretta, come funzioni la predisposizione delle rassegne stampa in ambiti istituzionali e so quasi altrettanto bene che nei partiti attuali a farla da padrone è l'orgogliosa rivendicazione dell'"analfabetismo di andata" (quello di ritorno sarebbe già chiedere troppo...). Tuttavia, mi permetto di segnalare, a pagina 26 del quotidiano "La Stampa" di oggi, l'articolo di Kim R. Holmes, vicepresidente esecutivo della Heritage Foundation (non proprio un "think tank" di secondo piano, con sede a Washington D.C.), recante il significativo titolo di "Italia-USA, le opportunità da cogliere".
       Non sono propriamente un filo-americano e tuttavia ritengo che, quando si è molto deboli - come è oggi l'Italia - le partite di politica internazionale vadano giocate su molti tavoli, con cinismo, spregiudicatezza, obiettivi strategici e possibilità di ampie divagazioni tattiche, per guadagnare il massimo risultato possibile da una "guerra di movimento", anzi da forme di guerriglia (metaforica, ovviamente) le più non convenzionali possibili, tenendosi lontani dai partiti presi, dalle forme statiche, dal rischio di essere in qualche modo "incasellati".
       Mi permetto quindi di suggerire la lettura di questo interessante articolo. Ovviamente è un classico "Cicero pro domo sua", ma credo sia utilissimo sapere (e certamente i politici italiani NON lo sanno) che la politica internazionale è un grandioso "mercato delle vacche", dove l'unico principio cui attenersi è quello dell'interesse nazionale, sempre e comunque. La tragica mancanza di una cultura del conflitto (metaforico) consente non solo ai nostri figli più ingenui (à la Giulio Regeni, per intenderci) di finire tragicamente male, ma da tempo sta rischiando di farci fare la stessa fine come Paese. Tenerne conto non sarebbe male e, per tenerne conto, occorre leggere, anche se so che è faticoso e porta via tempo. Ma "nessuno nasce imparato" e - se lo sapeva il grande principe Antonio de Curtis, in arte Totò - è strano che non lo sappiano i piccoli guitti attuali. Per parafrasare il grande Vladimir Ilic Ulianov, in arte Lenin: "studiate, studiate, qualcosa resterà" e magari imparerete pure a fare la "grande politica", non solo la piccola...

                                Piero Visani






venerdì 15 febbraio 2019

Piero Visani, intervista sulla guerra a "L'intellettuale dissidente"

       L'amico Valerio Alberto Menga, partendo dal mio libro "Storia della guerra dall'antichità al Novecento" (Oaks Editrice, Milano 2018), ha pubblicato su "L'Intellettuale Dissidente" un'intervista al sottoscritto che mi permetto di riprendere nel mio blog, ringraziandolo sentitamente.

                           Piero Visani


giovedì 14 febbraio 2019

Scuole di partito

       Assistendo agli "incidenti di percorso" pressoché settimanali in cui incappano esponenti locali (e non solo...) del centrodestra in termini di comunicazione politica, mi chiedo a che cosa servano le "scuole di formazione politica" che - mi dicono - si tengono ogni tanto qua e là. A giudicare dai risultati, direi che servono soprattutto agli avversari politici a sparare a zero contro casi di "imbecillità politica manifesta", che costringono poi i vertici dei partiti stessi a smentire i loro rappresentanti periferici e ad allinearsi prontamente alle logiche del "politicamente corretto" (dunque un caso di duplice successo a costo zero per gli avversari stessi).
       Una tesi vuole che si tratti di espedienti "machiavellici" utilizzati per dire o fare cose che altrimenti non verrebbero dette o fatte, ma a mio parere si tratta di tesi debolissima, perché il carico di guano mediatico che viene portato a casa è nettamente superiore, sotto il profilo dell'immagine, a ciò che si guadagna in termini di clamore negativo, sempre mediatico.
       C'è chi sostiene che, in questo modo, si parlerebbe alla "pancia" del Paese e dunque sarebbe una soluzione e contrario per fare nuovi accoliti, ma resta il fatto che parlare sempre alla "pancia" e mai - ma proprio mai - al cervello dei cittadini non porta da alcuna parte e non costruisce né una cultura politica, né una metapolitica, e tanto meno conduce alla costruzione di un humus su cui si possa costruire qualcosa. Porta, al limite, a una ripetizione del "caso Renzi" (che pure godeva di ben altri supporti metapolitici), vale a dire da oltre il 41 per cento dei consensi a circa il 17, a stare larghi, abbinato a un'ostilità personale assai tangibile.
       In ogni caso, le "scuole di formazione politica" si susseguono, anche se con non grande frequenza, e davvero sarei curioso di sapere che cosa si insegna al loro interno, sotto il profilo della comunicazione e soprattutto della sua interazione con i valori della società. A me pare che il capitolo "eterotelìa", o "eterogenesi dei fini", sia un po' trascurato, ad occhio...

                      Piero Visani




                                

lunedì 11 febbraio 2019

Minima militaria

       Vedo stupore, dubbi, quesiti in merito a una certa fotografia relativa ad un incontro (e ad un inchino) tra il presidente della Commissione Europea Juncker e il presidente del Comitato militare dell'Unione Europea, generale Graziano.
       Mi stupisco dello stupore. E' solo l'assoluta estraneità a certi ambienti che può indurre a nutrire stupore per gesti, a volte anche un po' troppo accentuati, che però interpretano al meglio una filosofia d'ambiente, la spiegano e la motivano. In una parola, se si procede in carriera a forza di inchini, talvolta può scapparne uno un po' troppo accentuato. Mai confondere l'epifenomeno con la struttura, ma ricordarsi che l'epifenomeno spesso la illustra al meglio...

                         Piero Visani

Il "laboratorio" Sanremo

       Un tempo si diceva: "si parva licet componere magnis", vale a dire "se è lecito paragonare le piccole cose alle grandi". Magari non succedeva, ma il Festival di Sanremo (che in Italia è cosa grande) ha indicato e aperto una via per la politica e la democrazia (che in Italia sono cose piccole e poco importanti).
       Come si fa a prendersi gioco del voto popolare? Basta escogitare un meccanismo di voto in cui (ah, tragedia, tragedia!!) "uno non vale uno", ma ci sono "gli ottimati" il cui voto vale di più, in quanto "unti e bisunti" non più da "madonna democrazia", ma da "madonna aristocrazia". Con questo semplice meccanismo, è facilissimo fare vincere chi si vuole, in particolare chi sia più conforme alla cultura dominante e al pensiero unico.
       Nessuno stupore da parte di chi - come chi scrive - ha un'opinione della democrazia un po' inferiore a quella della meno gettonata delle peripatetiche o conosce come si è fatto, per decenni, in Irlanda del Nord a fare vincere gli unionisti e non gli indipendentisti (qualcuno ricorda la democraticissima pratica del gerrymandering...?).
       In fondo, come tutti i principi, anche quello di "un uomo, un voto" è modificabile. Quando lo si poteva gestire con il monopolio metapolitico, uno sforzo del genere non era necessario: ci pensavano il sistema mediatico e le altre componenti di una strategia dell'egemonia. Ora che quel monopolio è rotto, o forse addirittura infranto, serve altro, serve un "moltiplicatore di forza" per chi non è più così forte come un tempo, ma non vuole comprensibilmente perdere una fettina di potere. I "democrats", quando li metti alla prova, si scoprono sempre una via di mezzo fra autoritari e totalitari, ma a loro quella posizione per nulla democratica è consentita in quanto detentori - per grazia ricevuta - di una enorme "superiorità morale" di cui noi, poveri underdog, non siamo in alcun modo depositari.
       A Sanremo, in definitiva, è stato riportato in auge un modello di voto che serve a salvare un regime quando è in crisi e che è sintetizzabile à la marchese del Grillo: "io sono io e voi non siete un c...o". Quanto profondo pensiero "democratico" trasuda questa splendida affermazione, nella sua infinita chiarezza! Per fortuna, almeno il nuovo presidente della Rai pare essersene accorto. Notazione per chi fa politica: lo "spoils system", in una democrazia dell'alternanza, è la primissima cosa che serve. Tutto il resto viene dopo. Altrimenti vinceranno sempre gli stessi.

                                       Piero Visani





domenica 10 febbraio 2019

Dal 10 all'11 febbraio

       Nel giusto moltiplicarsi di commemorazioni sulle foibe e l'esodo (forzato) degli italiani da Istria e Dalmazia, mi permetterei di aggiungere - da "bastian contrario", che è una peculiarità caratteriale che rivendico molto volentieri - che domani, 11 febbraio, ricade il novantesimo anniversario dei Patti Lateranensi e del Concordato tra Stato e Chiesa.
       Data per me epocale perché, in poco meno di un decennio (23 marzo 1919 - 11 febbraio 1929), un movimento politico nato con un'ideologia rivoluzionaria passava con la massima disinvoltura dal programma di "svaticanizzare" l'Italia alla Conciliazione, assumendo dunque le caratteristiche di movimento autoritario moderato-conservatore, una sorta di franchismo ante litteram, il quale, non contento di essere sceso a patti con la monarchia sabauda, ora sceglieva come secondo "compromesso storico" quello con il Vaticano.
       Nella mia visione del mondo, ai compromessi si acconciano i molto forti e i molto deboli: i primi perché sanno che, a gioco lungo, saranno sempre loro a trionfare, facendo decantare e spegnere l'eventuale carica rivoluzionaria di coloro con cui li stringono; i secondi perché non sono convinti (o non sanno...) di quel che fanno e sperano, in tal modo, di spegnere ostilità che potrebbero essere virulente e potenti, nella pia illusione di riuscire a gestirle e a controllarle, come infatti il regime fascista scoprì poi con chiarezza il 25 luglio del 1943...
       Ecco, dovessi menzionare una data subito dopo le comprensibili celebrazioni odierne, ricorderei con forza quella di domani, perché è un classicissimo caso di "partirono preti (è corretto scriverlo, direi) e tornarono curati". E infatti...
      Nessuna svaticanizzazione, nessunissimo "imperialismo pagano", solo un po' di lotta (forse vittoriosa, o no?) contro i "boy scout". Chi si contenta muore e, se non lo sa, glielo faranno scoprire alla prima occasione...

                       Piero Visani