sabato 30 marzo 2019

Minima (im)moralia

     Le morali posticce, quelle che non sono credute e condivise neppure da quanti le spacciano (e non uso questo verbo a caso), come evidenzia a chiare lettere la loro vita privata, sono come i patriottismi posticci e utilizzati come armi di distrazione di massa: "l'ultimo rifugio delle canaglie".
      Il concetto di "sepolcri imbiancati" - cui faccio riferimento con evidente ritrosia, stante la sua origine cristiana - rende perfettamente l'idea. E non basta una mano di bianco a rendere più "vivibile" un sepolcro.
      "Vizi privati e pubbliche virtù" mi ricordano solo un film di Miklos Jancsò. E non c'è niente di peggio che dire agli altri che fare della loro vita privata.

                              Piero Visani



martedì 26 marzo 2019

Gli imperscrutabili percorsi della moralità

       Terrorizzato come sono dal rimanere inghiottito dalla filosofia (si fa per dire...) dell'"uno vale uno" e di restare più ignorante di quanto già non sia, passo ormai ogni momento possibile a leggere, nell'intento di apprendere, ben  conscio del fatto che in questo Paese non esiste esercizio più inutile. E io adoro le cose inutili, altrimenti avrei fatto l'economista, o il ragioniere.
     Sulle auree pagine del celebre storico transalpino Adolphe Thiers (Storia della Rivoluzione francese, trad. it., Dall'Oglio, Milano 1963, VIII, p. 333 sg.) mi è capitato quindi, stamane, di leggere questo splendido passo a commento della vittoriosa campagna napoleonica d'Italia del 1796-97:

"Quando la guerra è un fatto puramente meccanico consistente nell'investire e uccidere il nemico che si ha di fronte, essa è poco degna della storia; ma quando si presenta uno dei grandi scontri in cui si vede una massa d'uomini mossa da un solo e vasto pensiero, che si sviluppa tra il fragore dell'uragano con la stessa nitidezza di quello di un Newton o di un Cartesio nel silenzio del loro studio, allora lo spettacolo è degno tanto del filosofo quanto dell'uomo politico e del militare: e se questa identificazione della moltitudine con un solo individuo, che porta l'energia al più alto livello, serve a difendere una nobile causa - quella della libertà - allora la scena acquista un valore morale che ne eguaglia la grandiosità".

       Sono cresciuto nutrendomi di questi valori. Li ho visti sbeffeggiati e fatti a pezzi. Ho visto l'affermazione del mondo delle iene, quelle che dicono di non avere nemici ma solo clienti (il che non impedisce loro di farli a pezzi, attaccandoli subdolamente alle spalle). Poi ho capito che continuare a coltivarli e a nutrirli mi avrebbe sottratto al conformismo, mi avrebbe distolto dall'iterazione passiva delle banalità alla moda e così - siccome fin da adolescente adoro "épater les bourgeois" - quando, come stamane, mi è capitato sotto gli occhi questo splendido passo sulla moralità di certe forme di guerra, mi sono detto: perché non riprodurlo? Te ne importa qualcosa della damnatio memoriae o dell'impossibilità di entrare nei quartieri già saldamente popolati del "politicamente corretto"? Ovviamente no, e allora via con un piccolo testo di rivendicazione di impronta futuristica. Finirò ancora di più all'indice? Può darsi, ma ho già scritto altrove come intendo rispondere...

                           Piero Visani




giovedì 14 marzo 2019

La forza delle cifre

      Agli affetti da quello che Antonio Gramsci definiva giustamente "cretinismo economico", dunque ai soggetti che per capire un ragionamento hanno bisogno di cifre, altrimenti lo bollano come "filosofia" (disciplina che ovviamente non capiranno mai, per evidenti limiti intellettivi), mi permetto di consigliare la lettura delle prime tre pagine dell'edizione odierna del quotidiano "La Stampa", dove si commenta ad abundantiam una ricerca condotta dall'associazione di consumatori "Altroconsumo", nella quale si registra con precisione - a meno che non si tratti di fake news, ma non credo, visto che la vulgata nazionale ne esclude la possibilità, sui quotidiani mainstream... - il crollo delle capacità di spesa degli italiani, in tutti i campi.
       Non posso dire con precisione a quali sono rimasto dentro, perché altrimenti i miei amici che tuttora sono "beati possidentes" (e beati loro, aggiungo io!), mi rimprovereranno di comportamenti vagamente cheap, però posso limitarmi a sottolineare che in alcune voci del sondaggio (cambio auto, capacità di fare vacanze, perdita di prospettive professionali) sono rimasto ampiamente coinvolto. Poiché dubito che si tratti di frutti avvelenati di meno di un anno di governo gialloverde, mi immagino che dovrei "ringraziare" anche gli esecutivi precedenti, molti esponenti dei quali - se capisco bene - hanno "arrotondato" le loro condizioni economiche grazie agli stipendi parlamentari e a qualche "straordinario" fatto di persona o con "un piccolo aiuto" di parenti, affini e amici.
        Mi sento riconfermato, più che mai, nel mio complessivo e gravissimo dubbio di stare tuttora vivendo "nel migliore dei mondi possibili", ma hanno sicuramente ragione i miei critici nel dichiararsi incolpevoli in merito al fatto che io sia "un fallito". Pur non avendo mai fatto lo steward da stadio, ma avendo qualche modestissimo titolo in più, ciò non mi ha salvato dal fallimento e questo è una formidabile conferma del fatto che - se è vero che gli "ascensori sociali" non esistono più - quanto meno oggi sono in crescente affermazione i "discensori sociali". Ne ho imbroccato uno che scendeva a picco verso il basso e anche quella, in fondo, è una questione di abilità. O di dignità...

                               Piero Visani



mercoledì 13 marzo 2019

Anteprima libraria


       Ho partecipato, con parecchi altri amici e conoscenti, a una sorta di libro-omaggio ad una delle figure chiave della politologia italiana, che uscirà il prossimo 15 maggio (ma di cui mi è arrivata da qualche giorno una copia in anteprima). Non posso dire di più, per il momento, perché non sarebbe corretto, ma quello che posso dire è che ho scritto un mini-saggio di sole cinque pagine, dedicato a uno dei temi di dottrina militare che mi sono più cari e anche a uno studioso che, avendomi conosciuto in anni per me molto difficili, si comportò in maniera molto diversa da tanti suoi colleghi, sempre pronti a compilare liste di proscrizione, a farmi oggetto di dotte lezioni di (presunta, molto presunta) "superiorità morale" e a farmi oggetto - ovviamente - di una splendente "stella gialla"...
       L'incontro con quella persona fu per me una boccata di ossigeno e gli sono grato ancora oggi di avermi trattato come un essere umano e uno studioso dissenziente, ma studioso. Non mi è capitato spesso, in ambito accademico.

                        Piero Visani

martedì 12 marzo 2019

Sunday, Bloody Sunday

       Dopodomani, giovedì, la Procura dell'Irlanda del Nord dovrebbe rendere noti i nomi dei 17 membri del 1° Battaglione del Parachute Regiment resisi responsabili della "Domenica di sangue" di Derry, il 30 gennaio 1972, quando un pacifico corteo di civili che protestavano contro le politiche del governo britannico nell'Ulster vennero attaccati a fucilate, come se si trattasse di un'operazione di guerra, conclusasi con 14 morti (quasi tutti giovanissimi) e 14 feriti.
       Ci hanno provato in molti, ma nessuno è riuscito mai a spiegare in maniera convincente le ragioni di un comportamento del genere, da parte dei componenti di un'unità militare d'élite, per di più a carico di concittadini (visto che l'Ulster fa parte del Regno Unito) e tenuto conto che l'IRA si era tenuta saggiamente lontana dal corteo di protesta, contenta del fatto che esso avesse raccolto tante adesioni popolari.
       Ne parla il "Corriere della Sera" di oggi, nella sempiterna logica del "chi muore giace e chi vive si dà pace", ma è dubbio che i 14 morti del Bloody Sunday ambissero a trovare la tragica fine che è stata procurata loro da comportamenti del tutto avulsi da qualsiasi forma di etica militare. Chi scrive si augura quindi che la giustizia, pur con i suoi tempi ridicolmente biblici, riesca a fare il suo corso. Meglio tardi che mai ed è bene, anzi benissimo, che chi è riuscito a vivere grazie al suo agire da branco assetato di sangue, infine NON riesca a "darsi pace". E' un atto dovuto a dei poveri morti in giovane e giovanissima età, colpevoli solo - come sempre - di essere "figli di un dio minore", mentre - come è giusto - "al dio degli inglesi non credere mai"...

                                              Piero Visani




No TAV, ma sì TAS(SE)

       I grillini di Torino, patetico gruppo di dilettanti non allo sbaraglio, ma già autosbaragliatisi, sono rigidamente contrari alla TAV - e sono d'accordo con loro, tanto "chi se ne frega di andare a Lione da Torino", dato che ormai non potrei comprarmi neppure il biglietto del treno... - ma sono favorevolissimi alle TAS(se), nel senso che hanno deciso di aumentarle tutte, a livello cittadino. Evidentemente nessuno di loro guarda (o sa guardare...) i sondaggi, che li danno in caduta libera. "Promettete, promettete, qualcosa resterà": la TAV è ancora in dubbio, ma le TAS(se) ci sono tutte, ergo rimangono, pure accresciute.
      Come sempre, per TUTTI i partiti italiani, "l'imperativo unico e categorico è TASSARE. E TASSEREMO!". Sappiamo come è andata a finire, ma ho una laurea in Storia, e mi sono permesso la citazione perché ci avviciniamo al centenario di una data fatidica - il 23 marzo - di gente ancora più abile a promettere, meno a mantenere... Il più grave problema nazionale - temo - non è politico, è antropologico. E chiamasi cialtroneria.

                                              Piero Visani



Suggerimenti di lettura

       L'ultimo numero (il 2/2019) di "Limes - Rivista italiana di geopolitica" è dedicato alla definizione di "una strategia per l'Italia". Sebbene molte delle tesi in esso espresse siano a mio giudizio non condivisibili o solo parzialmente condivisibili, quello che impressiona, nella lettura di questo volume, è la notevole profondità delle tesi in esso espresse, che non sono frutto di studi compiuti all'"Università della vita", o a quella "della strada", o facendo gli steward da stadio, o ubbidendo alla logica perversa ed eterotelica dell'"uno vale uno", ma di solida e comprovata professionalità.
       Si tratta semmai di tesi ispirate a un freddo realismo politico, dove discipline come storia, geografia e strategia hanno ancora un senso, e dove si guarda all'interesse nazionale in termini certamente discutibili, ma fondati su alcuni dati permanenti del medesimo, in una logica di professionismo e non amatoriale, facendo anche - e duramente - strame dei ridicoli internazionalismi  (di marca comunista) ed ecumenismi (di marca catto-cristiana) che hanno sempre condizionato in modo pesantemente negativo la politica estera italiana.
      Si riconosce, con grande lucidità, che questa povera "espressione geografica" è ormai a fine corsa e si suggeriscono alcune ricette per prevenire il disastro alle porte. Come ho già accennato, sono ricette discutibili, ma almeno incitano la classe politica nazionale (i cui livelli, in politica estera, sono da scuola materna, e forse meno...) a fare una "politica di movimento" in mezzo a suggestioni varie, poiché da una strategia dialettica e dinamica l'Italia potrebbe ricavare molto di più, in termini di interesse nazionale, che da una statica. Ma si constata altresì - e dolorosamente - che manca del tutto, nell'abominevole (per ignoranza ostentata) panorama politico nazionale, una cultura internazionale, con tutti i disastri del caso. L'unico elemento che pare ben noto e radicato è quello di ripetere ad infinito le Caporetto e gli 8 settembre. Per questi, ci sono già tutte le premesse e - siccome pare che ci siamo fortemente affezionati, visto che il passato non pare riuscire a insegnarci alcunché - possiamo attenderle con calma. In ogni caso, le vacanze estive per ora ci saranno, e il Festival di Sanremo pure...

                          Piero Visani



lunedì 4 marzo 2019

La patente

       Trotterellando qua e là, in genere in mezzo a "beati possidentes", per cercare di chiudere in maniera non troppo disastrosa la mia permanenza su questa Terra, non è raro che io incappi in sguardi di compatimento o in sorrisetti melliflui, quelli in genere riservati a quanti sono professionalmente falliti. Intendiamoci, non sono fallito in termini tecnici; più semplicemente, ho dovuto chiudere una parte cospicua delle mie attività perché non riuscivo più a mandarle avanti. Non vado in giro a pietire qualcosa con il cappello in mano, mi limito a vedere se ci sono opportunità, come ho sempre fatto in vita mia. Non ho alcun tipo di speranze. Come sempre, mi attengo al nobile detto di Guglielmo d'Orange: "Non occorre sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare". Tuttavia, so bene che, per ragioni anagrafiche, dovrei celebrare i miei successi e invece mi trovo a dover prendere atto dei miei insuccessi. 
       Capita quindi, essendo io relativamente perspicace, di beccarmi spesso e volentieri lo sguardo che si riserva ai "falliti", ma è una vita che me ne sono fatto una ragione e credo che continuerò brillantemente a farmela. E' evidente che i dispensatori di tali sguardi non hanno una grande opinione di me, ma - dal momento che non vengo a pietire nulla - qualcuno potrebbe anche azzardarsi a chiedermi quale opinione abbia io di loro. Da persona educata, ovviamente, non la esterno...
       Da "fallito", nel mentre mi sorbisco questi amichevoli sguardi, mi viene in mente che cosa ho letto stamane sulla prima pagina del quotidiano torinese "La Stampa": i bambini che vivono in povertà assoluta sono saliti, nel "Bel Paese", a un milione e ottocentomila. Vite spezzate, stroncate alla nascita, costrette a trascinare, giorno dopo giorno, una condanna inappellabile, perché - essendo del tutto scomparsa la mobilità sociale - nascendo poverissimi tali rimarranno per il resto della loro miserabile esistenza.
       Come borghese decaduto alla condizione di lumpenproletario, suppongo che la vulgata dominante voglia che io mi senta fortunato e comunque "meno sfortunato" di costoro, tanto più che essi sono giovanissimi, mentre io decisamente no. E allora sorrido, perché ho avuto la "fortuna" di vivere "nel migliore dei mondi possibili" e di riuscire pure a "fallirvi". E' la mia incapacità che mi ha rovinato, la mia incapacità di passare gran parte del mio tempo a leccare terga e a cantare le lodi della democrazia. Mica come quei bambini, che della società capitalistica affluente conosceranno solo la povertà più nera.
       Ci penso un po' su e poi sorrido: voglio la patente, la patente di "fallito", un'autentica, certificata, formale sanzione della mia diversità. Io, un "diverso" che - a differenza di molti altri - alle classi dominanti fa ancora schifo. L'unica medaglia che mi sia davvero guadagnata sul campo.

                                        Piero Visani