Terrorizzato come sono dal rimanere inghiottito dalla filosofia (si fa per dire...) dell'"uno vale uno" e di restare più ignorante di quanto già non sia, passo ormai ogni momento possibile a leggere, nell'intento di apprendere, ben conscio del fatto che in questo Paese non esiste esercizio più inutile. E io adoro le cose inutili, altrimenti avrei fatto l'economista, o il ragioniere.
Sulle auree pagine del celebre storico transalpino Adolphe Thiers (Storia della Rivoluzione francese, trad. it., Dall'Oglio, Milano 1963, VIII, p. 333 sg.) mi è capitato quindi, stamane, di leggere questo splendido passo a commento della vittoriosa campagna napoleonica d'Italia del 1796-97:
"Quando la guerra è un fatto puramente meccanico consistente nell'investire e uccidere il nemico che si ha di fronte, essa è poco degna della storia; ma quando si presenta uno dei grandi scontri in cui si vede una massa d'uomini mossa da un solo e vasto pensiero, che si sviluppa tra il fragore dell'uragano con la stessa nitidezza di quello di un Newton o di un Cartesio nel silenzio del loro studio, allora lo spettacolo è degno tanto del filosofo quanto dell'uomo politico e del militare: e se questa identificazione della moltitudine con un solo individuo, che porta l'energia al più alto livello, serve a difendere una nobile causa - quella della libertà - allora la scena acquista un valore morale che ne eguaglia la grandiosità".
Sono cresciuto nutrendomi di questi valori. Li ho visti sbeffeggiati e fatti a pezzi. Ho visto l'affermazione del mondo delle iene, quelle che dicono di non avere nemici ma solo clienti (il che non impedisce loro di farli a pezzi, attaccandoli subdolamente alle spalle). Poi ho capito che continuare a coltivarli e a nutrirli mi avrebbe sottratto al conformismo, mi avrebbe distolto dall'iterazione passiva delle banalità alla moda e così - siccome fin da adolescente adoro "épater les bourgeois" - quando, come stamane, mi è capitato sotto gli occhi questo splendido passo sulla moralità di certe forme di guerra, mi sono detto: perché non riprodurlo? Te ne importa qualcosa della damnatio memoriae o dell'impossibilità di entrare nei quartieri già saldamente popolati del "politicamente corretto"? Ovviamente no, e allora via con un piccolo testo di rivendicazione di impronta futuristica. Finirò ancora di più all'indice? Può darsi, ma ho già scritto altrove come intendo rispondere...
Piero Visani
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