sabato 31 marzo 2018

Il ruggito del topo - 2

       Dopo la proditoria aggressione dei nostri "cugini latrini" alla toilette di Bardonecchia (ogni Paese ha i suoi "punti caldi" da difendere...), dopo le gratuite violenze cui essi si sono lasciati andare contro un bidet trovato all'interno della toilette medesima (com'è noto, i francesi - e non solo loro - ne sono duramente insofferenti), il ministero degli Esteri italiano ha convocato l'ambasciatore francese per chiedere chiarimenti. In assenza del titolare del dicastero, l'on Angelino Alfano, non sarà necessario esprimersi a gesti con il diplomatico, ma è già stata chiesta la solidarietà di tutti i Paesi "alleati" (inevitabilmente tra virgolette, in genere noi abbiamo solo padroni...) affinché affianchino l'Italia nel condannare una così volgare aggressione ed espellano almeno due diplomatici francesi ciascuno, esattamente come abbiamo fatto noi con i diplomatici russi, rei di non averci mai fatto niente, ma solidali con i nostri "alleati/padroni".
       Non si ha notizia di interventi, nell'amena cittadina montana piemontese, di esponenti delle forze dell'ordine (?) italiane, ma che il nostro fosse un Paese a sovranità molto limitata lo sapevamo già: da Ustica al Cermis, da Calipari a Viale Jenner, qui tutti i nostri "alleati/padroni" fanno ciò che vogliono, anche perché riesce loro sempre più difficile considerarci qualcosa di diverso da una mera espressione geografica. Ma ora fletteremo i muscoli e Macron morirà (dal ridere...).
       Siamo sempre all'8 settembre 1943 e la "tenuta delle istituzioni democratiche" finisce - proprio come allora - in un "fuggi fuggi" generale. Come direbbe il Manzoni, "il coraggio, uno, se non ce l'ha, mica se lo può dare"...

                    Piero Visani



La Rivolta di Pasqua - Dublino (24 aprile 1916)

       Subito dopo aver occupato il General Post Office, gli indipendentisti irlandesi cominciarono a cercare di fortificarlo, utilizzando tutti i materiali disponibili (dal mobilio ai sacchi postali). Non appena le notizie dell'insurrezione cominciarono a raggiungere il comando inglese, un distaccamento di un reggimento di formazione composto - tra gli altri - da elementi di celebri reparti di cavalleria come il 5° e il 12° Lancieri, venne inviato dalle Marlborough Barracks, site nei pressi del Phoenix Park, in direzione di Sackville Street.
       Carente di informazioni sulla situazione tattica, il colonnello Hammond, comandante del reggimento di formazione, fece fermare il suo reparto nei pressi del Parnell Memorial, all'estremità settentrionale di Sackville Street e mandò in avanscoperta una pattuglia di lancieri, per avere un quadro chiaro di quanto stava accadendo. Non appena arrivata all'altezza di quella che era allora la Colonna di Nelson, la pattuglia esplorante di lancieri venne individuata dai rivoltosi che si stavano barricando all'interno del General Post Office. La tentazione di colpirla si fece subito fortissima e molti uomini si riversarono verso le finestre dell'ufficio, imbracciando i fucili. James Connolly e Michael Collins si attivarono prontamente per fare sì che venisse organizzato un agguato in piena regola, ma la loro capacità di comando non si rivelò in grado di gestire oculatamente l'entusiasmo dei rivoltosi, i quali aprirono il fuoco contro i lancieri molto prima di quando sarebbe stato opportuno, per cui gli inglesi ebbero solo tre morti e un cavallo abbattuto, benché fatti oggetto di fuoco di fucileria proveniente dalle due parti della via.
       Fu il primo sangue sparso nel corso della Rivolta di Pasqua e la comprensibile, eccitata reazione dei ribelli servì a rendere edotto il comando britannico che il General Post Office e Sackville Street erano saldamente in mano dei rivoltosi, per cui era necessario far affluire a Dublino truppe di rinforzo prima di organizzare una reazione massiccia. Tuttavia - come già in altre circostanze analoghe - la decisione di affrontare il nemico con una forma di guerra regolare, per di più statica e non basata sulla mobilità tattica, fece sì che gli insorti indipendentisti offrissero ai britannici il tipo di conflitto nel quale era davvero impossibile riuscire a battere delle truppe regolari. Con una scelta del genere, l'esito dell'insurrezione era segnato fin dall'inizio.

                            Piero Visani




                                    

venerdì 30 marzo 2018

Blog "Sympathy for the Devil": i 10 post più visti

       Nato a metà dicembre del 2012, questo mio blog sta per arrivare oggi alle 180.000 visualizzazioni e mi sembra giusto, dopo parecchio tempo che non lo facevo, pubblicare una classifica dei dieci post più visti, quelli che maggiormente hanno attratto l'attenzione del pubblico. Può essere un modo per stimolare i lettori a non soffermarsi soltanto sui post più recenti, ma - se lo desiderano - risalire più indietro nel tempo, a visualizzare qualche post che potrebbe essere loro sfuggito.
       Ecco comunque la classifica:

1. Russia (19/03/2018), 1.803 visualizzazioni
2. "Preparatevi alla guerra!" (02/07/2016), 1.365 visualizzazioni
3. Salvatore Santangelo, "Gerussia" - Recensione (17/12/2016), 1.015 visualizzazioni
4. Carlo Fecia di Cossato (25/08/2015), 1.013 visualizzazioni
5. Non sarà il canto delle sirene (06/08/2014), 1.012 visualizzazioni
6. Cecità... selettive (15/01/2018), 973 visualizzazioni
7. Massacri (10/07/2017), 762 visualizzazioni
8. Dietro i fatti di Charlottesville (13/08/2017), 655 visualizzazioni
9. Se questo è un uomo (21/10/2017), 611 visualizzazioni
10. It's just like starting over (11/12/2012), 590 visualizzazioni.

       Le visualizzazioni fino ad oggi sono oltre 177.300 e i post oltre 3.640, il che dà una media di circa 49 visualizzazioni a post, in netto incremento nel corso dell'ultimo anno.

                      Piero Visani




Sta arrivando...




https://www.libreriauniversitaria.it/storia-guerra-antichita-visani-piero/libro/9788894807257



giovedì 29 marzo 2018

Stabilizzazione e destabilizzazione

       La dottrina bellica classica individua nel terrorismo una forma di conflittualità avente evidenti finalità di destabilizzazione e riservata a soggetti (autonomi o eterodiretti) i cui proponimenti militari e soprattutto politici sono intesi ad alterare situazioni stabili, in cui la sproporzione di forze tra i contendenti non è tale da consentire un benché minimo scontro militare diretto alla parte più debole.
      La storia del mondo occidentale degli ultimi decenni (e ben prima dell'11 settembre 2001, basti pensare - per non fare che un esempio - ai Troubles in Irlanda del Nord) ci mostra invece che del terrorismo si possono fare molti altri usi, il più importante dei quali si pone finalità di stabilizzazione e ricorre all'arma terroristica per spaventare le opinioni pubbliche e indurle a stringersi intorno ai propri governanti. La molto oscura storia del terrorismo islamico nel nuovo millennio dovrebbe aver fatto sorgere - quanto meno in coloro che trovano un po' semplicistiche le reazioni meramente pavloviane... - qualche dubbio in merito alla reale natura del terrorismo e al fatto che, mentre una buona parte di esso può sicuramente essere autonoma, ce ne può essere pure un'altra parte abbondantemente eterodiretta e intesa a stabilizzare situazioni che in verità potrebbero risultare a rischio di destabilizzazione.
       Fatta questa premessa, occorre porsi due fondamentali quesiti. Il primo è come mai l'Italia sia fino ad oggi rimasta immune da attentati terroristici di matrice islamica, in particolar modo in considerazione del fatto che essa ospita la sede della Cristianità. Non esiste una risposta probante e definitiva, ma, a parte la considerazione che - in termini di riscatti pagati per rapimenti terroristici - il nostro Paese può essere considerato uno dei maggiori finanziatori del medesimo, da anni si sprecano illazioni in merito all'esistenza di intese sotterranee, analoghe a quelle che i governi di centro-sinistra stipularono a suo tempo con le organizzazioni indipendentistiche palestinesi.
       Questo però - e siamo così al secondo e più decisivo quesito - era il quadro che esisteva fino a ieri, cioè fino a quando in Italia il sistema politico, benché fragile, era decisamente più stabile di quello attuale. Tuttavia, dopo l'esito delle elezioni del 4 marzo, tutto è cambiato e occorre chiedersi - in politica occorre sempre essere molto maliziosi - se per caso un evento terroristico non potrebbe avere effetti di stabilizzazione di un contesto politico al momento parecchio destabilizzato. Un evento del genere, infatti, potrebbe legittimare la richiesta di un governo di unità nazionale in funzione antiterroristica e, al tempo stesso, potrebbe legittimare un blocco completo dell'evoluzione del quadro politico, rendendo assolutamente credibile (e creduta...) un'"unione sacra" contro una minaccia esterna.
       Se il vincitore delle elezioni del 4 marzo fosse stata soltanto la Lega, non avrei avuto dubbi sulla gravità del rischio terroristico. La contemporanea vittoria del Movimento 5 Stelle mi lascia invece qualche dubbio in più, dal momento che questo movimento ha padri e padrini che potrebbero avere interessi di stabilizzazione superiori - e di molto - a quelli di destabilizzazione e preferirebbero quindi imboccare strade diverse, più complesse e articolate.
       In ogni caso, sia che si creda al terrorismo come minaccia autonoma sia che lo si veda maggiormente come minaccia eterodiretta e avente finalità potenziali decisamente più complesse di quelle comprensibili a prima vista da parte di un pubbblico disattento, distratto, credulone e parecchio incompetente, mi piace sottolineare è che la situazione politica italiana attuale è più esposta a rischi e minacce potenziali di quanto lo fosse fino a meno di un mese fa. Un bel attentato, anche piccolo (facciamo in ogni caso i debiti scongiuri), potrebbe aiutare "i mercati", le forze della conservazione e i fautori dell'Eurolager a guadagnare tempo e a mantenere la situazione europea ancora bloccata, per quanto possibile. Non si tratta di attribuire responsabilità, ma semplicemente di delineare scenari potenziali. Questo è uno di quelli possibili, con parecchie varianti.

                          Piero Visani



mercoledì 28 marzo 2018

PRM - Pillole di Resistenza di Massa

       Complice un black out elettrico improvviso, nella mattinata di ieri - esaurite le batterie dei computer - mi sono dovuto forzatamente dedicare ad altre attività, nel caso di specie a quella da me più amata: la lettura. Ho potuto così portare rapidamente a termine la disamina del numero 80 di "Aspenia", la rivista dell'Aspen Institute, dedicato a "Potere digitale e democrazia".
       Mi documento sempre al massimo su chi non la pensa come me, in quanto la "conoscenza del nemico" è fondamentale, molto di più e molto prima di quella dell'amico. Sono così riuscito a completare d'un fiato le 227 pagine di questo numero e ho letto una lunga serie di saggi di estremo interesse, che mi hanno confermato in alcune valutazioni che già avevo fatto mie e che sintetizzo qui di seguito:
  • la diffusione della Rete (o meglio ancora delle reti) è percepita dai fautori (consapevoli o meno che siano) della democrazia totalitaria come una minaccia molto seria al loro potere, al punto da indurli a ipotizzare (per il momento ancora tra le righe...) la possibilità che, in futuro, la logica de "un uomo, un voto" possa subire dei "correttivi" in grado di non mettere a repentaglio gli assetti politici e metapolitici esistenti.
  • Ex inverso, al di là delle geremiadi sul commercio dei dati individuali e collettivi (che sono per gran parte una forma di disinformazione, di deliberato tentativo di gettare fumo negli occhi delle "anime belle"), quello che dà fastidio oggi ai "padroni del vapore" è che la rete contenga forme di resistenza passiva e anche attiva che essi non avevano previsto. Esiste infatti la possibilità, per i singoli, di diffondere pubblicamente Pillole concettuali di Resistenza di Massa, le quali, moltiplicandosi e diffondendosi, consentono di costituire forme di contropotere che possono rappresentare la classica pietruzza inserita in un ingranaggio ben oliato, capace però - per il suo semplice esistere - di bloccarlo.
  • Si è creato in tal modo un nuovo terreno di scontro, un nuovo ambito di guerra dove anche l'esistenza della più terribile delle asimmetrie tra chi ha potere e chi non ne ha può essere in qualche modo colmata, perché si possono far circolare molte più informazioni e valori, e perché i singoli hanno la possibilità di associarsi tra loro, dando vita a nuove forme di democrazia diretta, non mediate da alcuna ingerenza di rappresentanza.
       Siamo dunque di fronte a situazioni nuove, ma di cui è già possibile intuire la straordinaria valenza, nel senso che possono nascere e si possono far nascere metapolitiche nuove, scaturenti dal basso, autodirette e - a partire da un certo livello - anche sapientemente eterodirette o comunque alla ricerca di incroci, interfaccia e alleanze un tempo assolutamente impensabili, prima ancora che impossibili, e che travalicano i limiti abituali delle intese metapolitiche.
       Siamo perciò in presenza di una nuova forma di guerra culturale, di strategia mediatica e questo mi ha indotto a riprendere in mano il mio libro "Lo stratega mediatico" (Roma 1998) ed a constatare che dovrei assolutamente dedicarmi a scrivere qualcosa di nuovo in materia, perché troppe novità si sono manifestate con forza nel corso degli ultimi venti anni.
       Quello che intendo sottolineare, tuttavia, è che le guerre del futuro saranno essenzialmente mediatiche, informative, metapolitiche, tecnologiche, cibernetiche, e che sarà sempre più importante il vecchio ma sempre valido assioma clausewitziano, quello per cui le guerre si vincono solo ANNIENTANDO LA VOLONTA' DEL NEMICO. Su questo si sta concentrando la mia riflessione, anche se, almeno in Italia, sono la classica "vox clamantis in deserto".

                              Piero Visani






lunedì 26 marzo 2018

Il ruggito del topo

       Quando si tratta di fare gli ascari, gli italiani sono difficilmente battibili, al punto che - per puro ossequio da servo - un governo dimissionario come quello Gentiloni sente la necessità di espellere due diplomatici russi semplicemente perché questo gli è stato chiesto dagli USA, dalla NATO e dall'UE.
       Lo scenario politico nazionale ha subito di recente un certo mutamento - e non sgradevoli sono state le proteste espresse contro questa decisione assurda da Salvini e dalla Meloni - ma il mondo occidentale ha oggi bisogno di un nemico esterno, onde cercare di legittimare in qualche modo le sue assurde iniquità e inefficienze interne. E chi meglio della Russia di Putin, come ai "bei tempi" della "Guerra Fredda"?
       Ovviamente l'"ascarismo" del governo Gentiloni non fa notizia, visto che si tratta di un esecutivo "calabrache" per eccellenza, a partire dalla svendita (reale o presunta?) di acque territoriali nazionali o delle figuracce rimediate con la Turchia. Un po' di più ne fa il silenzio del Movimento 5 Stelle, che però, quando i ruggiti arrivano da Washington e da Londra, deve sempre badare a non "misconoscere i padri", altrimenti sarebbero guai. Dopo tutto, dopo le "primavere arabe", questa non è forse un'autunnale "primavera italiana"...?

                 Piero Visani



                                  
       






venerdì 23 marzo 2018

ICT for Dummies

       Sto aspettando con ansia che venga pubblicato un instant book su un tema di grande attualità, quello delle "Tecnologie dell'informazione e della comunicazione per idioti". In esso, di cui prevedo cospicue vendite, si spiegheranno alcuni arcana imperii di straordinaria segretezza come quelli che  seguono:
  • i dati raccolti da ogni tipo di fonte informativa, dai social ad altro, vengono venduti a terzi e spesso ceduti ai governi sulla base di accordi intercorsi prima della nascita stessa di tale fonte informativa.
  • Un numero sempre maggiore di dispositivi elettronici contiene congegni di localizzazione eterodirigibili ed effettivamente eterodiretti (sempre più spesso non "a richiesta", ma "in automatico"), anche questi non divenuti tali, ma nati proprio così, ergo con parecchie "benedizioni dall'alto". Fare finta di non saperlo può rappresentare una notevole ingenuità per i singoli cittadini, ma è una forma di colossale malafede da parte delle compagnie e dei governi, che hanno fatto nascere il tutto, fin dalle origini, con evidenti intenti di controllo delle "vite degli altri" (cioè nostre...).
  • Come qualcuno ricorderà, c'è stato il fondato sospetto (su cui è caduta una cortina di silenzio) che non pochi televisori di ultima generazione (e anche computer, a onor del vero) non fossero solo fruibili nella tradizionale direzione "spettatore-schermo", ma anche in quella inversa... Interessante, no?
       Fatte queste piccole ma indispensabili premesse, dilatabili a dismisura, credo che sia agevole la conclusione per cui l'attuale totalitarismo democratico, sempre meno diverso da quelli che l'hanno storicamente preceduto, non differisce da questi ultimi per qualcosa di sostanziale, ma semplicemente perché è molto più ipocrita. I sistemi totalitari che l'hanno preceduto, infatti, non negavano la loro intima natura totalitaria. Il totalitarismo democratico, per contro, lo fa e - se colto con le mani nel sacco - finge di cadere dalle nuvole o ne dà la colpa ai Zuckerberg di turno, i quali peraltro sanno bene di doversela addossare, perché del totalitarismo democratico hanno approfittato a man bassa e sono consapevoli del fatto che, in determinate circostanze, gli accorti fornitori del sistema devono accettare per un po' il ruolo di utili idioti e di capri espiatori del medesimo.
       Un colossale gioco delle parti, in cui il più idiota di tutti è il cittadino che, dopo aver fornito al Leviatano TUTTI i suoi dati, si stupisce che siano stati utilizzati contro di lui. Forse pensava che potessero essere utilizzati a suo favore, la splendida "anima bella"...?

P.s.: urge approfondito ripasso sulla reale natura delle democrazie.

                                       Piero Visani



giovedì 22 marzo 2018

E' ora di cambiare metapolitica (avendone una...)

       E' del tutto evidente che le metapolitiche che hanno condizionato la nostra vita per decenni non valgono più. Faccio un esempio concreto: per decenni, quello occidentale è stato dipinto come "il migliore dei mondi possibile" e, in una certa misura, forse lo era pure, visto che in esso miglioravano le condizioni di vita e quelle economiche.
       Su quell'universo di realtà, tuttavia, ad un certo punto si è cominciato a costruire un universo di menzogne e la deriva è stata frutto di un atto di presunzione gravissimo, da parte delle liberaldemocrazie: vale a dire il ritenere che il loro innegabile successo nella "Guerra Fredda" potesse comportare, per dirla à la Francis Fukuyama, anche "la fine della Storia".
       Non è stato così, la Storia ha continuato bellamente ad andare avanti, le democrazie si sono trasformate in sistemi sempre più massicciamente totalitari e hanno incominciato ad esportare nel mondo un modello unico e un sistema unico, "buono per tutte le regioni e tutte le stagioni", con esiti ovviamente catastrofici anche solo a causa del suo manifesto riduzionismo.
       Su questo sfondo, la crisi economica globale, frutto delle follie congenite di un certo tipo di capitalismo finanziario, ha fatto il resto e tutto ciò che era stato magnifico per decenni (o dipinto come tale...), vale a dire la situazione economica nei "Paesi avanzati", è diventato il punto di partenza di una crisi e di un disastro crescenti, dal quale è emerso - quanto meno per ciò che concerne la Vecchia Europa - che il nostro futuro sarebbe stato molto più oscuro del presente, per non parlare del passato.
       Qui ha preso corpo una narrazione di tipo metapolitico che ha cercato di convincere gli europei che essi stavano ancora vivendo nel "migliore dei mondi possibili", mentre la semplice quotidianità delle loro esistenze stava dimostrando ai diretti interessati che non era assolutamente così, anzi...
       Ne è conseguito che una metapolitica che era stata un "falso credibile" per decenni ha cominciato a fare acqua da tutte le parti, fino a diventare - come sta cominciando a diventare - una sorta di eterogenesi dei fini, nel senso che farvi riferimento può diventare più nocivo che tacerne. Un esempio classico in questo senso è lo stridente contrasto tra la stucchevole retorica sugli infiniti benefici che deriverebbero agli europei da forme indiscriminate di immigrazione e le terribili situazioni che si sono create in molti Paesi del Vecchio Continente, dove non c'è stata alcuna assimilazione dei nuovi venuti, ma un semplice inserimento dei medesimi per finalità (economiche, finanziarie, sociali, politiche) talmente evidenti da risultare manifeste anche ai soggetti meno acculturati.

       Tutto ciò richiede un radicale mutamento di metapolitica, che dovrebbe essere contemporaneamente attuato a due livelli, quello culturale e quello politico. Non ha più senso alcuno, infatti, che le opinioni pubbliche vengano tormentate con le parole d'ordine di una élite politico-mediatica che non condivide alcunché delle loro vite, ma che trascorre la propria esistenza in luoghi protetti, con lavori protetti, supportata da privilegi vari. Costoro non hanno alcuna difficoltà a parlare di EGUAGLIANZA, semplicemente perché sanno bene che non li riguarderà mai.
       Allora è proprio questa la domanda da porsi: ma che senso ha che noi si rispetti le parole d'ordine di un Herrenvolk, di un "popolo di Signori" che non ha altro obiettivo che dominare e controllare le nostre vite e farlo con una minima quantità di violenza ma una massima quantità di persuasione occulta e soprattutto esplicita, oltre che con un "politicamente corretto" che cerca di rendere marginali tutti coloro che ad esso non si adeguano, di trasformarli in una lunatic fringe di soggetti che non sono ancora degni del lager, ma certo meritano come minimo il manicomio...?

       Occorre quindi cambiare metapolitica e farlo subito. Dire che questo sistema FA ORRORE e che ci sta privando di vita e futuro. E smantellare - una dopo l'altra - le false certezze su cui hanno costruito e al tempo distrutto le nostre vite, riducendoci a una banda di senza Patria e di senza denari.
       L'esempio più semplice e chiaro del fatto che, cambiando radicalmente metapolitica, si possono ottenere grandiosi risultati, è il caso della Russia di Putin, la quale - sebbene presentata come il peggiore dei mali possibili dai media occidentali - non è più considerata così da milioni di europei, i quali la ritengono non un modello alternativo, ma una realtà che si oppone, per quanto può, all'universo di macroscopiche menzogne in cui l'occidentalismo ci ha immerso.
       Dunque basta con l'accettare passivamente la metapolitica del "politicamente corretto" e via alla ricerca di una metapolitica nuova. Serviranno mezzi e strumenti che il sottoscritto certo non ha, ma questo è esattamente il momento storico per investire nella creazione di una metapolitica nuova.  Una conseguenza positiva - se mai dovesse esservene una - sarà smettere di vedere rappresentanti di partiti alternativi o "presunto tali" che parlano come esponenti del pensiero unico dominante (cosa che succede pressoché quotidianamente, ahinoi!). Un buon risultato, no? Anche perché - come sanno tutti coloro che si occupano di queste tematiche - far PENSARE la gente in un certo modo è molto più importante che farla solo VOTARE in un certo modo: il pensiero si radica, il voto è volatile...

                               Piero Visani






lunedì 19 marzo 2018

Russia


       Sono stato due volte in Russia, sempre per lavoro e mai in vacanza. Non troppo a lungo, ma in forma sufficiente a non frequentare semplicemente musei e pinacoteche. Ho vissuto in case private, non in alberghi. Ho cenato con famiglie russe, ne ho approfondito modi di vivere, visione del mondo, impressioni.
       Era parecchio tempo fa (1993-96), in una situazione molto più confusa dell'attuale, ma due cose si notavano:
1) lo smarrimento per essere passati da una condizione di superpotenza a quella di sconfitti nella "Guerra fredda";
2) la volontà di tornare grandi, potenti, importanti, non appena ciò fosse stato possibile.
       Si notava altresì l'amore incondizionato per la "Rodina", la "madrepatria", del tutto indipendente e scisso dagli errori, orrori e malefatte del regime sovietico. Qualcosa di tellurico, di ancestrale, di bellissimo per uno straniero proveniente - come me, in fondo - da una semplice "espressione geografica".
       Quando Putin ha iniziato a sventolare il vessillo del nazionalismo e a puntare sulla ricostruzione delle potenza russa, ho capito che una parte significativa del suo popolo gli sarebbe andata dietro.
       Regime certamente illiberale, il suo, ma assolutamente conforme ad una tradizione millenaria che guarda alla sostanza del potere molto più che alla forma.
       Un mondo che mi affascinò, così come - in circostanze del tutto diverse ma con attaccamento tellurico non inferiore - mi affascinò l'universo dei Boeri sudafricani, gente che si sentiva maggiormente africana di Zulu e Xhosa.
       Nel caso russo, l'importanza enorme di Putin consiste nell'essere colui che si oppone, giorno dopo giorno, alle derive del mondialismo, della globalizzazione, del pensiero unico demototalitario, quello per cui al mondo conta solo l'economia e tutto il resto - Patria, tradizioni, interessi nazionali, usi e costumi - debbono essere sacrificati al Moloch del dio denaro e all'internazionalismo spurio della finanza. E il modo con cui Putin reagisce è brillante, colpisce a fondo l'universo di menzogne su cui è costruito il totalitarismo occidentale, che non è IN NULLA E PER NULLA diverso da altre forme di dispotismo, di cui è forse - ma ormai sempre meno - un po' più sofisticato.
       Penso che un Paese, grande o piccolo che sia, se riesce a rimanere o a diventare una Patria, ha ancora un futuro pure nell'orribile mondo odierno. Putin è riuscito a compiere questo miracolo. Non gli chiedo "certificati di democrazia". I voti gli ha presi in misura schiacciante e, dal momento che li prendono anche certe facce patibolari del mondo occidentale, non vedo che cosa ci sia da stupirsi. Nella più probabile delle ipotesi, saranno ottimi manipolatori entrambi. E rubare il mestiere agli "unti e bisunti da Madonna Democrazia" è - già di per sé - un atto degno della massima lode...

                               Piero Visani



venerdì 16 marzo 2018

"Contra Occidentales"

       Vedere quattro rappresentanti di Paesi non propriamente "depositari della virtù" che se la prendono con un quinto che non è certo un virgulto, ma promuove interesse antitetici ai loro, mi fa venire in mente una sola cosa: "Il nemico dei miei nemici è mio amico".
       Non credo alla bontà di alcuno, a prescindere, tanto meno in politica, ma presentarsi come "eticamente superiori" dopo aver seminato morti in giro per il mondo in nome della democrazia, beh, questo è davvero ridicolo. C'è chi uccide con il sarin (ammesso e non concesso che l'abbia fatto) e chi uccide in mille altri modi, raccontando al gregge che il proprio è "il migliore dei mondi possibile". 
         Piccolo particolare da non trascurare: chi ne parla in termini così apologetici, di quel mondo vomitevole, non è una pecora, ma un lupo malamente travestito da agnello...

                    Piero Visani



giovedì 8 marzo 2018

Minima riflessione sull'"immenso" valore del suffragio universale

       Anche su testate serie si legge che in talune aree del Paese, dopo la vittoria del Movimento 5 Stelle, si sarebbe attivata una corsa alla richiesta del reddito di cittadinanza. E' proprio su questo che traballa la concezione democratica, la quale recita: "Un uomo, un voto". Voi vedete uomini, colà...?

                                    Piero Visani



martedì 6 marzo 2018

Gli "uomini della Provvidenza" e quelli della "Previdenza" (sociale)

       In questo sfortunato Paese, gli "uomini della Provvidenza" non passano mai di moda, si chiamino Benito, Silvio o Matteo. Tuttavia, ora che le ambizioni nazionali sono svanite e che il significato di "interesse nazionale" è cosa sconosciuta ai più, sono rimasti solo gli "uomini della Previdenza" (sociale), si chiamino Luigi o Beppe. Ma pare che questo sviluppo sia considerato da molti un formidabile "salto di qualità". De gustibus...

                        Piero Visani





Dalle "primavere arabe" agli "autunno-inverni" italiani

       Nessuna politica può vivere senza una metapolitica, tanto meno nel lungo periodo. Ne è una plastica dimostrazione il Centrodestra italiano, il quale, del tutto privo di metapolitiche che non siano più o meno affini a un pallidissimo internazionalismo occidentalocentrico e ancora più privo di strumenti per costruirle (e della volontà, più ancora che della capacità, di utilizzarli, visto che in teoria esso potrebbe contare sulla "corazzata Mediaset", ma questa fa solo politiche berlusconiane, non metapolitiche di area), viaggia da tempo immemorabile sulle medesime percentuali di consenso elettorale, incapace di allargarle e di proporre politiche di affermazione e non meramente di negazione ("no all'immigrazione", no a questo e no a quello).
       Chi manovra da dietro le quinte i Cinque Stelle ha invece compreso una verità fondamentale: per potersi inserire in profondità in una cultura nazionale, occorre riprenderne il più possibile i fondamenti, per capitalizzarci sopra. Sotto questo profilo, la metapolitica del movimento grillino è esemplare, in quanto essa non rappresenta altro che un'evoluzione del cattocomunismo irenista che scorre come un fiume carsico nella cultura nazionale e che, dopo il 1945, è diventato l'asse portante delle metapolitiche nazionali.
       Sintetizzato in parole semplici, esso potrebbe essere definito come il tentativo di traversare una giungla popolata di belve feroci "armati" solo di un tesserino dell'Inps. Una visione del mondo frutto dell'idea che esso sia un luogo popolato da soggetti "naturalmente buoni" e che dunque ci si possa vivere e - se non proprio prosperare - acconciarsi almeno al conseguimento del mitico obiettivo di una "decrescita felice", vissuta non facendo figli, con un piccolo stipendio pagato dallo Stato e utile a una modestissima sopravvivenza, priva di qualsiasi senso di responsabilità e del tutto immune - il più delle volte semplicemente per ignoranza - di senso della Storia e di senso del tragico. Quell'atteggiamento che, di fronte ad esempio alla minaccia di invasione del proprio Paese da parte di una potenza straniera, mai e poi mai si rifarebbe, come nel caso della Gran Bretagna di Winston Churchill, alla promessa di (solo) "lacrime, sudore e sangue", ma si acconcerebbe rapidamente all'idea di come meglio asservirsi all'invasore.
        Qui si pone il piccolo capolavoro fatto finora da quanti eterodirigono il Movimento 5 Stelle: creare una metapolitica che fosse profondamente italica nel momento in cui occorreva sostituire un sistema politico ormai totalmente delegittimato dalla sua assoluta nequizie, dalla sua totale inefficienza, dalle sue macroscopiche ruberie, e fare in modo - gattopardescamente - "che tutto paia cambiare senza che cambi assolutamente nulla".
       Sotto questo profilo, il M5S è quanto di più pateticamente italico possa esistere ma, al tempo stesso, il suo rifiuto della realtà e la sua scelta di rifugiarsi storicamente in un Nirvana, sono quanto di meglio si attaglia alla visione del mondo degli italiani, che è quella - nella maggioranza degli abitanti della Penisola, non nelle pur eccellentissime individualità che l'hanno popolata e la popolano - di una sorta di perenne "festa mobile", fatta di assistenza pubblica dalla culla alla tomba (il miglior viatico per una deresponsabilizzazione collettiva) e di una perenne vacanza (nel senso etimologico di "assenza" da tutto e da tutti, per poter curare il proprio "particulare").
       Chi ha lavorato per costruire il M5S così com'è ha lavorato bene, lo ha strutturato come un insieme di "arcitaliani", cioè di una realtà che raccoglie e sublima i peggiori difetti del carattere nazionale, occultandoli (neppure troppo bene, per la verità) dietro alcune stantie parole d'ordine come "onestà", che non vogliono dire nulla, se declinate in assoluto e non in relativo.
       L'intento delle forze neppure tanto occulte che eterodirigono il M5S è molto chiaro: in primo luogo, spegnerne alcuna reale volontà di cambiamento e nasconderne le macroscopiche magagne (ben emerse nella gestione impresentabile dei Comuni di Roma e Torino), in modo da orientarne le pur innegabili velleità politiche innovative in una strada senza uscita, che lasci tutto come prima. In secondo luogo, e soprattutto, contribuire al depotenziamento e alla definitiva uscita dell'Europa dalla Storia dando fiato a quanti - al suo interno - sono privi di senso della Storia e di senso del tragico. Questi ultimi sono utilissimi - come interlocutori - per chi conserva invece e privilegia i due sensi in precedenza citati, per consegnarsi in posizione dominante al futuro, lasciando a noi "piacevolezze" come il "reddito di cittadinanza", pagabile solo fino al fallimento totale dei nostri già spaventosi conti pubblici, e quella "fuoriuscita dalla Storia" che è consentita solo a chi ha i miliardi per potersela permettere. Gli altri - i più - la Storia li verrà a cercare, direttamente a casa loro, recitando i primi versi di una celeberrima poesia di Cesare Pavese.

                                                       Piero Visani





lunedì 5 marzo 2018

"The Stars Look Down"

      Personalissime riflessioni post-elettorali:
1) il mio rapporto con il sistema "democratico" è semplicemente quello di terminale di pagamento per consentire ad altri di vivere grassamente alle mie spalle. Non credo che la mia situazione sia mutata o possa mutare dopo il voto di ieri. Anzi, milioni di italiani premono perché io li mantenga ancor più di quanto fatto fino a ieri. E siccome questa era la promessa fatta un po' da tutti i partiti, come sempre in democrazia avevo una vastissima possibilità di scelta: "cinquanta sfumature di asfissia"...

2) George Soros, nell'appoggiare troppo scopertamente la lista di Emma Bonino non ha lavorato granché bene, visti i risultati. In compenso, strutture come OPFOR e CANVAS paiono aver disseminato insegnamenti interessanti. C'è da chiedersi come abbiano fatto, visti i discepoli che avevano e hanno, ma probabilmente qualcuno dietro le quinte è più intelligente dei figuranti della front line. E comunque indirizzare e spegnere una reale volontà di cambiamento, conformandola al carattere nazionale e - proprio solo grazie a questa scelta - trasformandola in volontà di assoluta conservazione non è compito agevole da assolvere e di questo va dato atto a quanti, dopo essersi esercitati (con scarsi risultati, invero) nella gestione delle "primavere arabe", ora sperano di riscattarsi con la gestione dell'"autunno/inverno italico". Una bella sfida, auguri!

       Per i lettori che fanno ancora la fatica di leggere, non mi resta che l'inevitabile rimando alle auree pagine di Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo". 
        E ora scusate, ma torno di fretta al lavoro: il numero dei nullafacenti da mantenere - e di quelli che sui medesimi speculano politicamente - penso aumenterà a dismisura nel futuro immediato. Dunque il mio lavoro e i miei soldi serviranno. Ovviamente non a me, a loro... Ma questa è l'essenza della democrazia totalitaria.

                                         Piero Visani





domenica 4 marzo 2018

La lotta dei "figli di..."


       Leggo che, dal momento che non voto, sarei - per il mio amico Augusto Grandi - un "figlio di...". Legittimo giudizio, e neppure troppo severo: mi hanno detto molto di peggio, in vita mia.
       Tengo solo a precisare alcune cose:
1) non voto perché detesto le finzioni democratiche;
2) non voto perché - nelle circostanze odierne - dovrei turarmi ben altro che il naso, per essere indotto a votare...;
3) non voto perché - per me - un governo italiano vale l'altro: sono stato sempre oggetto di costante persecuzione fiscale, anche durante i "mitici" governi di centrodestra;
4) non voto perché rifiuto da tempo lo Stato, il "gelido mostro" pubblico che rovina la mia vita per ingrassare quella di altri;
5) non voto perché detesto essere un oggetto residuale: se quella cosa schifosa chiamata democrazia mi CONCEDE di votare, io rifiuto il suo falso dono: "Timeo Danaos, et dona ferentes"...;
6) non voto perché non sono un cittadino italiano, ma un semplice suddito, un terminale di pagamento, un bancomat cui la burocrazia italiana (l'unico vero potere di questo "Stato", insieme alla criminalità organizzata) attinge quando ha bisogno (e ne ha bisogno spesso);
7) non voto perché "diserto dalla lotta". Ebbene sì, sono un disertore, ma "diserto in avanti","à la Marinetti". Se possibile, "à la Robespierre" o - meglio - "à la Louis-Antoine de Saint-Just". Loro sì sostenitori di soluzioni che avevano un senso;
8) non voto perché faccio schifo. E' vero - lo ammetto - MA MAI QUANTO QUELLI PER CUI DOVREI VOTARE;
9) non voto perché sono apolide. In una lunga vita di viaggi e di lavori all'estero, il complimento migliore che più volte mi è stato fatto è sempre stato: "Lei non sembra italiano". Ho sempre provato a non esserlo, in effetti.

                            Piero Visani

sabato 3 marzo 2018

L'insostenibile pesantezza dell'essere... italiani

       Autostrade bloccate dalla pioggia ghiacciata.
       Ferrovie bloccate da neve e gelo.
       Prevenzione zero: come era possibile prevedere che d'inverno nevichi e d'estate faccia caldo? E dire che "non esistono più le mezze stagioni"...
       Cittadini (sudditi) inferociti, di quelli che a suo tempo levarono alti lai nel caso di un'allerta terremoto rivelatasi infondata, perché li aveva scossi nelle loro certezze ("ma che vuoi che succeda? Un terremoto proprio qui? Ma dai...").
       Mentre guarda il gregge infuriato, il lupo solitario e disgustato - provvisto di qualche modesta conoscenza storica - rivede le Custoza, le Lissa, le Adua, le Caporetto e capisce che, se anche il calendario segna 2 febbraio 2018, esso in realtà è fermo da tempo alla data più epocale di tutte, quella della "morte della Patria" e dello squagliamento collettivo: l'8 settembre 1943. Ciò che è venuto dopo è una mera finzione con intenti mitici, ma questa repubblica (scritto rigorosamente minuscolo) è - al più - una semplice "espressione geografica" (come da splendida valutazione di Clemens von Metternich). E ora tutti al voto per rivitalizzarla, per generare una salvifica "svolta". Cambiare il carattere nazionale, per cercare di renderlo "più migliore", quello mai! Costerebbe troppa fatica.

                       Piero Visani



venerdì 2 marzo 2018

Spunti da letture

       Sono un lettore onnivoro. Chiedo scusa. Leggendo, qualche cosa si apprende (scrivere "imparare" sarebbe troppo) e oggi, nel mondo dei "laureati su Internet", leggere qualcosa di serio è ai confini del "crimine contro l'umanità"...
       Stamane mi è capitato sotto gli occhi un articolo scientifico di J. Foot, The Tale of S. Vittore: Prisons, Politics, Crime and Fascism in Milan, 1943-1946, in "Modern Italy", III, 1998, 1, p. 27, dove viene data una definizione che mi pare si attagli perfettamente non solo al periodo storico preso in considerazione dall'Autore, ma anche all'Italia di questi anni: quella dell'"anarchia nella dittatura", vale a dire una situazione segnata dalla mancanza pressoché totale di legalità, sicurezza e disciplina, accompagnata però dalla pretesa, da parte delle autorità costituite, di essere in grado di garantire il pieno controllo sulle istituzioni. 
       La conclusione che personalmente ne ho tratto è che, una volta di più, funzione e finzione in Italia si identificano e si sovrappongono alla perfezione. E noi - per purissima ignavia - trattiamo la finzione come se fosse funzione. Un errore che si sta rivelando mortale.

                      Piero Visani