domenica 31 marzo 2013

La rivolta di Pasqua (Dublino 1916)

       Il 24 aprile 1916, lunedì di Pasqua, i volontari dell'IRA (Irish Republican Army) diedero avvio, a Dublino, a una rivolta che avrebbe dovuto auspicabilmente condurre alla libertà dell'Irlanda. Guidati da un pugno di patrioti, essi lanciarono il loro guanto di sfida all'impero britannico, nella speranza di conquistare, per la loro patria, quell'indipendenza sempre negatale da Londra.
       Male organizzata e peggio condotta, la rivolta venne soffocata nel sangue dalle truppe inglesi nel giro di pochi giorni, ma si rivelò fondamentale nell'accelerare il processo di formazione di una coscienza nazionale irlandese e nell'accelerare altresì la formazione di un'Irlanda libera, che avvenne pochi anni dopo, tra il 1921 e il 1922.
       A cavallo tra il giorno di Pasqua e di Pasquetta di questo 2013, mi è gradito ricordare i patrioti nazionalisti che ebbero il coraggio di compiere un atto di rivolta, al tempo stesso ideale e concreta, contro lo strapotere britannico, di fatto immolandosi come martiri (15 di loro vennero fucilati, altri caddero durante l'insurrezione) per testimoniare il diritto degli irlandesi a una Patria, quello stesso diritto che, riconosciuto solennemente per molti altri popoli dal trattato di Versailles, che pose fine alla Prima Guerra Mondiale, risulta tuttora parzialmente negato all'Irlanda, in nome degli interessi di Londra.
      L'Easter Rising del 1916 racchiude in sé le migliori qualità dell'anima irlandese, a cominciare dalla capacità di sacrificare se stessi in nome di un ideale, in una logica di gratuità assoluta che è così tristemente assente dai nostri tempi bassi e volgari, dove il minimo gesto deve essere compiuto solo per interesse.
      E deve altresì essere ricordato, con estrema forza, che il principio di autonomia e indipendenza nazionali, giustamente riconosciuto ai più sperduti Paesi del Terzo e del Quarto Mondo, resta a tutt'oggi negato agli irlandesi. Come sempre - ciò che fa comodo alle democrazie liberali mondialiste e prevaricatrici -  i fondamentali diritti politici e civili sono concessi là dove servono a fare immagine e ad aprire nuovi mercati, mentre restano tuttora negati dove non fa comodo concederli.
      La lotta per un'Irlanda unita, tuttavia, resta aperta, sempiterna e sacrosanta, perché i diritti sono tali quando vengono riconosciuti a tutti. Quando non lo sono, quali che ne siano le ragioni, si è in presenza di mere e ingiustificabili discriminazioni.

                 Piero Visani 




Amici mai!

      Non credo all'amicizia tra un uomo e una donna. Preciso: ci credo eccome, se è un'amicizia di carattere professionale, legata ad attività comuni, a convergenze determinate dalla casualità, dal lavoro, dagli interessi personali, etc.
       Tuttavia, quella dell'amicizia, quando il legame si fa personale, è, nella migliore delle ipotesi, la soluzione cui le donne fanno ricorso per non dirti direttamente di no, forse pensando - molto erroneamente - di farti meno male o di indurti a rassegnarti od a tenerti a distanza di sicurezza, se servi loro, almeno fino a quando potrai essere considerato utile.
       Per mia fortuna, mi è capitato raramente, in vita mia, di trovare donne che mi volessero solo come amico. Quando mi è capitato, è finita sempre molto male, perché o la rottura è subentrata subito oppure dopo un po'. Nell'unico caso - abbastanza recente - in cui ho voluto sperimentare ugualmente quella possibilità per dare prova del mio personale attaccamento alla persona che me la offriva, è finita anche peggio, perché naturalmente la soluzione di escamotage del dirti "siamo e restiamo amici" è emersa relativamente in breve, nel senso che quella che mi era stata venduta come una special friendship si è rivelata null'altro che una scusa per invitarmi a levarmi di torno quando ho iniziato a venirle a noia.
      Non a caso, non ci siamo mai più parlati. Se fosse stato vero che potevo interessarle come amico, il dialogo in qualche modo sarebbe continuato, o ripreso. La verità, però, era un'altra: non le interessavo né come uomo né come amico, semmai semplicemente come strumento di lavoro e, appena ne ha avuto occasione, mi ha congedato in malo modo, sbagliando anche radicalmente i tempi e le forme. Se penso che mi era stato detto che dovevamo rimanere solo amici per evitare che, se fossimo diventati altro, la nostra relazione potesse finire rapidamente e in un disastro, posso osservare con divertito distacco che è esattamente quello cui siamo pervenuti anche rimanendo solo amici, nel senso che pure la nostra amicizia è finita in un totale disastro. A dimostrazione che, dato per scontato che non era un amore, non era nemmeno un'amicizia (altrimente sarebbe continuata, magari dopo qualche spiegazione reciproca), ma solo un giochetto utilitaristico. L'odio infatti si riserva solo agli ex-amori, e non è il mio caso, o a quelli che pensavi ti potessero servire, e sul più bello ti hanno rotto il giocattolo, dimostrandosi inutili o addirittura dannosi. Con gli amici, di solito, ci sono meno perfidia, più dialogo, più tolleranza e magnanimità. Ma io non sono mai stato un amico, solo un "utile idiota", diventato a un certo punto, nella mia prospettiva, meno "idiota" e, nella sua, del tutto non "utile"  (o - e questo è stato un errore davvero grosso, con me - "utilmente controllabile").
      Non ho nulla da obiettare, ne ho preso atto. Mi chiedo solo se non fosse stato più corretto, gentile e onesto lasciarmi perdere fin dall'inizio. Visto che non ero e non sono mai stato niente, perché indurmi a pensare che fossi qualcosa? Non ritengo che sia bellissimo prendersi gioco degli altri. Non c'è stile. Si voleva mettere alla prova il proprio potere di seduzione? OK, ha funzionato. Ma sono tornato mai più indietro? Sono una tacca da fusoliera, certo, ma - in termini aeronautici - sono molto più un abbattimento presunto che uno definitivo. E' diverso: i primi non sono ufficialmente riconosciuti e non apportano medaglie.

                                                Piero Visani

Militaria

      Ho una biblioteca molto grande, che penso ormai si aggiri intorno ai 10.000 libri, anche grazie al potente contributo datomi da mio figlio, che pure lui, in quanto a libri, non scherza...
      In casa nostra, i libri spuntano dappertutto. Li ho raccolti nel corso di un'intera vita e ho messo assieme una raccolta di libri di storia militare e strategia che non credo abbia molti eguali. So bene che non potrò mai leggerli tutti, ma li amo ugualmente e ancora ne compro. Un tempo li compravo per desiderio di possesso, ora soprattutto per soddisfare curiosità specifiche.
      Vorrei che, quando non ci sarò più, mio figlio conservasse la mia biblioteca militare assolutamente intera, oppure ne facesse dono a qualche giovane appassionato di cose militari. Compito dei "guerrieri esistenziali" è di alimentare le passioni guerriere dei loro simili ed è per questo che, se mio figlio decidesse di non tenersela, amerei che ne facesse dono a qualche giovane appassionato delle stesse cose che ho amato io.
      Anni fa, ricordo che regalai un bel modello in scala di montaggio di una corazzata tedesca della seconda guerra mondiale (la celeberrima BISMARCK) a un allievo di mia moglie molto appassionato di modellismo militare navale, ma purtroppo per lui di famiglia così povera da non potersi permettere nemmeno l'acquisto di un modellino di plastica per il proprio figlioletto. Tra tutti i regali che ho fatto in vita mia, esclusi ovviamente quelli fatti ai miei familiari e a qualche donna che ha contato qualcosa per me, quel modellino è stato un regalo che mi ha emotivamente colpito, perché so di avere donato un momento di gioia a un povero ragazzino sfortunato, che in vita sua non ne aveva avuta molta, di gioia.
      All'inverso, il più bel regalo che mi è stato fatto in vita mia, sempre a parte quelli personali, è stato quando mio cognato Ferruccio mi ha regalato una bandiera da combattimento confederata, la mitica Stars and Bars (non confondetela con la Stars and Stripes dell'Unione, o vi sparo...), fatta realizzare in tela, apposta per me. Gliene sarò grato per la vita e, da un trentennio, fa bella mostra di sé nel mio studio, ricordando a tutti, ma soprattutto a me stesso, che chi vive nell'onore e nel rispetto di sé e dei propri ideali può perdere le guerre, ma sopravvive per sempre nella memoria e nel mito. E la Confederazione è vivissima. L'ho capito visitando il Museo della Confederazione a Richmond (Virginia) e percorrendo a piedi, in religioso pellegrinaggio, l'tinerario di attacco della Divisione Pickett a Gettysburg (Pennsylvania).
      Era il 3 luglio 1863. L'impresa richiesta dal generale Lee a quegli splendidi soldati era al di là delle possibilità umane, nel momento in cui la potenza di fuoco stava rendendo impossibili gli attacchi frontali in stile napoleonico, ma ci provarono lo stesso, come era richiesto loro dal dovere e dall'onore.
      Insieme a mio figlio, siamo arrivati fino all'High Water Mark, il cippo che ricorda il punto più avanzato raggiunto dai confederati nel loro attacco, là dove cadde, brandendo il suo cappello infilato in punta di spada, il generale Lewis Armistead, che li guidava, e abbiamo deposto la nostra bandierina confederata ai piedi del cippo stesso, in deferente memoria, come fanno tutti gli amanti della Confederazione.




      E' stata una giornata di fantastiche emozioni, di sconvolgimenti dell'animo che non dimenticherò mai. Il nostro futuro sta nel nostro passato. Le ragioni di una lotta sempiterna stanno nelle motivazioni che mossero i nostri padri, su tutti i campi di battaglia del mondo, la dove c'era un conflitto per la libertà da combattere. E quello per la libertà degli Stati, contro l'incostituzionale predominio federale e presidenziale, era la più nobile battaglia in difesa dei diritti di libertà dei cittadini. Se la Confederazione fosse riuscita a portare avanti la sua sacra lotta, la storia del mondo sarebbe stata diversa, non ci sarebbero più stati gli Stati Uniti, almeno come - ahinoi! - abbiamo imparato a conoscerli nel corso del Novecento e fenomeni come la globalizzazione e il totalitarismo democratico non devasterebbero le nostre vite, così come accade oggi.
       La Storia non si fa con i "se" - è vero - ma il tributo a chi tentò di cambiarla è un imperativo interiore, prima che un dovere.

                         Piero Visani 

sabato 30 marzo 2013

Nightmare

     Incubo notturno: sono in un'assemblea societaria e mi premiano per avere dimostrato grande attaccamento ai colori sociali. Sorrisi di circostanza e qualche sorrisetto di degnazione. Ho anteposto gli interessi comuni (?) al mio e ora tutti mi sono grati, tutti mi vogliono bene, tutti lodano la mia ragionevolezza.
       Il respiro si fa affannoso, eppure mi stanno dicendo che sono contenti di me, che magari ogni tanto mi gratificheranno con una cena o un pranzo (che ovviamente pagherò io...); che, se ci sarà bisogno di me, mi contatteranno senz'altro. Che si ricorderanno di me, se e quando servirò a qualcosa. In cambio, mi chiedono solo obbedienza totale e assoluta, e naturalmente silenzio, molto silenzio, per non disturbare il manovratore...
      Mi imperlo di sudore, nonostante la gelida notte di fine marzo. Ma come è possibile che mi sia ridotto così, che sia divenuto uno schiavetto, un povero stupido eterodiretto? Ma come è possibile che abbia buttato via così in malo modo la mia dignità, cui tengo tanto? Che cosa mi è successo?
      Il sudore diventa freddo. Mi scorrono nella mente volti, espressioni, sguardi, risolini, consigli, suggerimenti, inviti alla ragionevolezza, reiterati ALT ed espressioni di amicizia.
      L'angoscia mi stringe la gola: come ho fatto a diventare uno schiavo, un utile idiota, a buttarmi via così? Ma quello sono davvero io? Ma come ho fatto a cadere così in basso, a non accorgermi della macroscopica presa in giro? Delle moine disseminate qua e là per godere di quanto fossi scemo?
      Driiin!!! La sveglia mattutina, per una volta misericordiosa, mi scaraventa in malo modo fuori dall'incubo. Lunghi istanti, prima di riprendere coscienza. Non mi basta vedere la mia camera da letto, l'espressione interrogativa e un po' preoccupata di mia moglie. Dopo tutto, è vero che sono nel mio ambiente abituale, ma com'è andata davvero?
     Infine, la luce: sì, è stato solo un incubo, un incubo notturno. Dall'altro incubo, quello diurno, ho saputo almeno uscire a testa alta e con la schiena diritta. E non sarei così odiato oggi, se mi fossi chinato ieri... Si voleva la mia proskynesis, ma non sono il soggetto adatto.

                        Piero Visani

Ma ci sei, sei connesso?

      E' divertente notare come alcuni parlamentari "grillini", manifestando insofferenza per talune decisioni del loro leader, diano prova di credere davvero che quello di cui fanno parte sia un movimento libertario. Stupiscono la straordinaria ingenuità e la totale insipienza di gente che è parte attiva di un movimento populista e palesemente totalitario, e neppure se ne accorge.
      Chi scrive guarda con interesse al Movimento 5 Stelle e allo straordinario laboratorio politico cui ha dato vita, il quale, per altro, altro non è che la versione (vogliamo chiamarla "Politica 3.0"...?) ammodernata, riveduta e corretta del populismo totalitario:
  • incontrastato "principio del Capo" (in tedesco si dice Führerprinzip...);
  • rottura totale con la realtà politica esistente;
  • sottoposizione al popolo di ricette semplici e salvifiche.
       Questi giovani volonterosi forse non hanno ben compreso ciò di cui sono parte (e qui va criticata la loro totale sprovvedutezza culturale e storica), per cui vorrebbero far giocare sul piano della democrazia parlamentare un movimento che è totalmente e intrinsecamente rivoluzionario. Paiono non rendersi conto che, se Grillo e Casaleggio decidessero di "parlamentizzarlo", il movimento esaurirebbe la sua carica di rinnovamento nel giro di pochi mesi.
       E' strano come nessuno si sia soffermato granché sul fatto che siamo in presenza di un movimento che sfrutta alcune componenti marcatamente valorizzate dalla Rete, come l'emotività e l'empatia, e che tali componenti ne abbiano fortemente accresciuto la possibilità di riscuotere consenso. Grillo - e questo il "padre-padrone" del Movimento lo sa benissimo, poiché è un politico astuto - è l'esatto contrario dell'algore tecnicistico di Rigor Montis, il Gauleiter italiano della Germania merkeliana e dei "pescecani" dell'avida burocrazia dell'UE, delle banche, dei "poteri forti" e dell'usura antiumana.
      Grillo non fa quadrare i conti - cosa che, effettivamente, può interessare solo ai ragionieri - Grillo offre una speranza a una Nazione che non l'ha più. Ecco la dimensione empatica, ecco la cifra comunicativa che intercetta il sentimento collettivo di un'Italia che non riesce ad arrivare più non alla fine ma nemmeno alla metà del mese..., e che vale ancora di più, ed è più forte, quando è condita dall'invettiva, dall'insulto, dalla rabbia che percorre i cuori di tutti noi contro chi ha rovinato le nostre vite, verso i quali - gli interessati paiono incredibilmente non rendersene conto - potrebbero prima o poi (più prima che poi) innescarsi anche forme di violenza.
       Non esistono - lo sappiamo bene - soluzioni semplici a problemi complessi, ma un movimento che dia speranza è, in un Paese devastato come il nostro, un formidabile viatico di rinnovamento politico. E qualche cretinetti "grillino" vorrebbe fare il suo ingresso in pompa magna nella democrazia parlamentare... Quale ingenuità! Possibile, ragazzi, che non vi siate ancora resi conto che siete lì per distruggerla, questa democrazia parlamentare, e che proprio per questo un terzo degli italiani vi ha votato... 
       Connettersi mentalmente e politicamente, prego, non solo "on line"...

                                          Piero Visani 

Warrior Ethos

       E' bello, in queste notti a cavallo tra un inverno che non vuole finire e una primavera che tarda ad arrivare, stare chiuso nel mio studio a lavorare, a riflettere, a fare proponimenti per il futuro.
       La mia condizione d'animo è buona. Sono pieno di cicatrici, neppure tutte perfettamente rimarginate, ma ben deciso ad andare avanti. La mia etica guerriera me lo impone e lo farò, come sempre.
       Il mio animo non è propriamente lieve, ma i miei intendimenti sono fermi, la coscienza adamantina, le cose da fare molte e il morale alto. "Il morale dei paracadutisti è sempre alto", era solito ripetere mio zio materno, paracadutista della "Folgore" a El Alamein. E lui se l'era vista brutta parecchie volte... Come non potrebbe dunque esserlo il mio, che ho avuto una vita ben più facile della sua, pur non essendo paracadutista.
       Certo, mi porto dentro non poco dolore, ma, se ci rifletto su, c'è mai stato un periodo della mia vita in cui non l'abbia portato? So bene che è una questione di sensibilità: c'è chi è più superficiale e chi più profondo. Io sono nato molto profondo e tormentato, e non sono mai cambiato. Né credo che cambierò. Ho provato, talvolta, a cercare di essere più "leggero", ma non fa per me. Risultavo fasullo, non solo a me stesso, ma anche agli altri, per cui alla fine me ne rimanevo sempre da solo. In effetti, una cosa è essere fasullo naturale, poiché quello ti consente di entrare subito in sintonia con i tuoi "pregiati" simili. Ma se sei fasullo artefatto, loro - da esperti del settore - lo percepiscono subito...
        Lavorerò, scriverò, penserò a tutte le cose che ho da fare. Mi preparerò per la prossima battaglia e per la prossima guerra. Sono come gli esami, non finiscono mai....
        Pensando alla sempiterna natura del conflitto, il mio animo si accende di un'intima soddisfazione. Il mio Warrior Ethos si illumina d'immenso: "finché c'è guerra c'è speranza". Speranza di scariche di adrenalina, di divertimento, di lotta, di affermazione di sé. Il rischio è elevato, ma tutto è meglio di quella palude narcotica e narcotizzante in cui siamo immersi, che chiamiamo per convenzione vita. Questa seguenza di eventi ritualizzati, di Pasque e di Natali di cui ignoro totalmente il significato (o lo disprezzo), mi annoia profondamente. Non c'è piacere, non c'è trasgressione, c'è solo sonnolenta degradazione nel quotidiano. E me ne sto qui da solo, circondato dai miei affetti familiari, in attesa di una prossima guerra e di un'ennesima avventura esistenziale. Non tutte sono scontate e deludenti. Ce ne sono anche di molto interessanti. E' solo una questione di protagonisti. Basta che siano all'altezza, che sappiano distinguere tra finzione e realtà, e non si accontentino della prima. Non sono ottimista, non lo sono mai stato, ma ho il pessimismo tipico di una formidabile volontà e sono molto più sicuro di me che in passato. Lo vedo da mille indizi e da come sia aumentato il mio potere carismatico sulle persone. Le mie cifre comunicative si sono notevolmente ampliate e i contenuti delle medesime sono diventati decisamente più assertivi. Alcune personali esperienze di queste ultime settimane mi dicono che perfino il mio potere di seduzione, sempre alquanto carente, è aumentato e dunque, insieme a Paolo Conte e a Patty Pravo, posso partire per il mio personale "Tripoli 2013":

ma Tripoli cos'e'
e' il primo nome che
mi viene in mente se
lo immagino lontano
dove non so
in cerca di battaglie
perche'
perche' ogni uomo senza battaglie
non puo' sentirsi un uomo
un uomo un uomo un uomo un uomo
e quando un uomo va a vivere di piu'
le donne han solo lacrime

https://www.youtube.com/watch?v=GRzi9ldGCYE&nofeather=True
    
       Non che gli uomini ne siano esenti, dalle lacrime, ma i guerrieri sono una categoria di uomini a parte: non piangono. Combattono.

                                             Piero Visani

venerdì 29 marzo 2013

Sì, sono stato io

       Sì, sono stato io.
       Sono io che ho detto no, quando mi chiedevano di dire sì.
       Sì, sono stato io a non essere ragionevole, interessato, utilitarista, costruttivo. A pensare all'Essere e non all'Avere.
       Sì, sono stato io, a difendere la mia dignità.
       Sì, sono stato io a non voler continuare a passare la mia vita ad essere guardato con degnazione, con sufficienza, a essere considerato l'utile idiota che portava l'acqua dove gli dicevano di portarla.
       Sì, sono stato io che, vedendo l'ennesimo cartello di ALT, ho scelto di fare come Thelma e Louise. Chi l'ha detto che morire con dignità e onore sia peggio che vivere da schiavi, o da servi sciocchi?
       Sì, sono stato io che, provocato a comportarmi ragionevolmente, per salvaguardare interessi meramente economici, ho deciso allegramente di sfasciare tutto. E' troppo bello poter distruggere i convincimenti altrui, specie quando sono infondati. Ancora più bello è distruggere i giocattoli altrui, quando cercano di importi le regole del gioco.
       Sì, sono stato io che mi sono preso e mi terrò tutte le colpe, gli odi sempiterni, la disistima. Ho un'anima ribelle, "irragionevolmente" ribelle, e non mi metto al soldo di alcuno, né per tanto denaro né per un piatto di lenticchie.
        Sì, sono stato io che avrei dovuto essere in un certo modo e, per l'appunto, non lo sono stato.
        Sì, sono stato io che da quel giorno sono diventato l'"uomo nero", l'incarnazione del "Male assoluto", la persona più amabile del mondo trasformata di colpo in una deplorevole carogna, l'innominato, l'innominabile.
        Sì, sono stato io a non accettare il ruolo di soprannumerario che era stato "amorevolmente" predisposto per me.
        Sì, sono stato io che ho scelto deliberatamente di farmi criminalizzare in eterno, per difendere il mio onore, il mio essere uomo verticale.
        Sì, sono stato io che ho voluto sperimentare sulla mia pelle la "magnanimità", la "tolleranza", il "rispetto della diversità", l'"accettazione delle differenze" dei fautori del "Bene assoluto", degli amanti della pace, dei rapporti distensivi tra le persone, dell'"amore per il diverso". Insomma, di quelli che parlano bene e ti mandano a Guantanamo, nel dubbio. Ovviamente per il tuo bene, per "redimerti". Devi al più presto ritornare ad essere un diverso accettabile, possibilmente un gay o un eunuco. Non ti possiamo accettare come alieno. Scattano le sanzioni...
        Sì, sono stato io. Sì, sono io l'incarnazione di tutti i mali. E allora? Infame sempre, pentito mai.

                                Piero Visani

Contro il Leviatano

       Sto scrivendo un libro - non mio ma in qualità di ghostwriter - sul tema della libertà individuale. Credo che sia il tema più importante della società contemporanea, perché il Leviatano hobbesiano sta progressivamente distruggendo - da autentico mostro - le nostre vite: intromissione fiscale, controllo dei conti correnti, delle carte di credito, degli spostamenti, delle comunicazioni, in attesa del prossimo prelievo forzoso.
       Parlando con l'Autore, documentandomi sul tema, mi sono reso conto che ormai il mondo si divide in due schieramenti contrapposti: coloro che il Leviatano lo hanno creato e lo stanno imponendo, per via di progressive sodomie dell'anima e della mente, a coloro i quali non sono in grado di percepire il fenomeno e di difendersi; e coloro che lo hanno percepito nitidamente, e da tempo, e si stanno mobilitando per resistervi.
      Questa è la grande divisione politica attuale, che va molto al di là delle categorie di Destra e Sinistra, ormai morte e sepolte: i difensori delle libertà individuali e i fautori (consapevoli o meno) del Leviatano.
      E' una constatazione confortante, per chi - come me - ha vissuto gli "anni di piombo" e le contrapposizioni frontali di quegli anni, toccare con mano che ormai i nuovi fronti politico-culturali che si vanno creando sono altri e che si può dialogare apertamente con chi, fino a poco tempo fa, era solito considerarmi un "nemico assoluto". Tuttavia, è normale che sia così: chi osteggia il Leviatano ha compreso che questa battaglia non può essere persa.

                          Piero Visani

Archetipo femminile incarnato

       Sabato pomeriggio di marzo. Piove.
       Spogliatoio maschile del mio club di tennis.
       E' il momento del cambio di ora. Dai palloni pressostatici che coprono i campi in sintetico escono quelli che hanno appena terminato di giocare, lasciando il posto ai subentranti.
       Spogliatoio saturo di persone, di sudore, di afrori, di adrenalina.
       Resto coinvolto nei soliti discorsi su donne e motori, dove entrambi vengono vivisezionati come pezzi di carne in una macelleria.
       Sebbene io sia stato abbondantemente massacrato dal genere femminile e sebbene ritenga che gli uomini spesso parlino delle parti in forma consolatoria, per non dover affrontare il per noi disperante (e disperato) discorso sul tutto, personalmente detesto questi dialoghi da spogliatoio, dove tutti millantano e dicono solo sciocchezze. Me ne sto dunque in un angolo, silente.
       Tuttavia, le parole di uno degli astanti mi colpiscono: "Ragazzi, ho incontrato il mio archetipo femminile incarnato!".
       Mi desto dal torpore. Lo guardo incuriosito. E' un'espressione che ritenevo assolutamente e peculiarmente mia, dunque sono sorpreso.
       E' un uomo all'incirca della mia età, con un figlio più o meno dell'età del mio. Un bell'uomo, giovanile, prestante. Molto più loquace e aperto di me, ma intelligente e attento.
       Infatti, coglie subito il mio trasalimento e mi chiede incuriosito: "Anche tu l'hai incontrato?".
       Ho un attimo di lieve repulsione, perché detesto l'abitudine odierna di dare a tutti del "tu", ma lo supero e rispondo: "Due volte".
       "Due archetipi diversi o due incarnazioni del medesimo?" - ribatte lui.
       "Due incarnazioni del medesimo" - preciso io.
       "E come è andata?" - chiede, chiaramente incuriosito.
       "Sono alla ricerca della terza incarnazione" - rispondo io - "Sono un grande esperto di fogne e pattumiere, ma sono come l'araba fenice...".
       "Capisco" - sogghigna lui - "Non avertene a male. E' il nostro destino".
       "Lo so, lo so, lo so bene. Ma sai, sono un tennista modesto ma molto coriaceo. Non mollo. Magari perdo, anzi perdo di sicuro, ma arrivo sempre al quinto set...".
       "Giusto. E' così che si deve fare: anche se tutti mollano, noi no!".
        "In ogni caso - concludo io - se nella prossima vita nascessimo ermafroditi forse sarebbe meglio: potremmo arrangiarci alla perfezione da soli ed eviteremmo di buttare via una parte significativa delle nostre vite a correre dietro alle femmine".
        E lui, dimostrandosi molto saggio: "Non giudicare le cose dai risultati, ma dalle intenzioni. E persevera. Magari troverai l'eccezione, e non confermerà la regola!".
        Saggezza da spogliatoio maschile.

                                         Piero Visani

Uno, nessuno, centomila

       Sono ben consapevole del fatto che dai miei post emergono personalità e atteggiamenti diversi. E allora? E' forse vietato? Devo essere un'unica individualità, scontata e prevedibile? Se fossi così, avrei molti più amici e accompagnatrici, perché sarei la solita e classica manifestazione di "usato sicuro". Ma io non sono così. Sono un "viaggio al termine della notte", perennemente in viaggio e costantemente in mezzo a molte notti, senza "albe chiare". Sono un coacervo di contraddizioni, tenuto assieme da una serie di sincretismi.
       Troppo complicato? Troppo difficile? Doloroso? Faticoso? Tormentato? Beh, palesemente sono fuori dell'ordinario. E' il mio fascino e la mia dannazione, e la seconda si esercita molto di più del primo. Credete che non lo sappia? Perché dovrei cambiare? Per essere accettato? Suvvia, non faremi così privo di dignità e carattere...

                              Piero Visani

A un passo dal cielo

       Non c'è niente di peggio, nella vita di un uomo, nei percorsi che la caratterizzano, di conoscere una donna di cui risultano evidenti la singolarità, la peculiarità, la diversità, l'intelligenza, e non riuscire, assolutamente non riuscire ad entrare in comunicazione con lei. A provarci, a riprovarci, a diversificare approccì, linguaggi, temi, e a ritrovarsi sempre al punto di partenza, come se ogni tentativo di dialogo fosse un monologo o come se l'unico tipo di comunicazione ammessa fosse quella unilaterale, da lei verso di te, ma non viceversa.
       E' un'esperienza frustrante, che lascia non poco amaro in bocca, perché il talento, le qualità individuali non si trovano tutti i giorni. Quando si rinvengono, uno come me, che si reputa innegabilmente un maieuta, si impegna a fondo in questa attività intesa a far emergere quanto di fantastico sta nascosto all'interno di una persona.
       Sfortunatamente, per riuscirvi, occorre un minimo di collaborazione e molta fiducia. Non sono riuscito a guadagnarmi né l'una né l'altra. Colpa mia. E non sono nemmeno riuscito a persuadere la mia interlocutrice della mia sincerità, della mia onestà di intenti. Insomma, un fallimento su tutta la linea.
       Come talent scout forse avrò qualche capacità di individuazione, ma come maieuta davvero valgo zero. Mi dispiace molto. Quando non riesco ad esercitare la mia arte maieutica, me ne dolgo e tanto più me ne dolgo quanto più sono certo di aver individuato la persona giusta. Non mi resta che augurarmi di avere maggior fortuna in futuro. Nel caso di specie, ho fatto tutto quello che ho potuto e anche di più. Ma naturalmente, quando è chiaro che si diventa persona non grata, è corretto trarne le debite conseguenze e farsi da parte. Se uno viene a noia, è giusto che scompaia.

                        Piero Visani

giovedì 28 marzo 2013

Il portiere di notte

     Ci fu un momento, in uno dei miei tanti passati (essendo una personalità multiforme, io non ho uno solo, ma molti passati), in cui una persona fece un accenno molto preciso al film di Liliana Cavani, senza ricordarne il titolo (mi preoccupai io di precisarglielo), ma probabilmente avendone ben chiara situazione e rapporto. Talvolta mi chiedo - e presumo che il dubbio mi resterà in eterno - se la persona interessata tracciasse, nella sua mente (sicuramente brillante e ricca di potenzialità enormi, rimaste purtroppo inespresse, con me), un vago parallelismo tra la nostra situazione e quella del film, e mi dispiace che non sia stato possibile approfondire il tema, che era uno dei lati più innegabilmente stimolanti del nostro incontro...
      Il film, a suo tempo (è del 1974), mi piacque molto: per il tema, per come era trattato, per il clima di morbosità e di malessere in cui si svolgeva il tutto. Tutto è intrinsecamente patologico, in quell'opera, ma di quella patologia che è talmente compenetrata nelle anime, nelle menti e nei corpi dei protagonisti da diventare fisiologia e da farli elevare (o abbassare, poco importa) rispetto all'umanità (?) circostante, immergendoli in un clima che è loro, esclusivamente loro, giudicabile come perverso solo da chi è perennemente immerso nei suoi piccoli manicheismi da bottega o da sacrestia, nelle sue stracche divisioni verticali tra Bene e Male.
      L'opera evidenzia con forza il tremendo potere di seduzione del cosiddetto Male, la sua diversità - comunque la si voglia giudicare - rispetto alla "banalità del Bene". Ricorda la possibilità - sempre presente - di percorsi alternativi, di itinerari non scontati, del fascino e della stimolazione che derivano dall'essere capaci di "andare oltre", di ricercare l'esercizio di forme diverse di vita, che i "custodi del solito grigio" chiamano perverse, morbose, malate.
       Lo stesso riferimento a eventi storici, a movimenti politici precisi, viene usato dall'Autrice in forma deliberatamente provocatoria, proprio per stimolare l'indignata reazione di perbenisti, "politicamente corretti", pseudovirtuosi, ipocriti, moralisti. Per renderla ancora più forte, quale supremo gesto di sfida. La sfida della provocazione intellettuale contro la stupidità banale dei soggetti privi di fantasia, condizionati dai loro moralismi da Untermenschen.
        Considero un assoluto privilegio essere riuscito ad evocare, in uno dei miei tanti passati, una situazione del genere. Non si è materializzata, sfortunatamente, perché i grandi film, soprattutto quelli esistenziali, hanno bisogno di protagonisti all'altezza, e non sempre si trovano... Non è un accusa verso altre persone o una recriminazione e, in ogni caso, coinvolge direttamente anche me. E' possibile, anzi direi che è probabile, che io sia alquanto scarso, come pseudo-Mefistofele, e pure come regista e sceneggiatore dei tanti, troppi B Movies che hanno condizionato la mia esistenza. Buona ragione per riprovarci, ovviamente con altri referenti, ça va sans dire. Il diavolo, a differenza dei postini, non suona mai due volte...

                                Piero Visani

Bocca di rosa

     Una mia conoscente, persona garbata e deliziosamente squisita, mi consiglia l'ascolto, per qualche mio Love Labour lost, de "Le passanti", di Fabrizio De André. Accolgo il consiglio con colpevole ritardo, ma il testo lo commenterò in altra occasione, perché oggi il mio animo è orientato in altre direzioni.
       In ogni caso, questo suggerimento così pertinente mi induce a riascoltare un po' tutta la produzione di "Faber" e, nel farlo, l'attenzione mi cade su un passo della mitica "Bocca di rosa", che suona come segue:


Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.

Così una vecchia mai stata moglie
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutt[i] il consiglio giusto.

       Non so perché (o forse lo so benissimo, come dimostra la piccola correzione che ho apportato al testo originale...), ma queste strofe, che avevo dimenticato, mi sono parse perfettamente a puntino, per me, per certe cose mie. E mi hanno fatto capire le ragioni per cui tutti mi saturano di buoni consigli. Semplicemente perché, pur invecchiando, continuo strenuamente a cercare di dare il "cattivo esempio". E non ho alcuna intenzione di smettere...

                     Piero Visani


Terrible Swift Sword

      Sono stato rimproverato parecchie volte, in vita mia, di essere un soggetto alquanto tranchant, addirittura di essere - cito testualmente - "tagliente come una lama".
       Mi permetto di dissentire e di chiarire una volta per tutte il concetto: in condizioni normali, sono persona pacifica, che si fa sostanzialmente i fatti suoi. Quando necessario, mi relaziono con gli altri e ispiro i miei comportamenti alla massima disponibilità. Sono sincero, disinteressato, cooperativo.
       Tendo a irrigidirmi quando mi vedo oggetto di manovre e manovrette, quando mi vedo inserito in qualche disegno (professionale, personale, etc.), quando mi si fa oggetto di comportamenti che il soggetto che li adotta chiama A e definisce "neutri", mentre sono B e non sono neutri in alcun modo. A quel punto, invio alcuni messaggi di fastidio, che in genere vengono recepiti. Faccio capire che per me A è A e B è B. E che dire che B è A non ne muta minimamente la natura, dato che B rimane B. Al massimo, un comportamento del genere tende a farmi fare la figura del cretino, e quello proprio non lo accetto.
       Non amo inoltre le situazioni di cogenza, quelle in cui, senza dirti "devi fare così e cosà", tentano - con espedienti da asilo infantile - di costringerti a farlo o di fartelo sotto il naso, pretendendo che tu non veda. Non ho problemi con la dissimulazione, so che si usa molto. Ho problemi - e molto gravi, gravissimi - nell'essere considerato un cretino qualunque. Non mi preoccupa di essere oggetto di manovre e manovrette (capita a tutti e, a personalità molto spiccate come la mia, capita più che ad altri): mi offende che si possa pensare che io non sia in grado di scoprirle, prima o poi, e che, una volta scoperte, la mia reazione non sarà adeguata.
       Infine, detesto le situazioni oscure o quelle in cui uno deve far finta di non vedere quello che gli sta accadendo sotto il naso. Essere ritenuto, oltre che scemo, anche cieco, mi dà un enorme fastidio. Accumulo rabbia che, ad un certo punto, si avvia ad esplosione...
      In una parola, non partecipo a giochi di cui non abbia contribuito a definire le regole. Se le definiscono altri, e cercano di impormele più o meno subdolamente, io rompo.
      A quel punto impugno una prima arma, ma non è una spada, è un semplice fioretto. E comincio a lanciare messaggi, in punta di fioretto: "Guardate che ho capito", "guardate che la situazione così com'è non mi va bene", "guardate che, se le cose rimangono in questo modo, io me ne vado".
       Sono messaggi nemmeno troppo sub-liminali e tendono a far capire che siamo nell'anticamera dello scontro. Se ci sono reazioni che reputo positive, tutto rientra rapidamente e la situazione ritorna alla normalità. Altrimenti dal fioretto passo alla sciabola, e comincio a menare fendenti.
       Non c'è errore tattico peggiore di quello di provocarmi. Se mi si invita a uno scontro, io scendo in campo, non mi tiro mai indietro. Se mi si porta sempre sul limite, sperando che io non compia un atto di rottura, lo compio subito, subitissimo. Detesto le situazioni stiracchiate, quelle in cui si sta insieme, in una società, non si sa bene per quale motivo, forse solo perché nessuno ha il coraggio di rompere. E allora impugno la spada e rompo tutto io. Ho assolutamente le palle per farlo. Non ho paura di niente: delle reazioni, degli strilli di coloro che mi avevano provocato e pensavano che stessi buono a mangiare guano in eterno, del fatto che mi odieranno per la vita o che gli bruceranno a lungo le terga perché non prevedevano che avrei reagito così duramente. Non sfidatemi in combattimento: la mia etica guerriera mi impone di scendere in campo, e di uscirne da vincitore o da morto (e i due esiti mi vanno bene entrambi, sono del tutto indifferenziati per me: mi piace lo scontro, non l'esito del medesimo, se ne esco con onore).
      Ricordatevi che, in quanto "guerriero esistenziale", ho un fortissimo "senso del tragico". Dunque non risolvo nulla a "tarallucci e vino". Magari cerco di comporre contrasti precedenti, perché non ho voglia di rompere, ma ricordo e immagazzino tutto. La mia concezione della vita non è da "pace eterna", essenzialmente perché - lo ricordo alle anime giudeocristiane - quella è la definizione classica della morte, non della vita (ma non credo davvero che a dette anime la distinzione sia così chiara...). Dunque, in quanto animato da un profondo "senso del tragico", so ancora distinguere tra vita e morte, e, quando mi rendo conto che si vuole la mia morte "traslata", nel senso che mi si vuol fare aderire a un canone che non condivido, che non è mio, che mi consegnerebbe a una vita che per me sarebbe mille volte peggio della morte, rompo. Rompo tutto, sfascio, devasto.
      Posso essere odiato, posso essere disprezzato, posso essere considerato il peggiore degli uomini. Ma nessuno mi ricorderà come il più piccolo degli uomini, come una "brava persona", come colui che si adattava alle manfrine e ai giochettini da salotto altrui, come un soggetto omologato e omologabile. Sarò odiato, per carità, ma con un forte timore reverenziale. Sarò ricordato, come un incubo. Non allieterò i pomeriggi, facendo quello che si voleva che facessi. Devasterò le notti, "in tutti i sensi" [la citazione mi è infinitamente gradita e, considerata la fonte, direi quasi obbligata... Tutto torna indietro, prima o poi, come un boomerang...].

                                     Piero Visani

mercoledì 27 marzo 2013

L'eterno ritorno

       Mi sia consentito rivolgere un sentito ringraziamento a quanti (e non sono stati pochi...), nel corso della mia vita, hanno deciso di liberarsi di me in forme più o meno urbane, di togliermi di torno, di rompere i rapporti con me. Anche se magari non se lo immaginano, o se puntavano a un obiettivo esattamente contrario, cioè a farmi male, in realtà mi hanno fatto del bene. Io infatti, benché mi si attribuisca un pessimo carattere, in realtà sarei sempre incline all'idea di portare con me tutto il mio vissuto, nel bene come nel male, per cui tenderei a non rompere mai completamente i ponti con chi ha rappresentato qualcosa, qualsiasi cosa, nella mia vita. Ci sono state addirittura situazioni che ho lasciato colpevolmente incancrenire, pur di non rompere in via definitiva con qualche persona. Magari tacevo per anni, per decenni, ma - da attento lettore di Nietzsche - mi comportavo (e mi comporto sempre) come l'uomo dell' "eterno ritorno".
      Mia cugina Anna, che volentieri mi legge, mi passerà la citazione del suo caso, che è paradigmatico: non abbiamo mai litigato, non ne avremmo avuto motivo, ma ci siamo persi di vista per più di quarant'anni (!), salvo ritrovarci via LinkedIn. Ed è stato molto bello ritrovarci, invecchiati (ma non ancora troppo...), per riprendere un dialogo interrotto troppo presto, per nessuna ragione in particolare se non i diversi itinerari delle nostre vite. Ed è bellissimo ritrovarsi ora, scriversi, rivedersi ogni tanto, forse con un minimo di rimpianto da parte mia per non essere stato a suo tempo più dialettico, ma pronti a recuperare un silenzio durato troppo a lungo, a raccontarci, a riscoprire la nostra identità di sangue, che è un valore forte e che credo percepiamo entrambi, molto nitidamente.
      E uomo dell' "eterno ritorno" resto, sempre e comunque, proprio perché la mia "valigia di vita" è piena di ricordi in chiaroscuro, come quella di tutti, presumo. Certo, non credo tornerei indietro da chi mi ha allontanato da sé a calcioni (e non sono stati pochi), ma in un post di qualche tempo fa ho raccontato di un casualissimo e fortunato incontro milanese con una donna che avevo amato. Non si è riaccesa nessuna scintilla, è ovvio, ma una mezza giornata insieme ci è servita a chiarirci che, sì, ci eravamo amati, che lo sapevamo entrambi e che, se le strade della vita ci hanno condotto lungo percorsi diversi, è bastato ritrovarci fortuitamente una volta per capire che la scintilla non era del tutto spenta, ma si era mantenuta accesa, sotto traccia, per decenni. Non è successo niente - l'ho già raccontato - ma almeno da ora in avanti sapremo cosa abbiamo fatto, e soprattutto perché.
      Ci aiuterà? Ci gioverà? No, ma placherà i nostri cuori e, al tempo stesso, ci ricorderà che, per qualche fuggevole attimo, o anche per un po' di più, hanno battuto all'unisono. Sarebbe stato brutto sprofondare nella vecchiaia senza essercelo detto. Non ci rivedremo più, a meno di altre felici casualità, ma non siamo più reciprocamente ostili. Non che lo fossimo in particolare prima, perché ci eravamo lasciati per forza maggiore, non per un litigio, ma ora è tutto più chiaro e i nostri animi - credo - più lievi.
       Ogni tanto, quando uno meno se lo aspetta, la nostra vita può essere illuminata da una cosa bella. E si capisce di aver recuperato cose e persone che si ritenevano perdute. Quando si sa perché le si erano perdute, l' "eterno ritorno" è molto difficile, ai limiti dell'impossibile. Quando non lo si sa, è un'opzione possibile, la bonne chance di una vita passata a cercare di dipanare e spiegare i mille nodi dei legami esistenziali. La mia vita.

                                          Piero Visani

Interesse e disinteresse

       Una delle più gravi iatture del mondo del lavoro contemporaneo sono le "amicizie per interesse". Già in passato, in un mondo del lavoro profondamente diverso dall'attuale, i "corteggiamenti di lavoro" per interesse erano all'ordine del giorno, ma oggi che le attività si sono fortemente individualizzate e che ciascuno deve pensare primariamente a salvare se stesso nel disastro in corso, è sufficiente avere una qualche attività che stia a galla o riesca ad avere un minimo di successo, per essere bombardati di richieste del genere.
       Non sto parlando dell'afflusso di curricula. Quello è una piaga quotidiana di crescente entità. Sto parlando di coloro che, per conoscenza casuale, perché "amici degli amici", etc., si accostano alla nostra società (ma potrebbe essere qualsiasi altra) per palesi motivi di interesse.
       Intendiamoci: non c'è nulla di male nell'interesse, anche perché, in questa maniera, è possibile scoprire persone di assoluto valore, che prima che si presentassero non si conoscevano. Tuttavia ci sono altresì risvolti meno gradevoli, come l'atteggiamento esasperatamente amicale che questi soggetti spinti dall'interesse si sentono in dovere di assumere, che naturalmente, se si tratta di soggetti di sesso femminile, spesso e volentieri non si astiene dalla moina o dall'ammiccamento. Perché - consentitemi - le "donne in carriera" sono soggetti moderni, compiuti, realizzati e fuori dalle tradizionali classificazioni di genere, ma, quando c'è da prendere in giro un uomo, diventano soggetti assolutamente tradizionali, ben lieti di poter fare riferimento ai ruoli tradizionali...
        Ciascuna di queste vicende segue un iter ben preciso: approccio, superficiale conoscenza reciproca, eventuale collaborazione di lavoro (se ne sussistono le premesse). Poi tutto può filare per il meglio, se si è fortunati, oppure si può scoprire che in realtà grandi possibilità di lavoro in comune non vi sono, e quindi arriva rapidamente il momento dei contrasti o anche semplicemente quello della constatazione che non esistono grandi punti di convergenza. E allora arriva presto anche il momento degli addii. Gli "amiconi" delle fasi iniziali diventano soggetti freddissimi, algidi, persone che non sanno chi sei e neppure vogliono saperlo. Guardano già altrove. Avresti potuto servire, ma, una volta constatato che non è così, hai esaurito il tuo ruolo. Dubito che ricorderanno il tuo nome e il tuo volto. E che possa importargliene qualcosa.
        Questa cosa si ripete ad infinito. Se glielo fai notare, ti rispondono con palese fastidio: così è la vita. E allora lasciatemi dire: Viva la muerte!!

                       Piero Visani

Minima moralia

       Chi scrive è stato estremamente critico nei riguardi del ministro degli Esteri Terzi, nei giorni scorsi, in relazione alla tragicomica vicenda dei due marò. Devo però riconoscere che le sue dimissioni in data odierna, a seguito di un evidente disaccordo con la linea scelta dal resto del governo, sono un gesto di dignità, che merita apprezzamento.
       Se effettivamente la scelta di restituire all'India i due malcapitati marò, utilizzandoli cinicamente come vittime sacrificali, è stata presa dall'esecutivo in contrasto aperto con le opinioni del titolare della Farnesina, allora ha fatto benissimo Terzi a dimettersi, lasciando il gabinetto Monti a dimostrare, una volta di più, che potrà essere ricordato, al massimo, come il governo dei dilettanti allo sbaraglio, più che come quello dei tecnici, e potrà persuadere gli studenti della Bocconi che, se professori e presidi sono di quel livello, possono tranquillamente marinare le lezioni, o cambiare ateneo.
       Corretto anche il commento del presidente della Repubblica sulla natura del gesto di Terzi, definito "irrituale". E' vero, assolutamente irrituale. Ne abbiamo grande e intima gioia. Sappiamo infatti - lo constatiamo ogni giorno nelle nostre misere esistenze alle prese con le insidie rivolte loro dai grandi potentati dell'usura - dove ci hanno portato i gesti "rituali".
        E chiudiamo con una domandina rivolta all'inquilino (uscente) del Colle, domandina che potremmo definire "a futura memoria": i prelievi forzosi sono gesti rituali o irrituali?

                                    Piero Visani

martedì 26 marzo 2013

Bibliografia

       Sto faticosamente ricostruendo, un pezzo alla volta, tutta la produzione bibliografica della mia esistenza (libri, contributi a opere collettanee, prefazioni, saggi per riviste scientifiche, recensioni). E' un lavoro lungo, che svolgo per rendere completo il mio profilo professionale su LinkedIn. Ma è un lavoro che ormai mi appassiona, perché sto facendo una cosa che non avevo mai fatto: ricostruire tutta la mia produzione bibliografica. Quando si hanno più anni dietro di sé che davanti a sé, queste cose fanno piacere, danno il senso di una vita, anche se, sul senso della mia, avrei parecchi dubbi. In ogni caso, ho scritto molto, visto che in definitiva è sempre stata una delle poche cose che mi è piaciuto fare.
       Come si può notare, man mano che ci avviciniamo ad oggi i miei scritti si rarefanno, perché ho perduto progressivamente il convincimento che il mio scrivere potesse servire a qualcosa. Ora scrivo essenzialmente per me stesso, per sviluppare un mio percorso interiore. La ricerca di me è ciò che ormai mi interessa di più. Coltivo una profonda interazione con tutti quanti colloquiano con me; con gli altri, da tempo mi sento vox clamantis in deserto, per cui ho abbandonato tutti quei percorsi esteriori che sono stati la tematica dominante della mia vita fino al 2006 circa e ora sto sviluppando solo un percorso interiore. Devo dire che, lungo questo percorso, qualche incontro interessante lo sto facendo e questo mi gratifica, perché scovare le empatie, gli idem sentire, l'identità di visione del mondo è una cosa che conforta molto. Infatti, muovendo da strade diverse e da stili di vita e Weltanschauungen sovente diversissime, ci ritroviamo spesso we few, we (un)happy few, we band of brothers(sisters). E' una citazione che faccio spesso e me ne scuso, ma trovo che trasmetta bene una sensazione vera, quella di fratellanza di spiriti. In questo mondo di gente che parla ma non comunica, che svuota i significanti di significato, avere dei fratelli e sorelle in spirito è una consolazione non da poco.

                         Piero Visani

Seduzione e... strategia

       Riflettendo a posteriori sulle situazioni che si sono vissute, e facendolo naturalmente a mente fredda e con le emozioni ormai placate, è interessante notare i notevoli parallelismi che esistono tra seduzione e strategia.
      La seduzione, per cominciare, è un tipico esempio di compellenza (termine che neppure esiste in lingua italiana e rappresenta una traduzione dell'originale inglese brinkmanship). La compellenza consiste infatti nell'indurre qualcuno a fare qualcosa, naturalmente evitando che questo qualcuno si accorga di essere stato indotto a farlo. Dunque la seduzione è una forma per eccellenza di compellenza, in quanto chi esercita il proprio potere seduttivo induce l'altro a provare emozioni e sentimenti, di modo che questi si traducano in reazioni precise.
      Le allumeuses sono dunque delle specialiste delle strategie di compellenza, in quanto inducono i malcapitati che finiscono nel loro mirino a reagire ai loro stimoli. Un classicissimo esempio di compellenza: indurre a fare qualcosa sotto stimolazione (sessuale) forte.
       Il problema classico della compellenza è che, inducendo qualcuno a reagire al forte potere di stimolo che viene esercitato su di lui, poi occorre gestire tale reazione. E qui si pone un altro problema: è possibile abbinare compellenza e deterrenza? In teoria sì, poiché è possibile sviluppare un sistema di difesa tale da bloccare la reazione di colui che è stato oggetto di compellenza (in questo consiste appunto la deterrenza).
       Tuttavia, il vero problema. non solo concettuale, ma proprio pratico, è il contrasto logico che esiste tra compellenza, che induce a fare, e deterrenza, che dovrebbe indurre a non fare.
        Qui è dove comincia e dove al tempo stesso può finire il gioco della seduttrice: ella infatti vive di atti e comportamenti di compellenza, che hanno senso, però, solo se si accettano le reazioni che essi provocano. Se invece, dopo l'esercizio della compellenza, chi ne è stato oggetto deciderà egualmente di partire all'attacco, non dandosi minimamente cura delle barriere di deterrenza che sono state elevate dalla seduttrice (o presunta tale), l'intera costruzione che è stata messa in piedi franerà clamorosamente, perché, se il sedotto decide comunque di venire - come in una partita a poker - "a vedere", la seduttrice (o pseudo-tale) non potrà abbinare compellenza e deterrenza. L'abbinamento funziona se la seduttrice induce il sedotto a reagire ai di lei stimoli, ma poi, elevando barriere di deterrenza, lo blocca, gli impedisce di superare determinati livelli, lo induce a forme di onanismo relazionale che sono quelle a lei gradite, che la confermano nel proprio potere seduttivo, che le consentono di farsi bella con se stessa e con gli altri. Se invece il sedotto decide di andare comunque oltre e non farsi bloccare da tali barriere, la deterrenza fallisce clamorosamente e fallisce altresì l'intero gioco, in quanto, se colui che è stato oggetto di compellenza supera le barriere elevate dalla deterrenza e decide comunque di venire a "vedere", la seduttrice o gliela dà (tanto per essere chiarissimi) o il suo giochino fallisce clamorosamente, nel senso che si rivela appunto per quello che è, un penoso, infantile giochetto, che induce ovviamente il sedotto a fuggire mille miglia lontano.
      Ecco perché le allumeuses sono sempre sole, nonché costrette a ripetere questo gioco ad infinito e con soggetti costantemente diversi. Perché, se hai il coraggio di andare fino in fondo e di andare a leggere il loro penoso giochino, poi ovviamente non perdi più un attimo di tempo con loro. E sorridi ripensando a quando, nei primi tempi in cui le avevi conosciute, si chiedevano come mai gli uomini con cui si erano accompagnate non tornassero mai da loro. Un raffinato e perfido messaggio sub-liminale di avvertimento, o una autoconfessione di totale stupidità?

                                Piero Visani

lunedì 25 marzo 2013

Try a little tenderness

      Ci sto provando, ma non è facile. Vivo una situazione rovesciata. Ho conosciuto un fantastico incontro di anime - o almeno a me è parso tale - poi finito miseramente per incapacità di diventare qualcosa, di più, di meglio, di diverso, di non statico, di non scontato, di non regolamentato, di non frutto di ruoli, timori, repressioni.
       Ho conosciuto da poco l'inverso, dunque un fantastico incontro di corpi. Mi ha dato gioia, mi ha fatto sentire meglio. Ma ora le anime dove sono? Perché non si incontrano, come invece si sono incontrati i corpi? Perché è tutto così incompiuto? Perché nulla riesce ad essere come dovrebbe? Perché tutto appare come una tragica illusione?
       Sono io che sono troppo selettivo? E' possibile. Ma non mi lascio vivere. Vorrei essere protagonista almeno della mia vita. Una donna può essere fisicamente un gioiello e umanamente una delusione? Sì, sì che lo può. Oppure sono io che sono incontentabile? No, non lo credo, ma amo il divenire, e anche il celere divenire. Non ho nulla di che rimproverare a questa deliziosa persona, ma non mi stimola. E' una "puledra irlandese", innegabilmente. Ma è una "cavalla sana", non una "cavalla pazza".
      Per parafrasare Goethe, se lui "chiamava classico il sano e romantico il malato", io amo solo il malato, il malatissimo, lo sfinito, lo sfibrato, il patologico, il corrotto, l'interiormente devastato. E' una donna solare, mentre io sono più "nero" di The dark side of the moon.
      Mi rimetterò alla ricerca, ma non intendo ferire questa splendida donna. Non sarebbe giusto. Amo - quando riesco e quando non vengo buttato via - portarmi dietro tutto il mio bagaglio di vita e di esperienze, perché ritengo che, con il dialogo e l'interazione reciproca, sia sempre possibile trovare un modus vivendi tra persone che si sono volute e/o si vogliono bene. Per quale ragione perdersi, se non c'è un motivo? Per quale ragione morire uno all'altro, se si può ancora vivere? Perché lasciarsi, se ci si vuole comunque bene?
       Per il momento non farò nulla, perché non intendo urtare una persona molto dolce e dialettica. "Devo pensarci su, pensarci su" (Paolo Conte, Gli impermeabili).

                     Piero Visani

Prometeismo

       Piove da giorni, con rari intervalli. E' un tipo di clima che mi piace molto. Adoro la pioggia.
       Il lavoro è molto, forse troppo, ma questo è quanto ci impongono i tempi.
       La mente corre, come sempre capita quando si svolgono lavori intellettuali. Scrivo e intanto rifletto; rifletto e intanto scrivo. Penso, costantemente. Analizzo, sviscero, cerco di capire. I pensieri si affacciano nel mio cervello a volte in base a una logica precisa, a volte in forma assolutamente episodica.
       Ho dedicato buona parte del pomeriggio di ieri, trascorso a lavorare, mentre fuori cadeva una pioggia torrenziale, a riflettere sul mio prometeismo.
       In effetti, la mia vita è segnata dal prometeismo, dalla sfida, agli dei e agli uomini. Non so perchè, ma la sfida è una mia attitudine naturale, fin da bambino. Quando, da molto piccolo, i miei genitori tentarono di impartirmi un'educazione cattolica, non perché fossero particolarmente osservanti, ma perché così si usava, la mia reazione fu molto negativa, se non esteriormente, certo all'interno del mio animo. Odiavo fisicamente il cattolicesimo, molto prima di affacciarmi a qualsiasi forma di cultura che me lo facesse odiare ancora di più. Le liturgie tristi, le parole d'ordine per me assurde, la necessità di essere umili (io che umile non sono mai stato...), l'uguaglianza di fronte a Dio (il pensiero egalitario mi disturbava già in età preculturale e poi che eguaglianza è, quella in cui si è sottomessi a un dio? Non conosco e non riconosco dei).
      Man mano che crescevo e mi affinavo culturalmente, ho cominciato a sfidare tutto e tutti, a livello culturale, personale, strutturale. Ma non lo facevo per una qualche forma di ridicolo tentativo di distinguermi, lo facevo perché ero e sono realmente così.
       E' evidente come tutto ciò mi abbia complicato paurosamente la vita, perché, di norma, ho sempre legato l'asino dove NON voleva il padrone. E questo perché non ho mai avuto padroni, tanto meno ho sentito di averne.
        Mi sono impegnato in sfide di vario genere nel lavoro, in politica, nei miei rapporti con l'altro sesso. Ne ho vinte poche, ne ho perse molte, però ho disegnato un percorso di vita al quale mi sento incredibilmente affezionato e questo perché, giorno dopo giorno, ho disegnato la vita che volevo. Credo che poche vite siano meno eterodirette e più autonome della mia. Me la sono forgiata con le mie mani. E' ovvio che avrei voluto che fosse profondamente diversa: avrei voluto altri lavori, avrei sperato di diventare un grande politico (di quelli veri, però, non di quelli italiani), avrei voluto essere amato e non disprezzato dalle donne. Però, in ogni circostanza, sono stato sempre me stesso, non ho mai abdicato all'idea che avevo di me e, a ben guardare, ho fatto una discreta strada senza mettermi al servizio di alcuno, senza fare compromessi, mantenendomi puro e libero.
       A livello sentimentale, ho rincorso donne che mi piacevano tanto, così come talvolta ne ho fuggite altre che non piacevano a me. Ho amato donne che non volevano saperne di me, per un'infinità di motivi, o che mi chiedevano - sempre - di cambiare, di essere un altro. Non l'ho mai fatto, perché non ho mai trovato un buon motivo per cui avrei dovuto farlo. Per portarmele a letto? Avrei potuto provvisoriamente mentire, ottenere l'obiettivo (mai stato un mio obiettivo portarmi una donna semplicemente a letto) e riprendere la mia identità. Per contro, mi sono sempre presentato per quel che sono, con il risultato di raccogliere un discreto numero di pedate nelle terga.
        Tuttavia, la mia autostima mi ha sempre sostenuto. Mi è sempre piaciuto abbattere pregiudizi, totem e tabù, e ho sempre saputo che non sarebbe mai stata un'impresa a costo zero. Conseguentemente, non ho una grande dimensione sociale, pochi estimatori e una nutrita fila di detrattori, ma resto tranquillamente attaccato al mio prometeismo. Continuo a impegnarmi in sfide grandi e piccole e, anche se le perdo, so bene che fa parte del gioco: il mio obiettivo non è mai stata la vittoria, ma il combattimento, il gusto per il combattimento, le scariche di adrenalina che solo il combattimento sa dare. Non mi interessano i risultati. So benissimo stare al mondo da solo. Sono un'anima aristocratica, ergo sputi e mazzate li ho già messi in conto. Ma vi risulta che sia mai cambiato...?

                                              Piero Visani

domenica 24 marzo 2013

Un'anima aristocratica

      Un'amica che mi conosce abbastanza bene, da un certo numero di anni, e che è molto brava nell'analisi psicologica (e come non potrebbe esserlo, visto che la psicologia è il suo mestiere...), mi scrive che ho "un'anima aristocratica" e che, come tutti coloro che hanno un'anima di questo tipo, amo i percorsi di confine, per quanto difficili, poco battuti, faticosi e rischiosi possano risultare.
      Lo trovo un bel complimento, uno dei più belli che abbia ricevuto negli ultimi anni. Sono grato a questa persona di essere riuscita progressivamente a capirmi, di avere avuto la pazienza di farlo e di essere stata capace anche di andare al di là dei non pochi tentativi di confondere le acque che sono solito mettere in atto, un po' per timidezza, un po' per dare un'immagine complicata e contraddittoria di me, di modo che le persone siano stimolate a cercare di comprendere dove stia "il vero Piero".
       Pratico da sempre questa attività di mistificazione; da sempre sono solito spargere cortine di fumo per non farmi individuare, capire, classificare. Cerco costantemente di confondere le acque, perché ritengo che solo chi supera questo tipo di schermo protettivo ed elusivo sia davvero in grado di comprendermi ed essermi amico. Di solito, quasi nessuno lo fa e non a caso credo di essere una delle persone maggiormente vittime di cliché, appiccicatimi addosso senza nessun tentativo di approfondimento o analisi.
       Al tempo stesso, poiché ritengo di essere depositario di peculiarità non comuni, invito chi si accosta a me a sviluppare un "percorso di avvicinamento" e mi sforzo di renderlo complicato, perché so che solo chi avrà il coraggio di percorrerlo fino in fondo sarà in grado di capirmi davvero.
       Conosco bene l'eccitazione intellettuale che mi coglie quando individuo persone che si mettono su questa strada, e la gioia interiore che mi pervade. Conosco forse ancora meglio la delusione che mi coglie quando vedo che queste persone, lungo questo percorso, rallentano e in genere riesco ad individuare preventivamente chi si fermerà e mi lascerà andare per la mia strada, cessando di procedere verso di me e con me.
       Qualcuno talvolta mi ha detto che era tutto troppo difficile, troppo complicato, troppo accelerato. Capisco e non ho obiezioni. Io cerco infatti principalmente rapporti intellettuali, cerebrali. Da lì possono discendere mille altre cose, e non è neppure detto che discendano. Però io mi presento con estrema chiarezza, cerco il dialogo, i percorsi e le scoperte comuni. Legittimo rifiutarmi. Legittimo che io, a mia volta, mi presenti per quel che sono, senza pretendere di essere gradito "a prescindere".

                               Piero Visani

Un polo di attrazione

       Quando, a fine agosto 2012, il mio socio e io ci siamo ritrovati nella necessità di far ripartire la partnership, dopo la frattura interna che ne aveva determinato la momentanea crisi, abbiamo subito deciso di concentrare i nostri sforzi sull'ampliare il più possibile la nostra struttura e la sua rete relazionale. Eravamo consapevoli che la fuoriuscita, abbastanza traumatica, di un partner, avrebbe potuto indebolirci e rallentare la nostra crescita, per cui abbiamo deciso di reagire con forza.
       La nostra prima contromossa è stata quella di aprirci sul piano internazionale, con l'acquisizione di un supporto esterno che ci ha consentito di migliorare la nostra immagine, poi abbiamo avuto la fortuna di incontrare un manager davvero valido, al quale, non appena abbiamo avuto il tempo di "pesarlo", non abbiamo potuto fare altro che offrire di entrare immediatamente in società con noi, subentrando alla partner con la quale avevamo preferito rompere i rapporti.
       Ritornati su un assetto a tre, in un primo tempo abbiamo tratto grande giovamento dalla presenza di un nuovo socio di innegabile competenza ed esperienza. Successivamente, d'accordo con lui abbiamo deciso di sviluppare una politica di edificazione di un network, di modo che il Gruppo Orbis potesse fungere da polo di attrazione di energie diverse, ma tutte amiche, tutte in sintonia con noi e tutte ben decise a collaborare con noi per cercare di far crescere il Gruppo, le sue attività e la sua rete di relazioni.
       Al momento attuale, abbiamo ufficializzato i rapporti con due nuovi partner, uno a cavallo tra Italia e Gran Bretagna e l'altro operante tra Italia e Romania, e già si fanno sentire i primi risultati di questa politica di apertura, mentre sono in stato di avanzato sviluppo due ulteriori partnership, che dovrebbero essere formalizzate a breve ed entrambe caratterizzate da fortissimi livelli di internazionalizzazione. E almeno un'altra si annuncia, sullo sfondo.
       In definitiva, stiamo andando avanti bene e con sempre maggiore fiducia nei nostri mezzi.

                             Piero Visani

Le cause di un disastro

     Premesso che, sulla questione dei marò, la migliore valutazione l'ha espressa un ex-Capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Mario Arpino, sostenendo giustamente che la questione della possibile applicazione della pena di morte - da parte indiana - ai due malcapitati fucilieri di Marina è secondaria, in quanto "moralmente è come se li avessimo già fucilati noi", quello che è importante fare è soffermarsi sulle cause di tale disastro.
      Impegnati come siamo quotidianamente a ricercare e/o dare raccomandazioni, non ci rendiamo conto, da secoli, che la mancanza di un sistema di selezione basato sul merito impoverisce terribilmente la nostra vita collettiva, consentendo che là dove dovrebbero stare i competenti siedano invece gli incompetenti, gli amici degli amici, i più stupidi, i più impreparati. Questo fa male all'Italia nel suo complesso, intesa come Nazione. E i costi si scontano. Vi siete mai chiesti per quale ragione, a livello di individualità, abbiamo delle eccellenze riconosciute e stimate a livello mondiale, mentre, a livello collettivo, siamo tra gli ultimissimi nella classifica della stima (anche se molti di noi pensano esattamente il contrario)?
      La verità è che come collettività non esistiamo, se non nella più deplorevole forma di "familismo amorale", quello per cui si devono aiutare sempre e soltanto i propri sodali. Il risultato è scontato: i posti pubblici (e non solo pubblici...) sono tutti occupati da raccomandati di ferro, tanto più raccomandati e selezionati quanto più incompetenti. Se qualcuno, magari anche solo per sbaglio, dispone di una qualche forma di competenza, è guardato con sospetto e in genere emarginato, in quanto le sue competenze, anche scarse, sono in grado di evidenziare maggiormente le incompetenze altrui.
       Il risultato è devastante, ma chiunque - come chi scrive - abbia conosciuto e frequentato per più di un ventennio determinate istituzioni pubbliche, sa che la realtà supera, in negativo, qualsiasi immaginazione. Non mancano, è ovvio, le eccezioni, ma scompaiono comprensibilmente nel mare magnum dell'incompetenza eletta a sistema.
       Le conseguenze sulla nostra Nazione sono semplicemente devastanti. E' stato operato - scientemente - un depauperamento di intelligenze e competenze che ci sta spingendo deliberatamente verso gli ultimi posti della classifica mondiale, in moltissimi campi. I risultati si vedono, plasticamente.

             Piero Visan

sabato 23 marzo 2013

Io confesso

       Sì, lo ammetto, sto cominciando a riderci su. Ho sofferto. Mi sono sentito oscenamente preso in giro. Però il tempo sta agendo da lenitivo e io ovviamente ho cominciato a riflettere sulle mie colpe. Com'è possibile che, a più di sessant'anni, uno cada vittima di una seduzioncella da strapazzo? E ci creda pure, la ritenga sincera, quando giorno dopo giorno diventa sempre più smaccatamente falsa? Come non distinguere il vero (pochissimo) dal falso (tantissimo)? Dove ho lasciato finire la mia esperienza, la mia conoscenza del mondo e delle persone? Come ho fatto ad essere così stupido e ingenuo?
       Non lo so nemmeno io. Non ho risposte. Ho dato per buono e per sincero quello che era un semplice giochino di società, magari intrapreso per scommessa con un'amica. Si saranno fatte matte risate. Buon per loro! Del resto, le capisco: fare fare la figura dello sciocco a un uomo della mia età non è da tutte. Dunque, chapeau!
        Quanto a me, nulla da rimproverarmi: sono una persona sincera, franca, non ho mai preso in giro alcuno, in vita mia, né lo farò in futuro. Tutto quello che ho detto e fatto era vero, e mi devo solo rimproverare di aver nutrito tardi, molto tardi, dopo una serata di giugno al mare, l'atroce dubbio che potesse essere tutto una orrenda farsaccia a mio carico.
        Colpa mia, lo so, ma in certe cose non brillo per intuito, anche se, da quella sera, mi sono messo sul "chi va là", poiché era tutto un tantino fasullo e - finalmente! - l'ho percepito anch'io, per cui almeno quello che è venuto dopo non mi ha colto di sorpresa.
       Tutto concepito, gestito e realizzato alle mie spalle, senza avere mai il coraggio di dirmi niente davanti. Il classico stile dei falsi. Le stimmate di comportamenti etnicamente radicati nei secoli, nei millenni, che non per nulla hanno destato, nei confronti di determinati popoli e dei loro membri, così generali simpatie. Colpire sempre alle spalle, come fanno i vili, i più vili.
       Sfortunatamente per chi mi voleva morto, sono qui, ben vivo, e comincio a riderci su. Lo stile - si dice - è l'uomo e io, in tutta questa vicenda, mi sono comporato con molto stile. Mi sono preso le pugnalate alla schiena e ho reagito colpendo davanti, a viso aperto, come fanno gli uomini d'onore. Naturalmente, ne sono seguiti silenzio e fuga, fuga e silenzio. Ma è giusto che sia così, non c'è davvero più niente da dire. Ci ho fatto la figura dell'emerito coglione - lo so bene - ma davvero non me ne preoccupo. Nessuno potrà mai dire di me che sono un bugiardo o un seduttore da strapazzo. Ho fatto quello che ritenevo giusto fare e non cambierò, non defletterò di un millimetro: continuerò ad andare là dove mi porta il cuore e, se mi porterà a farmi prendere nuovamente in giro da qualche persona con problemi, non avrò che da prendermela con me stesso, il mio istinto e la mia incapacità di distinguere chi è vero da chi è falso.

                     Piero Visani

Vantaggiose asimmetrie

       Nei rapporti umani, c'è una fortissima asimmetria tra chi butta via e chi viene buttato via. Il secondo, infatti, superata la delusione e lo smacco iniziali, ha un destino e un percorso precisi: cassonetto, camion della raccolta rifiuti, inceneritore o compostaggio o riciclaggio. La sua sorte è segnata e alla fine, in un modo o nell'altro, morirà. Non potrà nemmeno farsi degli scrupoli, avere dei rimorsi [di che, di essere stato buttato via?), rimpiangersi o compiangersi. Il tempo che gli è stato lasciato a disposizione è poco, poi diventerà polvere, o qualcos'altro.
      Diverso il discorso per chi butta via: potrebbe pentirsi - mera ipotesi di scuola, ovvio -, cambiare idea, cominciare a sentirsi un verme, farsi venire degli scrupoli. Potrebbe in una parola essere assalito da una "tempesta del dubbio" che ai "fortunati appattumierati" non capita. Io invece so di avere avuto quello che mi meritavo e me lo tengo. E' uno dei rari casi in cui è una fortuna essere morti. Ammesso e per nulla concesso che gli "appattumieratori" siano vivi, of course...

                                Piero Visani 

Siamo sempre all'8 settembre

       La storia italiana ha un'unica data veramente significativa, ultimativa, pregnante: l'8 settembre 1943. Il giorno della "morte della Patria". E' la data che dovrebbe essere assurta a festa nazionale di uno Stato che è sempre in festa, di una Nazione che forse non è mai esistita.
       Perché proprio l'8 settembre? Non solo e non tanto per l'ennesimo cambiamento di campo, per il modo vergognoso e vigliacco con cui fu operato, lasciando i soldati di turno senza ordini, a morire in nome e soprattutto per conto di una classe dirigente che intanto se la svignava vigliaccamente a Brindisi, con in testa un Savoia che, da bravo Savoia, sapeva solo saltabeccare da uno schieramento all'altro, senza capire niente di niente (ma - si sa - i piemontesi non brillano per capacità intellettuali...; colgo l'occasione per precisare che sono di origini romagnole, abito a Torino per puro accidente della Storia. Non amo la città né i suoi abitanti), quanto perché l'8 settembre è una data paradigmatica di una fuga, la più classica e ripetuta fuga tipica della storia nazionale: la fuga dalle responsabilità.
      Nel nostro Paese, da sempre, si diventa classe dirigente per cooptazione e la cooptazione si basa, da sempre, sull'inversione dei valori, nel senso che più sei deficiente, incolto, testa di cavolo e autoreferenziale, più piaci ai potenti nazionali, perché sei perfettamente identico a loro. In una parola, devi "legare l'asino dove vuole il padrone". Nessuno ti precisa un dato supplementare ma essenziale: anche il padrone è un asino, oppure - perché no? - è proprio l'asino...
       Quando accadde l'incidente in cui furono coinvolti i due marò del "San Marco", qualche testa di cavolo italica, insediata alla Farnesina o al Ministero della Difesa tanto per rubare uno stipendio, disse al comandante della nave di attraccare in un porto indiano: in pratica, gli fece fare l'unica cosa che non avrebbe dovuto fare. In tutti i Paesi normali, un soggetto del genere sarebbe stato costretto a rapide dimissioni. Qui da noi l'avranno di certo promosso.
        Dopo di che, è stato un unico scaricabarile. Due poveri fucilieri di Marina trasformati, come sempre, in vittime sacrificali e soprattutto sacrificabili e una classe dirigente che, selezionata con i metodi di cui sopra, se la canta e se la suona da sola e non sa assolutamente mai de qua agitur.
         Sprezzante del ridicolo (no, non del pericolo, a quello è particolarmente sensibile...), il carrozzone degli idioti al potere dà il meglio di sé e, con le premesse testé delineate, ve lo potete facilmente immaginare: ordini, contrordini, machiavellismi da portineria, esibizionismi di quart'ordine, e via evacuando... (la scelta del termine non è casuale, ma indica da dove promanano le decisioni di costoro).
          L'8 settembre, per noi, è un dato consustanziale. Siamo sempre lì, e da lì mai ci muoveremo, anche perché la Repubblica, molto colpevolmente, ha sempre cercato di spacciare quella data come il giorno di inizio del nostro riscatto antitedesco, mentre fu solo la data di un ennesimo, vergognoso tradimento.
          I conti, nella Storia, si fanno nei tempi lunghi, ma i conti tornano sempre. Lo zio di mia moglie, capitano degli Alpini nei Balcani, era andato in guerra come volontario. La sera dell'8 settembre 1943, lasciato senza ordini, si fece uccidere dai tedeschi - per i quali, sia detto tra parentesi, simpatizzava - per difendere gli apparati radio di cui era responsabile dai tedeschi che volevano sequestrarglieli. Morì in nome del re (scrivo rigorosamente minuscolo, ho senso dello stile e della Storia, io...) e della dignità militare. Di un re che teneva i suoi soldi nelle banche londinesi mentre eravamo im guerra con la Gran Bretagna e che stava illustrando l'Italia con la fuga a Brindisi. Nei giorni successivi, a un altro mio zio, caporalmaggiore della "Folgore" e prigioniero negli USA, venne chiesto se stava con il Re e con Badoglio, o se preferiva rimanere fedele alla parola data. Non ci fu neanche bisogno di chiederglielo, visto che i soldati veri di parola ne hanno una sola. Tornò nel dicembre 1946, da prigioniero non cooperatore, ma con la schiena diritta, sebbene avessero tentato in vari modi, anche rudi, di piegargliela ed ebbe tempo di insegnarmi, ad abundantiam, dche cosa pensare della classe dirigente italiana. Lui che aveva dovuto affrontare i carri armati inglesi, ad El Alamein, con le bottiglie Molotov e poco altro...
       Avendo sempre occultato chi sono i cialtroni, i ladri, i traditori, non per prendersi rivincite impossibili, ma per fare chiarezza e migliorare il nostro carattere nazionale e il nostro sistema di selezione delle élites saremo sempre al punto di partenza, cioè all'8 settembre. Ecco perché, da qualche anno a questa parte, mi sento fieramente apolide e, se e quando potrò, restituirò con analoga fierezza il mio passaporto. Io non voglio più essere italiano.

                               Piero Visani


venerdì 22 marzo 2013

Segni... e sogni

       Pomeriggio di lavoro intensissimo. La mente vorrebbe correre, nelle più diverse direzioni, ma ha poco tempo e ancora meno libertà di farlo. Però corre ugualmente, perché la mia mente corre sempre.
       Non sono in una buona condizione d'animo, principalmente perché mi rimprovero varie cose, ma essere alle prese con me stesso è un esercizio cui mi dedico con applicazione attenta, sempre pronto a ricevere e a dare stimoli.
       Avrei un'infinità di cose da scrivere, ma talvolta mi chiedo se scrivere non sia il più vano degli esercizi. Avrei bisogno di incontrare una persona con cui sviluppare un dialogo a tutto campo, denso, pregnante, brillante. Una persona che mi soddisfacesse intellettualmente. Faccio fatica a trovarne e, quando mi succede o sono convinto che possa succedere, in breve mi trovo coinvolto in rapporti che sono tutti un po' a metà. Mi dettano tutti condizioni, limiti, noie, impegni.
      Come spesso mi succede, mi sto annoiando profondamente. Vorrei fare qualcosa di ignoto e tutti mi riportano al noto, al banale, al consolatorio, al risaputo e al non rischioso.
      Sono certissimo che non sia facile andare d'accordo con me, però non sono e non mi presento come un bancario qualsiasi. Possibile che non ci si accorga che sono diverso e, quando se ne acquisisce consapevolezza, io incuta timore, o ribrezzo? E' così disturbante la mia diversità? Sono davvero così preferibili le strade del noto a quelle dell'ignoto?
       Credo però di aver trovato una soluzione, almeno parziale, di cui non posso e naturalmente non voglio parlare in questa sede. Una soluzione estremamente interessante sotto il profilo intellettuale, al punto da poter essere definita di pura cerebralità, e al tempo stesso promettente sotto altri profili. La sto perseguendo con calma, e meglio la perseguirò nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. E' qualcosa che mi interessa e mi stimola. E' molto poco, se si vuole, ma è meglio di niente. E poi sono attentissimo, con livelli di percettività da radar a bassa quota, e mi sto guardando intorno. Per me è fondamentale non fare mai, domani, quello che già facevo oggi. Forse è per questo che incontro spesso tante resistenze. Ma chi cercava un soggetto banale e prevedibile non si relaziona con me, vero? E, se per caso lo fa, fugge, prima o poi, magari dopo avermi chiesto di cambiare. Cambiare? Perché dovrei? Non sono omologabile, io. Se la mia compagnia non è gradita, sto da solo. Sempre. Talvolta ci soffro. Negli altri casi vado avanti. La mia personalità è dura, forte, debordante. Prendere o lasciare. La seconda opzione è la più frequentata, ma io sono sempre qui, a fare quello che amo, che mi interessa, che per me ha un notevole valore. Mi spezzerò, prima o poi. Ma non mi piego, mai. 

                                Piero Visani