domenica 30 settembre 2018

Tolleranza zero

       In un quartiere di Torino afflitto da ben altri problemi, un pensionato novantenne lascia cadere in strada un po' d'acqua nel mentre innaffiava i fiori del suo balcone. Alcuni agenti della polizia municipale, verificata l'estrema gravità del reato, lo invitano a scendere in strada e gli comminano una multa di 50 euro per il fatto di essersi indebitamente voluto sostituire al "dio della pioggia". Poi se ne vanno contenti del dovere compiuto in una via letteralmente cosparsa di auto parcheggiate in doppia fila e di spacciatori, stranamente non visti...
       Giustizia è fatta. Dura lex, sed lex. Si attende la convocazione del nonagenario in Procura. Reati del genere sono intollerabili.

                  Piero Visani




                         

giovedì 27 settembre 2018

Democrazia con laurea

       Leggendo gli articoli del giornalismo mainstream, lo scrivente ha la vaga sensazione di essere sprofondato - per di più quasi di colpo - in un mondo di barbari e pazzi, dove si stanno diffondendo idee "radicali" che paiono essere condivise da oltre il 60 per cento degli italiani, ma che - suprema sfortuna! - non sono invece condivise dai giornalisti della maggior parte dei quotidiani d'opinione.
       A un osservatore assolutamente neutrale, privo di pregiudizi qualsivoglia, la cosa parrebbe addirittura disastrosa, in quanto controllare oltre l'80 per cento delle testate giornalistiche nazionali e avere prodotto una politica assolutamente contraria ai valori metapolitici dominanti (fino a ieri...) è qualcosa di veramente incredibile, tipico della totale incapacità di una banda di mentecatti. Tuttavia, siccome gli ultimi risvolti del "pensiero unico" vogliono che, per poter esprimere il proprio pensiero, un suddito debba essere almeno laureato ad Harvard ed essere ovviamente "de sinistra", perché altre forme di pensiero non sono ammesse (è la liberaldemocrazia, ragazzo!!), non resta che togliere il voto ai mediamente e bassamente scolarizzati, in nome di un principio nuovo: "un uomo (laureato), un voto"!
       E gli altri, direte voi? Gli altri sono pronti per tutte le forme di precariato e per l'invidia sociale, perché quei bastardi invidiano i titoli, le prebende, il posizionamento sociale e il prestigio dei "giornalisti laureati". Nonché ovviamente le loro prestigiosissime lauree.
       Conseguenza di tutto ciò: i giornali vendono sempre meno, anche perché, per farmi dare del cretino, del barbaro, etc. etc., perché dovrei comprarli?
       Ah, sia detto en passant: io ho due lauree e un master, ma non sono "de sinistra" (e neppure "de destra", per la verità, sono categorie stradefunte). Mi limito a pensare con la mia testa. E questo, nell'Italia dei "democrats" plurilaureati e tanto "perbene", è il crimine peggiore, il meno tollerabile.

                         Piero Visani




Politica e metapolitica

       L'ascesa di Marcello Foa alla presidenza della Rai rappresenterà un momento fondamentale per chiarire i rapporti tra metapolitica e politica in una fase storica che potrebbe risultare radicalmente nuova, se solo la si vorrà sfruttare.
       Foa è sicuramente un professionista di alto livello e sa molto bene che cosa occorrerebbe fare per affrancarsi dalle tematiche del "pensiero unico", in genere tradotte molto liberamente - in Rai - con le geremiadi sul "pluralismo dell'informazione" (sic). Bisognerà vedere quale supporto riceverà dai suoi sponsor politici. In ogni caso, il terreno in cui è stato inviato ad operare è fondamentale per il futuro di qualsiasi forma di pensiero alternativo nel nostro Paese. Foa se ne rende perfettamente conto, i suoi sponsor politici sicuramente un po' meno, mentre alcuni di quelli che l'hanno votato da tempo notoriamente agiscono - con la potenza delle loro televisioni - per "il re di Prussia"...
       Vedremo.

                     Piero Visani




Recensione di Pietro Comelli - Andrea Vezzà, "I mondi di Almerigo"

       Ci sono persone che, per notorietà, per comune appartenenza ad un ambiente, nel caso di specie anche perché vittime di un tragico destino, si sono sentite nominare spesso, anche da amici comuni che le hanno personalmente conosciute, senza per questo che si sapesse molto di loro, se non che le dimensioni più chiaramente pubbliche della loro vita.
       Accade però che, per quei percorsi spirituali e caratteriali che solo i libri sanno farci compiere, queste stesse persone escano da una dimensione puramente mitico-agiografica per diventare uomini veri, reali, "nutrite di sangue e di sogni" come noi, anzi probabilmente più di noi, ma figlie di percorsi esistenziali che anche noi abbiamo compiuto, di passioni che abbiamo condiviso, grandi o piccole che fossero.
       Ho ripensato a tutto questo leggendo il libro di Piero Comelli e Andrea Vezzà, I mondi di Almerigo (Spazio In Attuale, Trieste 2017, 158 pagine, 25 euro) perché - nel farlo - ho scoperto inattese convergenze individuali con la figura di Almerigo Grilz, giornalista e corrispondente di guerra, caduto in Mozambico nel 1987, a soli 34 anni, mentre svolgeva la sua difficile e pericolosa professione. Ne avevo ovviamente sentito parlare, avevo saputo della sua tragica fine e sapevo altresì della sua appartenenza ad un universo politico che era anche il mio. Quello che non conoscevo erano le sue passioni giovanili per i soldatini di carta, per i fumetti di argomento bellico, per il disegno militare e tanto meno per la British Pageantry. Tutte cose che piacevano e piacciono tuttora anche a me.
       Così, leggendo questo bel libro, corredato di numerosissime illustrazioni provenienti dall'archivio evidentemente molto vasto del protagonista, la mia mente è inevitabilmente tornata alla mia gioventù, al fatto di essergli quasi coetaneo (lui del 1953, io del 1950), di aver vissuto molte esperienze politiche comuni, sia pure in ambiti geografici relativamente differenti (estremo Nord-Est lui, Nord-Ovest io). E mi sono soffermato a pensare a come possano essere uguali e al tempo stesso diverse le esperienze di un mondo giovanile, ricco di sfumature al proprio interno ma mai completamente separatosi, salvo - nel caso di alcuni - per poter "godere" fino in fondo le solite esperienze entriste-alimentari, quelle che servono a rinnegare, nella maturità, ciò che si è sostenuto in gioventù...
       Una sottilissima vena di emozione ha percorso i miei ricordi, subito ricacciata indietro da un carattere che non ama le concessioni all'emotività, ma mi sono inevitabilmente soffermato a pensare che morire giovani, seguendo il proprio sogno professionale ed esistenziale, sia tragico ma al tempo stesso preferibile allo sprofondare nella senescenza, magari con il laticlavio, dispensando "perle" di saggezza "pompiera" dopo un breve (brevissimo) periodo di intemperanze "incendiarie" (o pseudo tali). Si godono pensioni e vitalizi, ma forse guardarsi allo specchio diventa un esercizio di difficoltà atroce, ammesso e non concesso che si abbia una coscienza (o uno specchio...). Dopo tutto, chi ha mai detto o scritto che la vita sia un fatto meramente quantitativo...?
       Sono grato agli Autori di questo bel libro per avermelo fatto ricordare.

                                  Piero Visani



lunedì 24 settembre 2018

Resipiscenze

       Emmanuel Macron venne portato al potere da ambienti finanziari internazionali che lo vedevano come l'uomo adatto a plasmare la Francia secondo i loro disegni. Il simpatico "toy boy" ottenne una larga maggioranza e cominciò ad applicare una politica che avrebbe dovuto migliorare le condizioni economiche dei francesi, mentre le ha affossate ulteriormente, al punto che i suoi indici di gradimento presso l'elettorato sono colati rapidamente a picco.
       La Francia è diventata in breve un laboratorio politico-economico dove si è ulteriormente "perfezionato" il disastro sociale voluto dalle strategie economiche dell'Eurolager: nessuna redistribuzione di ricchezza alle classi lavoratrici e alla piccola e media borghesia; tassazione da urlo; progressivo impoverimento di tutti i ceti, salvo i ricchi e i super-ricchi. Non a caso, anche in Francia è cresciuto a dismisura, negli ultimi tempi, il numero dei working poor, cioè quella categoria di persone, ormai amplissima anche in Italia, che ha un lavoro, ma non percepisce introiti sufficienti a metterla al riparo dalla povertà, travolta da bollette, balzelli, interessi usurari, imposizione fiscale e oneri di tutti i tipi. Che dovrebbe essere felice di vivere "nel migliore dei mondi possibili" e invece è ogni giorno più arrabbiata.
       In passato, la classe dirigente dell'Eurolager si sarebbe bellamente disinteressata del fatto che, nel mentre essa nuotava nelle prebende, i cittadini/schiavi avessero continuato a stare sempre peggio: le condizioni politiche generali lo consentivano e i consensi, frutto di puro masochismo, non mancavano. Oggi, però, le condizioni di fondo sono radicalmente mutate e la spinta sovranista, chiunque riuscirà ad interpretarla, si è fatta forte al punto da risultare preoccupante. Con queste premesse, e con le banlieues in costante fermento, Macron doveva fare qualcosa, onde non rischiare, in prospettiva, un disastro elettorale. E allora, ecco che le politiche di detassazione - odiatissime fino a che venivano rifiutate come "non virtuose" da una classe dirigente che ovviamente assegnava a sé stipendi esentasse - sono ricomparse alla grande, "per dare una scossa all'economia" (che evidentemente, quando è gravata dalle tasse, soffre, visto che i primi ad ammetterlo sono oggi i prenditori/percettori) e per far sperare in un futuro meno tombale a un Paese impaurito, al punto da far crescere anche la percentuale del deficit pubblico, come ipotizzato pure dagli odiati macaroni italiani.
        Tutte cose già note, risapute, ma mai ammesse: l'Eurolager sta uccidendo l'Europa e ovviamente la cosa non importa in alcun modo ai boiardi di Bruxelles, ma molto gli importa invece delle loro carriere politiche, che potrebbero essere spazzate via dal voto continentale del maggio 2019, costringendo molti a rifugiarsi nell'alcol e contrarre così formidabili attacchi di sciatica, più forti e meno "allegri" degli attuali...
       Si stanno in tal modo confermando le previsioni di molti osservatori, anche non schierati politicamente: l'Eurolager affosserà l'Europa e l'odierna marcia indietro di Macron è certo significativa, ma molto tardiva.

                Piero Visani






venerdì 21 settembre 2018

The Concert for BanglaDesh

       Sui media mainstream è un continuo ricorrere di un nuovo tema, il "cattivismo", che non è soltanto la più naturale antitesi di un falso "buonismo" durato decenni, ma è anche il modo per introdurre la questione del risentimento, dell'ostilità, della rabbia, che sarebbero diffusi a tutti i livelli - e i media mainstream si chiedono pure il perché... - della società italiana.
       Alcuni quotidiani di oggi ne forniscono una prima, potenziale risposta: il "sistema moda" italiano produce un volume d'affari di circa 58 miliardi di euro l'anno, vale il 4% del Pil, ed è cresciuto del 3% nella prima metà del 2018.
       Risultati assolutamente positivi, che però - come ha rivelato un'inchiesta pubblicata ieri dal New York Times - si basano su uno sfruttamento dei lavoratori più o meno analogo a quello esistente nel BanglaDesh, il Paese nato dalla scissione del Pakistan. Gli esempi addotti in tal senso dal prestigioso quotidiano statunitense si sprecano: abiti da donna venduti a prezzi varianti da 800 a 2.000 euro comportano una remunerazione - per le specialiste che li producono in condizioni appunto da Paese asiatico (nessuna tutela lavorativa, mutualistica o che altro) - di ben 10 euro al giorno, una cifra che può consentire il cospicuo guadagno, per le medesime, di 300 euro al mese...!
       Questa inchiesta ha suscitato scandalo, ha provocato reazioni irate tra i grandi nomi del "Made in Italy", ma non ha condotto ad alcuna acquisizione certa e definitiva su quanto davvero guadagnino queste lavoratrici del "sistema moda" nazionale. Nessuno degli stilisti di fama interrogati in proposito ha saputo fornire una risposta precisa e circostanziata, perché nessuna di queste lavoratrici è ovviamente una loro dipendente, ma è al soldo (si fa per dire...) di terzisti e subterzisti che danno loro remunerazioni nemmeno definibili da fame, ma da semplice schiavismo.
       Su questo sfondo, ormai diffuso in un gran numero di settori merceologici diversi, resta da chiedersi come sarebbe possibile che la società italiana non fosse carica di risentimento, di odio, di frustrazione e invidia sociale, quando nemmeno sottoponendosi a turni di lavoro di 12 ore al giorno è possibile procurarsi da vivere, pagare bollette che costano il triplo che in altri Paesi, permettersi un'auto che non sia una carretta, percorrere autostrade che hanno costi altissimi, forse non sempre reinvestiti nella manutenzione dei ponti...
       C'è da essere allegri, c'è da ritenersi immersi "nel migliore dei sistemi possibili", mentre i nostri figli, spesso plurilaureati, possono nel frattempo cercarsi un posto da lavapiatti a Londra o in altri Paesi, per spendere bene le conoscenze acquisite...?
       La borghesia italiana, mai troppo intelligente e sempre troppo cieca, sta percependo queste dinamiche di impoverimento verticale sulla propria pelle. Per ora sopravvive mangiandosi il capitale, ma tutto questo non durerà in eterno. Quanto alle classi elevate, esse non hanno fatto altro che spartirsi prebende, mangiare il mangiabile e assegnare incarichi a sé e ai propri figli per cooptazione. Non a caso, in questo Paese, la mobilità sociale è inesistente.
       Capita sempre più spesso, guardando le trasmissioni televisive a premi, vedere concorrenti che piangono sgangheratamente, travolti dall'emozione, dopo aver vinto cifre che un tempo sarebbero state modestissime e che non risolveranno alcuno dei problemi che li affliggono, ma che rappresentano una sorta di insperata rivincita su una vita fatta solo di sofferenze e di schiavitù, al punto da scatenare in loro questi forti soprassalti emotivi.
       Non va tutto così bene, dunque, ma l'odio cresce e, siccome nessuno si preoccupa di redistribuire un po' di ricchezza e diminuire sperequazioni sempre più enormi, crescerà ancora di più, sempre di più. Questa è la notizia migliore.

                  Piero Visani



martedì 18 settembre 2018

Futura

       Di norma, non voto. Sono troppo snob e detesto dal profondo i ludi cartacei. Credo però che, per le prossime elezioni europee del maggio 2019, farò un'eccezione. Sento troppo l'odore di scontro frontale, ovvero l'odore che amo di più. Ovviamente non penso che il mio modesto votarello possa cambiare alcunché, ma lo metterò comunque a fianco di tutti coloro che - mi auguro per le ragioni più diverse, perché in quel modo a me piacerebbe di più - detestano questa "democrazia delle pance piene", questo totalitarismo sempre meno dolce, questa ineguaglianza eletta a sistema, dove coloro i quali hanno i loro soldi in paradisi fiscali e percepiscono stipendi NON TASSATI sono soliti farci la morale sull'importanza dell'assolvimento degli obblighi fiscali (i nostri, e solo i nostri, ovviamente...) e del pagamento dei debiti (i nostri, e solo i nostri, ça va sans dire), mentre la gente come noi si vede ogni giorno sempre più schiacciata verso una condizione lumpenproletaria e senza speranza alcuna: di futuro, di libertà, di (modesto) benessere.
       Non penso a nulla di decisivo, non credo che le cose cambieranno tanto in fretta, ma sento il delizioso odore del nemico e nulla mi potrà trattenere dal dargli addosso. Gente maledetta che mi ha rovinato la vita fin da quando ero adolescente e con la quale anelo a fare i conti da allora, anche se probabilmente non riuscirò a farli in questa vita. Nessun problema: da modestissimo intellettuale, ho sempre cercato di educare qualche seguace. Ci penseranno costoro, o almeno si ingegneranno a farlo.
       Ma sento il dolce profumo dell'odio e, per una volta, non credo che mi limiterò a subirlo, ma potrò anche spargerlo. Con estrema lucidità, perché non sono per nulla emotivo: a me piace fare male, non dare scandalo. E studio costantemente i modi per farlo. Le guerre migliori sono quelle che si combattono con le spalle al muro, e ci siamo sempre più vicini.

                                Piero Visani






lunedì 17 settembre 2018

I miei romanzi

       Quando un autore nasce saggista e storico, è normale che si interroghi sulle proprie capacità di romanziere. Così, dopo aver scritto in sequenza due romanzi, un po' più di un anno fa, sono stato colto da crescenti dubbi sul loro effettivo valore e ho cominciato a lavorarci su, per quanto saltuariamente, effettuando modifiche e apportando correttivi.
       Una volta conclusa questa fase, ho lasciato i due testi a "fermentare" per un po', in attesa di rivederli successivamente a mente fredda. Quando ho operato tale revisione, sono rimasto forse ancora meno soddisfatto di prima e, a quel punto, ho deciso di sottoporli entrambi a una mia valente collaboratrice, con conoscenze letterarie decisamente superiori alle mie, nonché donna (il principale dubbio che mi assillava, infatti, era relativo alla consistenza e credibilità dei personaggi femminili).
       La disamina condotta dalla mia collaboratrice è durata a lungo, tanto è risultata approfondita, e, alla fine, il suo verdetto non è stato particolarmente positivo né sulle trame né sulla consistenza e credibilità dei personaggi femminili, da lei reputati assolutamente inattendibili.
       A quel punto, i miei dubbi hanno trovato conferma, di fatto quasi in parallelo con i giudizi invero lusinghieri tributati invece a un saggio come il mio Storia della guerra dall'antichità al Novecento, che è piaciuto davvero a molti. Ho dunque deciso di soprassedere a ulteriori stesure di romanzi o a modifiche dei medesimi. Se ne scriverò in futuro, lo farò solo dopo una riflessione molto più approfondita sulle modalità con cui uno storico può avventurarsi nel periglioso terreno della letteratura (o presunta tale...), magari con un romanzo storico...

                        Piero Visani



The Ghostwriter

        Ho fatto il ghostwriter per buona parte della mia vita professionale, maturando anche esperienze ad altissimo livello: Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica (1990-1992), Ministero della Difesa e vari Stati Maggiori (1988-2006), Dipartimento Informazione ed Editoria della Presidenza del Consiglio (1992-93). Oltre a ciò, numerose aziende, anche grandi, sia statali, sia parastatali, sia private.
       Ad un certo punto, non ho capito che, per continuare a lavorare, avrei dovuto lasciar da parte il linguaggio forbito e l'approccio documentato e dialettico, e cominciare a scrivere "più migliore" et similia. Non l'ho fatto - lo confesso - non ho saputo adeguarmi per tempo e così, in ambito professionale, ho perso posizioni. In quanto storico militare, quanto meno per passione, sapevo persino che a Waterloo Napoleone aveva perso, non vinto, e questo mi estrometteva dalla possibilità di accedere a qualche consiglio di amministrazione in posizione manageriale.
       Ho stretto i denti e mi sono adattato a fare lavori più umili. Dopo tutto, che potevo fare in un Paese dove "uno vale uno" e occorre ostentare soprattutto incompetenza? Non ne sono pentito: vedo che si affacciano un po' ovunque grandi geni e sono lieto che apportino tante qualità positive all'Italia. Non voglio correre il rischio di fare il "capo" (sic) "espiatorio" per colpe non mie... Meglio lavorare poco.

                      Piero Visani



domenica 16 settembre 2018

Deep State

       Nella mia vita professionale, non credo di aver mai fatto parte dello "Stato profondo". Ne ho operato all'interno, questo sì, ma mi impediva di migliorare le mie posizioni la mia assoluta refrattarietà, per non dire repulsione "tout court", a tutto ciò che è statale. In compenso - e questo lo posso affermare a chiare lettere - "ho visto cose che voi umani..." e, quando in  qualche occasione mi è capitato di volerne raccontare anche solo una minima parte a interlocutori non "avvertiti", mi sono visto ridere in faccia un po' da tutti, con inviti a "non raccontare frottole solo per il gusto di fare colpo su chi ti ascolta"...
       Frottole non ce n'era alcuna, ma vaglielo a spiegare alle "anime belle" e talvolta anche a quelle meno belle...! Non c'è niente di più impervio che cercare di spiegare a chi non ti vuole ascoltare che cosa siano gli arcana imperii e come funzioni lo "Stato profondo". Tempo perso.
      Visto che la mia credibilità è prossima allo zero assoluto, mi permetto però di suggerire la lettura del numero di agosto 2018 di "Limes - Rivista italiana di geopolitica", dedicato a "Stati profondi. Gli abissi del potere". Sia per i neofiti della politica dalla parte dei governi (e non da quella delle opposizioni) sia per quanti non credono all'esistenza dei Deep States, sarà una lettura certamente utile, perché spiega alcuni meccanismi estremamente interessanti, ad esempio come può accadere che una struttura di sicurezza incaricata della difesa delle coste di uno Stato riesca a creare - non propriamente a caso... - un evento come quello della nave "Diciotti" e chi la muova, nel farlo, di modo che il governo legittimo di un Paese si trovi tra i piedi una "patata bollente" intesa solo ed esclusivamente a delegittimarlo e a screditarlo.
       Essendo avanti con gli anni, sono un componente di quella ristretta genìa di italiani che credono ancora che le buone letture servano anche a fare politica, oltre che - e soprattutto - metapolitica. Non ho grandi speranze in tal senso, visto il livello medio complessivo, ma la mia piccola provocazione la lancio: chi non controlla il Deep State del proprio Paese crede semplicemente di governare ed essere al potere; in realtà NON governa e NON ha potere. Meglio accorgersene per tempo, se si riesce...

         Piero Visani



sabato 15 settembre 2018

L'immutabile "democrazia"

       Non passa giorno, anzi non passano ore né minuti senza che qualche "solone" - in servizio permanente effettivo o di complemento, volontario a ferma breve o professionista fin troppe volte raffermato (e mai pensionato...) - non ci "delizi" sull'immutabilità della democrazia e dei suoi valori".
       Sistema davvero divertente, quello democratico, dove NON si può cambiare neppure se lo decide la maggioranza. La maggioranza degli italiani, ad esempio, è contraria all'immigrazione indiscriminata e che non si trasformi in integrazione, ma rimanga pura e semplice accoglienza? No, non va bene. Ma hanno votato a maggioranza per una soluzione del genere? Non va bene lo stesso, sono ignoranti e, in futuro, le elezioni non si svolgeranno più sulla base del criterio "un uomo, un voto", ma di quello - ultra-democratico - de "una laurea (almeno triennale e di chiaro orientamento globalista-universalista), un voto". Se per caso avrai una laurea, ma le tue deviazioni intellettuali e culturali ti avranno portato ad esse una "merda sovranista" (secondo la nobile definizione di marca lussemburghese), potrai solo fare il lavapiatti a Londra, insieme a decine o centinaia di migliaia di giovani italiani che "volevano troppo", in patria.
       Si dice sempre che in questo Paese non esista mobilità sociale, e che i figli dei ricchi restino ricchi, così come quelli dei poveri restano poveri. Ma neppure in termini di mobilità politica andiamo molto bene, visto che sta diventando affine a quella della Corea del Nord. Lunga vita ai vari Kim che "allietano le nostre vite" con i loro saperi e le loro morali! Almeno in Nord Corea ne hanno uno solo!

                          Piero Visani




martedì 11 settembre 2018

Flessibilità

       Un supermercato della cosiddetta cintura torinese.
      Atmosfera da smantellamento. La struttura chiude. I dipendenti non vengono licenziati, ma trasferiti molto lontano, ad oltre 100 chilometri, nel Novarese. Si prospetta per loro una vita da pendolari, ma non sui treni ad alta velocità bensì sulle simil-tradotte note come "treni regionali". 
       Cento chilometri ad andare, e cento a tornare: unica soluzione possibile per famiglie in cui ci sono due bambini ed entra un solo stipendio fisso, quello del capofamiglia, perché la moglie è ovviamente precaria, precarissima.
       Impensabile sognare di potersi prendere anche solo un alloggetto nel nuovo luogo di lavoro, dunque avanti e indietro, per "globalizzazione" (o "glebalizzazione") e flessibilità. Tuttavia, potranno avvicinarsi al Lago Maggiore, dove qualche furbetto con vocazioni moraleggianti e rigoriste si gode la sua "meritata" villa da (solo) 24 milioni di euro.
       Mia moglie è di antichissima famiglia aristocratica (1518) e ha un naturale ribrezzo non per il popolo, che apprezza da sempre, ma per le borghesie di rapina e le loro abitudini sempre molto disinvolte.
       Parla con questi soggetti, il cui morale è comprensibilmente sotto i tacchi, e cerca - come può - di rincuorarli. Fa notare loro come nei Comuni del circondario torinese le concessioni per aree commerciali si siano moltiplicate, anche perché potevano giovare - e non poco - se non proprio alle casse comunali, certo a quelle del potere locale. La scommessa era che, dopo qualche anno di difficoltà, il mercato interno sarebbe ripartito e invece, con stipendi da fame e tasse da rapina, non è ripartito proprio un bel niente. Sono ripartiti solo alcuni dipendenti - e nemmeno tutti - verso località molto lontane. 
       Serve a poco, o forse a nulla, fare un gesto di solidarietà, ma mia moglie lo fa, con grande classe, consapevole com'è del fatto che l'attuale capitalismo di rapina sa solo depredare la gente, di tutto, anche dell'ultimo residuo di sorriso. Ed è una sicura soddisfazione, per lei, veder fiorire uno stanco sorriso sulle labbra di questi "vinti dalla vita". Io non sono presente a questa scena, ma non posso che lodarne il comportamento. Dare un segno concreto, tangibile, di vicinanza è sempre utile. Poi verrà il momento di insegnare a costoro a riprendersi le loro vite: comunque, dovunque, in ogni modo.

                                      Piero Visani



lunedì 10 settembre 2018

Le elezioni in Svezia

       Siccome non tengo minimamente a rendermi simpatico, dirò a chiare lettere che a me il modello del Welfare State ha sempre fatto ribrezzo, in Svezia come altrove. E' un modello orribilmente assistenzialistico, che si preoccupa soprattutto di vellicare le parti peggiori di una Nazione e di un popolo, quelle che cercano di farsi pagare il più possibile dallo Stato, in modo da faticare il meno possibile da sé. Del resto, sappiamo che questa è una strada in discesa: si comincia con alcune componenti sicuramente di rilievo, come l'assistenza sanitaria, e si finisce per intasare i servizi di emergenza degli ospedali anche solo per un raffreddore...
       Poi un giorno gli apologeti di quel sistema di assistenza dalla culla alla tomba (e anche viceversa, perché quando nasci in un sistema del genere è come se fossi già morto) si accorgono - ma molto tardivamente, è ovvio... - che quel sistema, come può essere applicato a loro, può essere applicato anche agli allogeni e costa, costa, e snatura progressivamente l'identità nazionale, fino a trasformarsi in un melting pot talmente forzato per cui in certe aree del Paese non entra neppure più la polizia e forse servirebbe - per accedervi - anche l'esercito.
       Una deriva del genere è appena più che tragica, ma ci vuole tempo, molto tempo, per scalzarla. Sacche di privilegio esistevano ed esisteranno ancora, e le metapolitiche inverse a quelle dominanti non si costruiscono in un giorno. Le forze sovraniste crescono, ma fanno quello che possono, visto che l'elettorato spesso si accorge dei ladri quando hanno già completato le loro spoliazioni, non prima, in genere per una forma di ottuso e comodo conservatorismo.
       Tuttavia, il vento sta cambiando in tutta Europa. Non occorre avere fretta. Il nemico - perché di nemico si tratta e come tale ci ha sempre trattati - è in difficoltà. Occorre incalzarlo con strategie diversificate e tattiche sofisticate. Ma quello che un tempo era un sogno oggi è già un progetto politico. Non è mutamento da poco, anche se non arriva subito la luna nel pozzo.

                          Piero Visani



Teodoro Klitsche de la Grange, Recensione a Piero Visani, "Storia della guerra dall'antichità al Novecento"

Piero Visani, Storia della guerra dall’antichità al Novecento, OAKS Editrice, Milano 2018, pp. 190, € 18,00.


       Questo libro, che verrà presto seguito dalla storia della guerra dal Novecento ad oggi, è riuscito in un’impresa non facile: quella di cogliere le costanti e le differenze, (in rapporto alle epoche) del fenomeno bellico, in primo luogo la sua ineminabilità. Come scrive l’autore “Scrivere un abbozzo di storia della guerra dall’antichità ad oggi, sia pure senza pretese di esaustività e completezza scientifica, può sembrare un’operazione oziosa: la cultura dominante in quello che per convenzione definiamo il mondo occidentale, infatti, ha da tempo espunto dai suoi valori di riferimento il fenomeno bellico”. A dire il vero ha fatto di più: ha creduto di poter eliminare dalla realtà quello che Julien Freund chiamava uno dei “presupposti” del politico: l’amico-nemico, in particolare coltivando l’illusione che possano esistere comunità senza ostilità (e senza conflitti, almeno rilevanti) “i maîtres à penser della cultura dominante ci distillano gocce del loro illuminato pensiero spiegandoci che, in un’epoca evoluta(!) come l’attuale, i conflitti, anche quelli tra gli Stati, non sono più armati, non possiedono una dimensione militare, ma si svolgono a livello economico e finanziario. E naturalmente, pensando a questo, ci sentiamo tutti più tranquilli e anche fortunati, perché le nostre vite non sono distrutte dagli spari o dalle bombe, ma “soltanto” dall’impossibilità di avere un lavoro, o di averlo tale per cui sia decentemente remunerato, o esposto alle insidie di popoli più disgraziati del nostro, disposti ad accontentarsi di un pugno di riso per lavorare più e magari meglio di quanto non facciamo noi”.
       Tanto per cominciare, la guerra (e il nemico) è eliminata dal vocabolario. Ma siccome i dissenzienti  a tali visioni (sedicenti) ireniche, esistono e non intendono “pacificarsi”, verso questi “la violenza è ancora possibile e tuttora accettabile. Non è guerra – sia chiaro – perché non c’è nemico da affrontare; piuttosto, è un’operazione di polizia, nazionale o internazionale, da condurre a carico di quanti non si vogliono piegare, non si sa perché, alla logica razionale e razionalistica di chi ne sa più di loro, degli illuminati, degli ottimati, dei beati possidentes”. In realtà, sostiene Visani, “se la guerra non esiste più (e sappiamo fin troppo bene che non è vero), il conflitto gode di ottima salute – se così si può dire – e assume continuamente nuove dimensioni, che investono tutti i campi e tutte le attività umane, in una logica di privatizzazione dello scontro che rischia davvero di dare concretamente corpo ad uno dei peggiori incubi della storia umana: il bellum omnium contra omnes, di hobbesiana memoria”. D’altra parte conflitti e ostilità sono presupposti della guerra (intesa come violenza); la quale è in sé un mezzo della politica (Clausewitz) che può conseguire i propri scopi (anche e soprattutto di potenza) ora con la guerra ora con la pace (spesso finta). Qualche anno fa nel libro notissimo di due colonnelli cinesi, “Guerra senza limiti”, si mostrava come in un mondo che rifiuta la guerra classica, questa ripieghi in altre forme, spesso conosciute (come quella economico-finanziaria) o del tutto nuove, come le aggressioni informatiche, ma accomunate dallo scopo della guerra (Clausewitz e Giovanni Gentile) che è quello di far sì che il nemico (l’altro gruppo politico) faccia la nostra volontà, anche senza impiegare mezzi militari (cosa che Sun-Tzu elogiava già 25 secoli fa). L’obiettivo del libro è “sollecitare  ad una riflessione sul fatto se una civiltà possa davvero fare a meno di possedere una “cultura del conflitto”. Non c’è niente di peggio che rifiutare di riconoscere alla guerra “l’esistenza a livello culturale, lasciando che l’opinione pubblica e soprattutto le giovani generazioni non conoscano o addirittura rifiutino di conoscere la dimensione conflittuale, con la conseguenza di risultare sempre più alla mercé, soprattutto per ignoranza, di chi – in forme sempre più evolute e subdole – le vuole solo aggredire, per farle oggetto di conquista dapprima sul piano intellettuale, poi su quello economico-materiale e infine su quello fisico”.
      Così è ricordato da Visani il rapporto tra modo d’esistenza delle comunità (in particolare – ma non solo – la forma politica) e modo di combattere: altro è l’esercito di una democrazia politica, in cui tutti hanno il dovere di prendere le armi, altro quello di un’aristocrazia (è un diritto/dovere che compete a pochi), altro della monarchia.
       Così la descrizione delle diverse epoche e forme di guerra occupa circa duecento pagine che sarebbe lungo esaminare: compito da lasciare al lettore. Ma una citazione la vogliamo fare: è quando l’autore commenta l’esito – pessimo sul piano militare ma buono sotto quello politico – della nostra Terza Guerra d’indipendenza “La Terza Guerra d’Indipendenza riveste un ruolo importante nella storia nazionale perché è la prima in cui si manifesta un modo italiano di fare la guerra che ha segnato in profondità la vicenda storica nazionale: una classe politico-militare incerta a tutto, per nulla convinta del modo con cui raggiungere i propri obiettivi politici e ancor meno disposta a sostenere le spese necessarie per dotarsi di uno strumento militare adeguato, sia terrestre sia navale… Si tratta di un modello comportamentale che tenderà a ripetersi con preoccupante frequenza e che segnerà nel peggiore dei modi la nostra storia unitaria, anche in tutti i conflitti successivi in cui il nostro Paerse sarà impegnato, Di questo modo italiano di fare la guerra non si è mai parlato granché e anche oggi su di esso si preferisce glissare, sia perché è assolutamente conforme al carattere nazionale sia perché, a partire dal secondo dopoguerra, ha cominciato ad intersecarsi con la retorica sull’inclinazione naturalmente pacifista (che non equivale a dire “naturalmente politica”, anzi…) degli italiani e delle loro stesse forze militari. I risultati di tale disposizione mentale sono sotto gli occhi di tutti e hanno accelerato la nostra progressione come Paese privo di sovranità reale e privo anche di una vera cultura militare”.
       Nel complesso un libro interessante, cui può adattarsi in pieno il giudizio di Proudhon che la guerra “domina, regge con la religione, l’universalità dei rapporti sociali. Tutto nella storia della umanità, la suppone. Nulla si spiega senza di lei; nulla esiste senza di lei; chi sa la guerra, sa il tutto del genere umano”.

                                  Teodoro Klitsche de la Grange




giovedì 6 settembre 2018

"Tutti a casa!"

       L'8 settembre 2018 è dopodomani e si tratta di una data che, per la grande maggioranza degli italiani, non significa nulla e ancor meno evoca. Come ebbe a scrivere il professor Ernesto Galli della Loggia (non proprio un sovversivo...), è solo la data de "La morte della Patria".
       La vicenda della nave "Diciotti" e dei migranti scomparsi dai centri di accoglienza dopo essere stati ricevuti in pompa magna ci ricorda che siamo sempre lì, a quella data incisa con il sangue nel nostro DNA nazionale. Ci piace suicidarci - come popolo - e farci prendere per le terga dal mondo intero, magari illudendoci, come fanno i più ingenui, che "Italians do it better". Lungi da me il negarlo, ma cosa fanno meglio degli altri? Le "Caporetto"...?

                    Piero Visani



lunedì 3 settembre 2018

Presentazione di "Storia della guerra dall'antichità al Novecento", 6 settembre 2018

       Giovedì 6 settembre, alle ore 18, presso la Sala Gioco del "Circolo dei Lettori" di Torino (via Bogino 9), avrà luogo la presentazione del mio libro Storia della guerra dall'antichità al Novecento (Oaks Editrice, Milano 2018, 195 pagine, prezzo 18 euro).
       La presentazione sarà introdotta dal generale degli Alpini Giorgio Blais, in passato a lungo direttore della sede OSCE di Banja Luka (Repubblica Serbia di Bosnia).
       La presente vale come invito per chi fosse interessato.

                    Piero Visani



sabato 1 settembre 2018

La "libertà" secondo gli etilisti (non) anonimi

       "Pagherete tutto con l'ora legale o con quella solare? Aiutateci in questa fondamentale scelta per il futuro dell'Eurolager! Preferite che le vostre esequie abbiano luogo alle ore 10 o alle ore 11 (cioè 10 + 1)? Ci auguriamo che vi rendiate conto della portata di questa scelta cruciale. E poi non dite che non siete liberi: sulle questioni fondamentali - il pagamento dei soldi che vi abbiamo detto che ci dovete - siete liberissimi: potete addirittura scegliere l'ora: solare, legale (o illegale, quella che è più cara all'UE...)? Ve lo chiede l'Europa!".

                                     Piero Visani