giovedì 26 marzo 2020

Sicurezza e libertà

       Concludendo il suo quotidiano elzeviro su "La Stampa", Mattia Feltri scrive, a proposito del fondamentale rapporto tra sicurezza e libertà in Paesi che possano definirsi "civili": "...ricordiamoci che settantacinque anni fa si rischiava la vita per la libertà, ora si rischia la libertà per la vita. Speriamo che questo non dica qualcosa di noi".
       In realtà dice moltissimo. Ci racconta la fuoriuscita dalla Storia di una civiltà vecchia, non solo anagraficamente, come quella europea. Abituata a considerare vita il numero di giorni che riesce a vivere in schiavitù senza rischiare la morte. Contenta di poter essere controllata in tutto (telefono, salute, risorse mobiliari e immobiliari, pur di sentirsi "al sicuro"). Ma "al sicuro da che?", da virus che possono anche essere creati in laboratorio, approfittando di questa ossessione securitaria, magari tranquillizzati da "scienziati" che sicuramente sapranno tutto dei loro ambiti di competenza, ma difficilmente possono vantare conoscenze anche nelle relative applicazioni militari (che sono ricche e variegate, e non sempre smontabili con semplici operazioni di reverse engineering).
       L'ossessione securitaria ci ha condotto alla non-vita attuale, dove dobbiamo solo obbedire ad "ordini superiori" e farlo - ovviamente - per "il bene comune". "Bene comune" che si identifica con la nostra "vita-morte", naturale frutto di quella "bellezza dell'impotenza" ormai riservata al "Grande Ospizio" europeo, dove la libertà dei singoli - oggi controllatissima - si esprime nel contare, come si faceva ai tempi del servizio militare obbligatorio, quanti giorni manchino all'"alba del congedo", partendo da 365 (visto che all'epoca la leva durava un anno). Con una piccola, ma fondamentale, differenza, i giorni che a noi mancano - per chi ancora li volesse scioccamente contare - non sono all'alba, ma al tramonto, l'ultimo, quello definitivo: la morte.
       La civiltà occidentale, del tutto priva di senso del tragico, è arrivata persino a inventarsi la colossale fola della "guerra senza morti". Invece la guerra c'è, sempre e comunque; il nemico pure, anche se lo definiscono invisibile e - come spesso è accaduto della Storia - non ci sta di fronte, ma dietro, tra quelli che amiamo ritenere "i nostri capi"; e la morte ci è costante e serena compagna, anche perché le nostre vite di poveri "servi della gleba" e non di "beati possidentes", da tempo deprivate di tutto o quasi (ma costantemente in nome del "bene comune"...) sempre e solo quell'esito ammettono, anche se molti di noi lo vorrebbero differibile in eterno. Senza accorgercene, persi dietro il sogno di vivere in eterno, ci siamo rassegnati a perdere ogni libertà e ogni dignità, ed a morire giorno dopo giorno. Dunque a morire sempre.

                  Piero Visani


sabato 14 marzo 2020

Marzo 1821

       Visto che siamo in un'epoca di "neo-patrioti" (forse molto più "neo" che "patrioti"), chissà chi si ricorda dell'ode manzoniana "Marzo 1821", di cui tra un anno esatto ricorrerà il duecentesimo anniversario sia della stesura (15-17 marzo 1821) sia dell'evento (i moti carbonari in Piemonte, l'abdicazione di re Vittorio Emanuele I in favore del fratello Carlo Felice e la concessione della Costituzione da parte del reggente Carlo Alberto, che fecero sorgere la speranza dell'entrata in guerra del regno di Sardegna contro l'impero austro-ungarico per promuovere l'indipendenza italiana, poi atrocemente delusa). 
       Questo il celeberrimo incipit dell'opera:

    Soffermàti sull’arida sponda
vòlti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell’antica virtù,han giurato: 
non fia che quest’onda
scorra più tra due rive straniere;
non fia loco ove sorgan barriere
tra l’Italia e l’Italia, mai più!

      L’han giurato: altri forti a quel giuro
rispondean da fraterne contrade,
affilando nell’ombra le spade
che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno strette le destre;
già le sacre parole son porte;
o compagni sul letto di morte,
o fratelli su libero suol.

       La situazione è oggi diversissima, ma il nemico rimane il medesimo ed è un impero economico, molto più che politico-militare
. La prevenzione razzistica nei nostri confronti non è minimamente mutata e la Storia - se e quando si ripete - lo fa come tragedia o come farsa. Della seconda siamo abilissimi (e naturalmente vocati) protagonisti. Della prima, in genere involontarie vittime. Nelle fasi di accelerazione storica - e questa è certamente una di esse - penso sia utile conoscere un po' il passato, per non sbagliare un evento fondamentale come la designazione del nemico principale (per me: l'Unione Europea e chi la controlla a proprio vantaggio) e avere bene in mente che non sarà il "patriottismo" dei "canti da osteria" dal balcone a farcene uscire vincitori. Serviranno sudore e lacrime. Sangue non so, magari non direttamente, ma certo indirettamente sì, e molto. Del resto - visto che ho buona memoria e NON amo le dimenticanze - non li ho votati io coloro che ci hanno venduto (largamente remunerati) al Quarto Reich.

                                Piero Visani


                                                

venerdì 13 marzo 2020

Il controllo del territorio

       Premesso che, dalle mie parti, non è facilissimo riuscire a fare un certo numero di chilometri senza imbattersi in "forze dell'ordine" che non ti fermino per chiederti che cosa stai facendo, dove stai andando, perché e via libertarieggiando, constato con soddisfazione che il controllo del territorio, se solo il governo lo vuole, è possibile, anche se è così soffocante e capillare. Non era così, per contro, quando in un anno sbarcavano sulle nostre coste almeno duecentomila migranti. Per loro, in effetti, valeva il diritto alla sopravvivenza, che a noi, cittadini di quarta o quinta classe, non è consentito. Non ho mai sentito citare, in queste surreali mattine, il diritto alla sopravvivenza per noi poveri autoctoni e non l'ho citato a mia volta, non solo per non far adirare i miei controllori, ma perché uno su mille, vagamente più avveduto, avrebbe potuto dirmi: "ma stiamo lavorando per la sua sopravvivenza", e ridergli apertamente in faccia non sarebbe stata cosa apprezzata, suppongo...
       Come sempre, in politica, volere è potere. Evidentemente, anche qui - come nel caso dell'euro - siamo nel campo di SITUAZIONI IRREVERSIBILI, tipiche di qualsiasi democrazia totalitaria compiuta, con l'assenso delle masse/greggi. Ho però almeno un motivo di ottimismo: salire su un barcone con altri disgraziati come me, quando la "cura Lagarde" comincerà a far sentire i suoi effetti di miseria totale su un Paese già terribilmente impoverito, mi auguro sarà consentito anche a me, povero migrante italico con le pezze alle terga. Magari i "cani da guardia" locali chiuderanno un occhio e forse due (ci sono abituati, del resto...) e poi posso sempre fare riferimento ad una formidabile arma di distrazione di massa: travestirmi à la Al Jolson. Così avrò il beneplacito delle polizie, della Sinistra "illuminata", dei 5 Stalle, dell'ONU e della Chiesa. Tuttavia, se anche dovessi riuscire a prendere il largo con altri disgraziati come me, sarà interessante scoprire quale sarà l'atteggiamento delle polizie (straniere) all'arrivo. Sono pochi i Paesi pieni di dementi come il nostro...

                                  Piero Visani



martedì 10 marzo 2020

Il mio "Vaffa Day"

       Iniziare una giornata compilando moduli di autocertificazione per moglie e figlio, di modo che possano recarsi in Comuni limitrofi a quello di residenza, secondo le migliori tradizioni dell'Unione Sovietica staliniana, ha colmato la mia vita già scarsissimamente relazionale (non esco quasi mai di casa, non sento la necessità di incontrare e relazionarmi con "umani", affetti o meno che siano da Corona virus) di una componente che invero le mancava, vale a dire un "vaffa day". Per contro, a scrivere minchiate burocratiche, nel giro di una mezzora ho lanciato un numero di "vaffa" superiore a quello di qualsiasi manifestazione "grullina" e ho anche potuto ringraziarli - a modo mio - con tutto l'affetto che va rivolto ai finti libertari, ai securitari, ai giustizialisti. A tutti coloro che si sentono soddisfatti quando possono dire: "la galera rende liberi" e magari risiedono nell'ameno paesino di Sant'Ilario, sebbene si capisca che non hanno fattezze né movenze né redditi da missionario...
A costoro, con il loro pseudo-azzimato "avvocato del popolo" (sic), è dedicato il mio personale V-Day, perché - si sa - "il campo (di concentramento) rende liberi"...

                                            Piero Visani



Stiamo lavorando per voi...


Ma voi non potrete lavorare e magari neppure andarci (a lavorare), per cui i più "fortunati" moriranno di corona virus; gli altri, molto più semplicemente, per disoccupazione, povertà e fame. Come sempre, "dobbiamo distruggervi per salvarvi"...
Tutte vecchie storie, tutte dannatamente uguali, tutte regolarmente diffuse dagli "amici (e avvocati...) del popolo" e tutte regolarmente "bevute" dai "legittimi destinatari". Prosit.

                                                  Piero Visani

Il potere del mito

Questo è il titolo dell'ultimo numero di "Limes - Rivista italiana di geopolitica" (2/2020). Preceduto da un eccellente editoriale del suo direttore, Lucio Caracciolo, scritto in quel linguaggio fantasticamente immaginifico che gli è proprio, la lettura parziale di questo numero mi ha indotto ad alcune riflessioni:
1) "Il potere del mito" è un titolo che si attaglia alla perfezione alla situazione italiana di questi giorni, dove una gestione incredibilmente amatoriale di una catastrofe comunicativa ha prodotto una situazione altamente mitopoietica, i cui cascami vediamo quotidianamente in azione a vari livelli. Lucido esercizio di terrorismo mediatico, direi ormai "corona"-to da successo, e pronto a essere iterato ad altri livelli e in altri campi, non appena se ne presenterà l'occasione...
2) Mentre il "potere del mito" si conferma, appare tuttavia chiara la natura leggendaria (dunque non credibile e non creduta più da molti, se non da coloro che ne traggono solide prebende e posizioni di potere) dell'economicismo europeo, l'essere l'UE una leggenda economicista, oggi sempre più in crisi e pronta - quando il potere del mito avrà prodotto i suoi auspicabili effetti a livello economico - a essere oggetto di contestazioni sempre più forti, da parte di popoli ridotti in gravissima povertà e dunque, messi con le spalle al muro, a rischiare qualcosa per liberarsi dai propri sfruttatori e affamatori.
3) L'economicismo, la visione economica della vita associata e della politica, non serve più a nulla, se non ad assicurare povertà, fuoriuscita dalla storia e servaggio, il che conferma che la UE ormai è postuma e la gente crederà sempre meno alle sue risibili parole d'ordine.
4) Su questo sfondo si impone - terribile ma al tempo stesso bellissimo, perché gravido di futuro - il cruciale quesito leniniano: "Che fare?". Sto riflettendo da tempo su questo interrogativo e ci sto riflettendo ancor più nel momento che il "mito virale" - si tratti o meno di un fenomeno di "guerra ibrida" e/o di una "moltiplicazione di potenza" (o di impotenza...) - pare essere in grado di modificare dal profondo tutti gli scenari che abbiamo conosciuto fino ad oggi e a far lievitare, per mezzo di dolori e sofferenze, come accade sempre nella storia, situazioni, ipotesi e opzioni nuove.
Come sarà, l'anno che verrà? Occorrerà prepararvisi, bramosi di novità anche sconvolgenti la morta gora dell'UE dei "beati possidentes". Questa è la verità: servono nuovi miti: di crescita, di libertà, di potenza. Il resto è roba per soggetti che valutano tutto a colpi di PIL e di ville che riescono a costruirsi di conseguenza...

                                               Piero Visani



Una catastrofe comunicativa


Nel corso della mia lunga esperienza professionale nel campo della comunicazione politico-militare, mi sono trovato a fare i conti con situazioni non propriamente facili come il "caso Ustica" e parecchie questioni successive, come "la notte di Bellini e Cocciolone" durante la prima Guerra del Golfo (febbraio 1991) o lo scontro del "check point Pasta" a Mogadiscio (2 luglio 1993).
Tutte crisi comunicative molto gravi, talvolta gestite da un team di "crisis management", talaltra svolte in collaborazione tra istituzioni diverse, nel palese intento di minimizzare gli effetti della crisi stessa.
La logica che ispirava i singoli interventi era sempre quella del "troncare, sopire..." di manzoniana memoria e non pochi erano i professionisti della comunicazione chiamati a dare il loro contributo di competenze per una gestione degli eventi che fosse, se non proprio positiva, di certo non eterotelica...
Nessuno di essi - questo va detto - si era formato alla scuola del "Grande Fratello", ma tutti avevano un solido retroterra di esperienze e tutti avevano in mente un concetto ben chiaro: NESSUNA CRISI COMUNICATIVA, PER QUANTO GRAVE, DEVE AVERE LA POSSIBILITA' DI TRASFORMARSI IN CATASTROFE COMUNICATIVA, perché un evento del genere rende le crisi ingestibili e le trasforma in eventi di estrema nocività per un Paese.
Quel che vedo in questi giorni, mi rende perfettamente consapevole del fatto che, oltre a un governo di dilettanti allo sbaraglio, abbiamo pure un esecutivo di amanti del suicidio collettivo e di Stato, di deliberati affossatori di un Paese e della sua economia, magari con la scusa di tutelare la salute pubblica con provvedimenti la cui logica ricorda il Comitato di Salute Pubblica di giacobina memoria. Diciamolo con chiarezza una volta per tutte: la "scuola della vita" e quella "della strada" insegnano al massimo a fare le peripatetiche, e forse è pure troppo...

                                                        Piero Visani

La seconda Italia


La fotografia del capitano Gennaro Arma, comandante della nave da crociera "Diamond Princess" ormeggiata al porto di Yokohama, che abbandona per ultimo la sua nave, nell'elegante tenuta d'ordinanza, ha fatto per nostra fortuna il giro del mondo, risollevando un minimo l'ormai inesistente prestigio internazionale di un paese governato da dilettanti allo sbaraglio, diffusori di notizie false e tendenziose, nevrotici schizzati e comunicatori (più che profeti...) di sventura.
Esiste in effetti un'Italia un po' diversa da quella degli Schettino, un'Italia di gente che non abbandona la nave che affonda per prima, che non ha bisogno di farsi dire "comandante, torni a bordo, cazzo!", perché conosce le regole sempiterne della marineria e si sentirebbe un verme se non le osservasse. Ovviamente nessuna università del "bel Paese" chiamerà mai il comandante Arma a fare lezioni di "gestione delle crisi", come accadde invece a Schettino, ma - se qualcuno lo chiamasse - vorrebbe dire che non siano più in Cialtronia e questo appare davvero il sogno di un inizio primavera.
In effetti, quelli che si comportano come il comandante Arma non sono italiani di prima classe, ma di seconda, anzi di terza o di quart'ultima, perché contano niente, non hanno diritto di parola, non hanno alcunché da insegnare al prossimo e - se qualcuno li chiama molto inopportunamente "eroi" - hanno il buon gusto di ricordare ai loro (falsi) apologeti che nel fare il proprio dovere non c'è alcunché di eroico, ma ci sono rispetto delle tradizioni, etica professionale, buon gusto; in una parola, stile. E lo stile è l'uomo e questa è la ragione per cui, in un Paese ormai del tutto privo di stile, mancano sempre più clamorosamente gli uomini.
Chi conosce le tradizioni della marineria militare, del resto, sa che questo è il Paese dei Durand de la Penne, dei Borghese, dei Fecia di Cossato e dei Bergamini, ma anche quello dei Persano, dei de Courten e dei Maugeri. Sappiamo che - per vocazione antica - l'Italia ha scelto di privilegiare i secondi, e mal gliene incolse. Questi ultimi, peraltro, non sono andati mai a fondo con le loro navi e tanto meno ne sono scesi per ultimi. Hanno preferito portare con sé una Nazione intera, peraltro saldamente convinta che "i furbi, come sempre, non affogano". E il prestigio internazionale di cui oggi essa gode dimostra che forse non è propriamente così...


Piero Visani

giovedì 27 febbraio 2020

Rampa di lancio

       Mancano poco più di tre mesi alla pubblicazione del mio libro "Storia della guerra nel XX secolo" (OAKS Editrice, Milano 2020, 240 pp., prezzo 18 euro, in uscita il prossimo 15 giugno), ma il suo predecessore, "Storia della guerra dall'antichità al Novecento" (OAKS Editrice, Milano 2018, 195 pp., prezzo 15.30 euro) continua a comportarsi egregiamente: ieri era risalito al 14° posto della classifica IBS di settore e oggi è al 15°. Come tale, può fungere da positiva rampa di lancio per la vendita del suo seguito, il quale - trattando solo della guerra nel Novecento e agli albori del nuovo millennio - dovrebbe certamente avere un pubblico potenziale più ampio.
       Mi immagino che si potrebbe anche tentare una vendita in abbinamento dei due volumi, magari al traino di un quotidiano nazionale.
       Al tempo stesso, sto raccogliendo una vasta documentazione per scrivere un saggio sulla "guerra ibrida", latamente intesa, che dovrebbe costituire il mio prossimo impegno polemologico, il protrarsi del mio tentativo di "pensare la guerra" del presente e soprattutto del futuro.

                                              Piero Visani



lunedì 24 febbraio 2020

L'inferiorità metapolitica

       Dal momento che, quando si parla di metapolitica, l'occhio dei "centrodestri" italici si fa ancora più vacuo di quanto non sia abitualmente (e lo è già parecchio...), farò un esempio concreto, di quelli che - "con un piccolo aiuto degli amici"... - magari riusciranno a comprendere, visto che si tiene a debita distanza dal disprezzatissimo pensiero astratto: vi risulta che qualche magistrato si sia mosso onde denunciare qualche membro del governo, dal presidente del Consiglio in giù, per comportamento inizialmente molto omissivo nei riguardi del "Corona virus" e per aver parlato molto di razzismo, più che di altre forme di contagio? No, naturalmente. Come pure nessuna denuncia al Tribunale dei ministri, come accadde in passato a un ministro degli Interni. Tutti silenti, "allineati e coperti", per nulla attenti alle molte omissioni di controllo e alle troppe restrizioni alla libertà dei cittadini degli ultimissimi giorni.
Non controllare il Deep State, lo "Stato profondo", e non riuscire a fare politica a causa di tale mancato controllo: questa è inferiorità metapolitica, grave.

                                               Piero Visani


domenica 9 febbraio 2020

America contro Iran

       L'ultimo numero di Limes - Rivista italiana di geopolitica (n. 1/2020) è dedicato ad un tema di strettissima attualità come "America contro Iran". Tra vari contributi di notevole livello, spicca quello del generale Carlo Jean, che ho sempre considerato un mio maestro, ricco di gustosi (e piccanti...) commenti sulla "politica estera" italica in generale e sulla questione libica in particolare, dove si leggono giudizi di questo tenore: "sembra che la politica estera sia divenuta una trasmissione televisiva tipo Grande Fratello. Non credo che neppure coloro che vengono giustamente chiamati "dilettanti allo sbaraglio" abbiano pensato di poter influire [sulla medesima] cercando di allestire un doppio incontro con Haftar e al-Sarrag sull'andamento della crisi in Libia" [p. 243].
      E la chiusa dell'articolo (significativamente intitolato A ridatece er puzzone, pp. 241-245) vale l'acquisto (o quanto meno la lettura) dell'intero numero della rivista: "La questione libica non dovrebbe essere affrontata dal nostro paese come se si trattasse di una campagna elettorale interna. Passi che le invocazioni pacifiste vengano dal Vaticano. E' il suo mestiere farlo. E' anche comprensibile che l'attuale pontefice trascuri quanto detto da Giovanni Paolo II in riferimento alla prima guerra del Golfo, ovvero di non essere pacifista, ma di essere per la pace. Quando è in atto una guerra, se ne può imporre la fine o una tregua. Non lo si può fare con la semplice maledizione della guerra. Ci si pone così al di fuori della storia. Prima o poi si cade nel ridicolo. Purtroppo il nostro paese lo sta facendo, con grande sollazzo internazionale, come ad esempio nominando un comico a rappresentarci nella commissione dell'Unesco. Speriamo che non si insista troppo sulla partecipazione al "tavolo di lavoro" della Russia e della Turchia sulla pace in Libia, su embarghi non imposti con la forza o su cervellotiche no-fly zones, sparate come proposte geniali da parte di consiglieri strategici atterrati dalla Terra dei Fuochi alla Farnesina" [p. 245].

       Vagamente crudele, la conclusione, ma un giusto e dovuto riconoscimento ai perduranti seguaci dell'"uno vale uno"...

                                  Piero Visani




giovedì 30 gennaio 2020

Wellingtoniana e... Salviniana

       Dal momento che mi pare di capire - da certi comportamenti - che non solo si intende insistere in strategie comunicative totalmente errate, ma si vuole pure accentuarle, ricorrerò all'aneddotica, soluzione immaginifica adatta a penetrare (forse...) nelle menti più semplici e meno provvedute...

       Notte fra sabato 17 e domenica 18 giugno 1815. Piana di Waterloo. La giornata è stata afosa e il calare delle tenebre non ha portato refrigerio. Qualche tuono annuncia che presto potrebbe scoppiare un temporale anche di forte intensità, ma per il momento ancora si fa attendere.
       Nel quartier generale britannico, nei pressi di Mont Saint-Jean, gli aiutanti di campo (molti dei quali giovani e giovanissimi rampolli della nobiltà inglese) e gli ufficiali subalterni si affollano intorno al loro comandante, il duca di Wellington, certamente per trarre conforto e sicurezza dalla sua calma glaciale. Per alcuni, che per ragioni anagrafiche non avevano potuto prendere parte alla Guerra Peninsulare in Spagna e Portogallo (1808-1814) contro i francesi, quella che si annunciava per l'indomani era la prima grande battaglia della loro vita (e per non pochi di essi sarebbe stata anche l'ultima...)
       Il desiderio di avere indicazioni su cosa sarebbe potuto accadere il giorno dopo era troppo forte, per cui i più audaci azzardarono a chiederlo al loro comandante: "Vostra Grazia, che cosa accadrà domani?".
       Con il suo consueto, nobiliare distacco, il "Duca di ferro" [così era soprannominato] li guardò con l'aria serena di un comandante che di battaglie ne aveva vinte molte, contro i francesi, e rispose: "Verranno su alla solita vecchia maniera [si riferiva al fatto che i francesi erano soliti attaccare in colonne di battaglione, invece che in linea] e noi li batteremo alla solita vecchia maniera" [vale a dire con i reparti schierati in linea, che potevano sviluppare un volume di fuoco nettamente superiore a quello dei francesi, come era accaduto a partire dalla battaglia di Maida, in Calabria, nel 1806, ed era continuato per tutta la Guerra Peninsulare, senza che i comandanti francesi - salvo pochissime eccezioni - si accorgessero della natura del problema].
       Questo accadde puntualmente anche il giorno dopo, a Waterloo.

       L'aneddoto serve solo a ricordare che l'iterazione di tattiche e strategie già dimostratesi perdenti in varie occasioni, specie quanto si va all'attacco di gente molto abile nella difesa, serve solo a perdere una volta di più e forse sarebbe meglio cambiarle. Forse...

                                                             Piero Visani


domenica 19 gennaio 2020

"Storia della guerra nel XX secolo"

       Ho appena consegnato il mio ultimo libro, Storia della guerra nel XX secolo, all'editore, Luca Gallesi di OAKS Editrice, Milano, che mi ha confermato che intende metterlo subito in lavorazione. Quando uscirà, venendo dopo a Storia della guerra dall'antichità al Novecento (OAKS Editrice, Milano 2018), questa sintetica cavalcata storica dalle guerre dell'antichità greca a quelle odierne, con qualche anticipazione su quelle del futuro, sarà infine completata, come mi ero ripromesso di fare nel 2017. Ora si tratterà di capire a quali temi dedicare i miei prossimi lavori: c'è un progetto su una biografia del generale americano Douglas MacArthur e il mio sogno di fare uno studio ad ampio spettro sulla guerra ibrida, ma ancora, in merito a quest'ultimo, non ho preso una decisione definitiva.
        Quel che è certo è che, mentre ruit inreparabile tempus, si accresce l'urgenza di lasciare qualche testimonianza dietro di me. "L'uno vale uno", in questi campi, è frutto più della capacità di scrittura del singolo Autore che dell'analfabetismo di ritorno (e anche di andata...) di un pubblico distratto. 

                                                                                                     Piero Visani



mercoledì 8 gennaio 2020

La storia siete voi...

        Uscita dalla storia nel 1945, per le note vicende belliche, e mai più rientratavi per le scelte politico-culturali delle sue classi dirigenti, l'Italia ha ritenuto per decenni che la sua fosse una condizione privilegiata e immutabile, ha sviluppato una cultura ad hoc, quella dell'eterna vacanza (intesa nel significato originale di "assenza") da tutto e da tutti, e ha ritenuto che ciò potesse giovarle moltissimo.
       Il risultato dell'Italia è oggi del tutto analogo a quello dell'Alitalia: è talmente disastrata, sotto tutti i punti di vista, che non solo non interessa più ad alcuno, ma nessuno la vuole neppure comprare, visto che nessun acquirente ha ambizioni di farsi carico di un cumulo di debiti e di una solida categoria di nullafacenti.
       Quanto alla politica estera, la logica dell'"uno vale uno" ha portato a diventare il titolare di quel fondamentale dicastero un "politico" che - come emerge da un gustoso ritrattino dedicatogli da Mattia Feltri su "La Stampa" di oggi - ritiene che le vendite di parmigiano reggiano siano più importanti delle scelte fondamentali di politica internazionale e che, richiesto dalla dirigenza di Tripoli di fornire armi e sostegno politico-militare, spera di potersela cavare fornendo qualche stantia frase di solidarietà, per cui al nostro posto arriva subito la Turchia (adeguatamente fornita di quanto richiesto da al-Sarraj).
       La scelta - certo non solo dei 5 stelle, ma della quasi totalità dell'Italia repubblicana - di uscire dalla storia per sempre ci ha portato allo "zero vale zero", che è il nostro valore attuale, non spendibile ovviamente su alcun mercato. Il mondo resta e resterà quello che è sempre stato: un posto dove contano il peso politico, la potenza militare, i fatti concreti e non le belle parole. Parafrasando Battiato, "il giorno del giudizio" - che si avvicina a grandi passi, perché la Storia non è finita, anzi sta accelerando - "non [vi] servirà il politichese". Il destino dei deboli - e noi lo siamo, ancor più culturalmente che economicamente o politicamente - è il servaggio. Eccoci.

                                                     Piero Visani