martedì 10 marzo 2020

Una catastrofe comunicativa


Nel corso della mia lunga esperienza professionale nel campo della comunicazione politico-militare, mi sono trovato a fare i conti con situazioni non propriamente facili come il "caso Ustica" e parecchie questioni successive, come "la notte di Bellini e Cocciolone" durante la prima Guerra del Golfo (febbraio 1991) o lo scontro del "check point Pasta" a Mogadiscio (2 luglio 1993).
Tutte crisi comunicative molto gravi, talvolta gestite da un team di "crisis management", talaltra svolte in collaborazione tra istituzioni diverse, nel palese intento di minimizzare gli effetti della crisi stessa.
La logica che ispirava i singoli interventi era sempre quella del "troncare, sopire..." di manzoniana memoria e non pochi erano i professionisti della comunicazione chiamati a dare il loro contributo di competenze per una gestione degli eventi che fosse, se non proprio positiva, di certo non eterotelica...
Nessuno di essi - questo va detto - si era formato alla scuola del "Grande Fratello", ma tutti avevano un solido retroterra di esperienze e tutti avevano in mente un concetto ben chiaro: NESSUNA CRISI COMUNICATIVA, PER QUANTO GRAVE, DEVE AVERE LA POSSIBILITA' DI TRASFORMARSI IN CATASTROFE COMUNICATIVA, perché un evento del genere rende le crisi ingestibili e le trasforma in eventi di estrema nocività per un Paese.
Quel che vedo in questi giorni, mi rende perfettamente consapevole del fatto che, oltre a un governo di dilettanti allo sbaraglio, abbiamo pure un esecutivo di amanti del suicidio collettivo e di Stato, di deliberati affossatori di un Paese e della sua economia, magari con la scusa di tutelare la salute pubblica con provvedimenti la cui logica ricorda il Comitato di Salute Pubblica di giacobina memoria. Diciamolo con chiarezza una volta per tutte: la "scuola della vita" e quella "della strada" insegnano al massimo a fare le peripatetiche, e forse è pure troppo...

                                                        Piero Visani

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