giovedì 28 febbraio 2013

Sono il signor Wolf. Risolvo problemi

       Quando nella vita della mia società sorgono problemi, io assumo il ruolo di Winston Wolf in Pulp Fiction (del resto, vi immaginate qualcuno più di me adatto a interpretare un film del genere, uno di quelli che amo di più in assoluto). Come il signor Wolf, io risolvo problemi. C'è un cliente che si è comportato scorrettamente da "sanzionare"? Ecco che arriva Winston Wolf, cioè io. I miei soci mi chiamano. Risolvo problemi in quanto sono il più adatto a distribuire bastonate [metaforiche]. Pare che il ruolo mi si attagli alla perfezione: c'è un socio fedifrago da cacciare? Arrivo io. Un cliente moroso nei pagamenti da sollecitare? Chiamate Piero.
       E' da quanto avevo vent'anni o giù di lì che mi toccano questi ruoli. Non posso dire che li gradisca particolarmente, ma li svolgo. E li svolgo volentieri quando ritengo che il sottoscritto, i miei soci o la nostra società siano stati presi per i fondelli, o si sia tentato di farlo. Sono infatti piuttosto tranquillo e calmo di fronte agli attacchi frontali. Mi disturbano poco, non sento nemmeno granché la necessità di schivare il fuoco nemico. Per contro, divento una iena se cercano di prendermi/ci in giro.
       Sono sempre stato così, ho sempre fatto così. Mi sono attirato un'infinità di strali. Ma, se guardate bene, riconoscerete che:
a) non attacco mai nessuno. Difendo la mia società e/o me stesso;

b) mi difendo dalle neutralizzazioni, cioè da i tentativi di "ammazzarti" condotti dicendoti non "quanto ti odio!" ma "quanto ti voglio bene!", dunque infinitamente più subdoli.

       Molta gente non lo vuole ammettere, ma questa è pura legittima difesa. Lo so che anche la legittima difesa può fare male, molto male, ma allora, per favore, non attaccateci/mi.
       Ho distrutto amicizie, nel comportarmi così, ma l'ho fatto in tranquilla coscienza. Se uno vuole fare le porcheriole, e viene colto sul fatto, poi i danni e i cocci sono suoi. Io mi prendo gli odi, lui si prende i danni. Che dite, vi pare una buona transazione?
       Come sono solito affermare abitualmente: Nemo me impune lacessit. E poi, ho davvero l'aria di uno che ha voglia di perdonare? Mi prendo sempre tutto sulle spalle: odi, risentimenti, ostilità feroci, dannazioni perenni, silenzi secolari. E allora, dove sta il problema? Io mi sono semplicemente difeso. Qualcuno ha mai detto che le difese siano a costo zero, per tutti?

                            Piero Visani

Luoghi del gusto e dell'anima

       La visita a un cliente mi conduce ad Alba. Amo intensamente questa piccola capitale delle Langhe. La ricordo come un luogo triste e relativamente desolato quando, giovane militante di una parte politica non molto ben vista in quelle zone, la battevo insieme ai miei amici nella improbabile ricerca di consensi. Sempre circondati da diffidenza, talvolta da ostilità anche aperta, portavamo in giro la nostra fede in luoghi desolati, all'epoca ancora classici luoghi della "malora".
       Successivamente c'è stato il boom dell'enogastronomia e Alba è diventata una piccola perla. Lascio l'auto al parcheggio di piazza del mercato e giro per le vie del centro, ancora innevate di fresco.
        L'ufficio del mio cliente è in Via Maestra, cioè nella via principale, ricca di turisti e negozi. Terminato il nostro incontro di lavoro, poiché siamo veramente a due passi, il mio cliente mi invita a una breve colazione al piano terra del mitico ristorante "Piazza Duomo". E' un breve business lunch, il nostro, ma allietato dal luogo e da un cibo magnifico. Il "Piazza Duomo" di Alba, affidato alle cure di un grande chef come Enrico Crippa, è uno dei templi dell'enogastronomia italiana. Non siamo al primo piano, quello dei pranzi e delle cene di altissimo livello, ma anche a piano terra si mangia molto bene. Il luogo, poi, risveglia in me un'infinità di ricordi. Sono stato felice in più di un'occasione, al "Piazza Duomo". Momenti fuggevoli, alcuni degni di essere vissuti, altri conclusisi orrendamente, ma tutti interessanti e importanti, nella mia vita.
       Lascio Alba con dispiacere. Anche se è a 60 km da casa mia, vorrei venirci più spesso, e non sempre ne ho l'occasione.
       Spinto dalla malia delle suggestioni e dall'onda dei ricordi, mi spingo a Cherasco, alla mitica cioccolateria Barbero. Prendo un caffé, mentre osservo le delizie sparse sui banconi e nelle teche. Per un attimo, mi chiedo se fare un omaggio a una persona che so ghiotta di queste delicatezze. La tentazione è forte, ma mi trattengo: il mio gesto sarebbe sicuramente frainteso, ormai. E in fondo lo è stato anche prima. Dunque, se una cosa è vana, non diventerà meno tale in un eventuale secondo tentativo. Meglio lasciar perdere. Se non ci si è capiti prima, non ci si capirà certo adesso, a situazione radicalmente mutata.
       Proseguo verso La Morra, altro paese che amo molto, e mi fermo a fare qualche acquisto mirato in una splendida enoteca. Da lì proseguo verso Dogliani, un po' rallentato dal fatto che le strade sono ancora piuttosto complicate dai residui di recenti nevicate.
       Si sta facendo pomeriggio inoltrato, e decido di rientrare. Ho visitato alcuni luoghi del gusto... e dell'anima. Sono contento. Sono stato bene in quei luoghi, sia prima sia ora. Ero e sono sempre io. Non c'era un simulacro di me, come mi è successo talvolta, quando ero in compagnia di qualcuno che pareva esserci, e in realtà non c'era. Tengo molto a queste differenze fondamentali, perché sono scelte di sincerità. Prendere in giro le persone è molto brutto, molto sgradevole e infinitamente più offensivo che prenderle a male parole. Quando si è ostili, o indifferenti, o profittatori, occorrerebbe avere il coraggio di esserlo di fronte. D'accordo che - come diceva il Manzoni di don Abbondio - "chi il coraggio non ce l'ha, non se lo può dare..." Però il rispetto del prossimo dovrebbe essere un valore degli apologeti dell'umanesimo. O sbaglio...?

                                    Piero Visani

mercoledì 27 febbraio 2013

Sospensione temporale

      Non so se capiti anche a voi, ma per me il tempo ha una dimensione dinamica, non statica. Ci sono momenti della vita, o della giornata, in cui i minuti paiono correre affannosi e altri in cui tutto tende a rallentare, fino quasi all'immobilità.
      Da una decina di giorni a questa parte, pur in mezzo a moltissimo lavoro e a crescenti impegni, pur in presenza di qualche piacevole novità sul piano personale, il mio tempo si è come rallentato, fino a fermarsi. C'è come una voce interiore che mi spinge a riflettere, a pensare, ad analizzare, a speculare. E così mi sono quasi fermato. Intendiamoci, continuo a fare tutto come prima, più di prima, ma il mio tempo interiore si è come fermato, stabilizzato, sospeso.
       Sto riflettendo molto. Penso a me stesso, alle cose che ho fatto e sto facendo, alle scelte che ho compiuto, alle decisioni che ho preso. La mia esistenza mi appare un po' scialba e noiosa. Gradevole, ricca di inattese svolte positive, ma un po' priva di krisis, di trasformazione creativa.
       Mi sento appagato, per certi versi, ma statico. C'è poca adrenalina, molta prevedibilità; poca o punta avventura. Come se stessi vivendo in un limbo, in una condizione "limbale".
       Sto bene, ma l'interrogativo che si agita nel mio profondo è: "mi piace davvero stare bene"? Dove sono gli stimoli, la ricerca, gli spunti?
       Ho trovato un po' di gioia, questo sì, grazie a una serie di circostanze fortunate. Ma mi manca una missione, e dovrò trovarmela alla svelta. Meglio ancora se sarà una mission impossible. Voglio rimanere fedele a me stesso, non modificare la mia identità. Intendo rimanere una persona interessante, un intellettuale cerebrale e stimolante. Non desidero scivolare nella banalità. Comprimo ulteriormente il mio tempo libero, per pensare di più. Per mia fortuna, ho trovato una persona molto interessante, con la quale dialogare. Tuttavia, siamo ancora in fase di studio; ci stiamo analizzando, "pesando". E' una persona di vivida intelligenza, ma comprensibilmente ancora diffidente. Certamente si sta interrogando su di me. Mi viene da sorridere: in una maniera o nell'altra, suscito sempre così tanti interrogativi... Nella prossima vita, spero di nascere totalmente idiota, così avrò un vasto pubblico femminile, e con le difese abbassate. Mi viene inevitabilmente in mente il monologo di Trainspotting: "sarò un pezzo di merda! Sarò come voi!". L'affinità mi aiuterà nella conquista...

                                Piero Visani

Le vite degli altri

       E' piacevole, e al tempo stesso spiacevole, pensare a quante "vite degli altri" si intersechino, nel corso della propria. Alcune di queste intersezioni sono decisive, altre feconde, altre negative, altre ancora sfumano nel disinteresse più totale.
       Sono sempre stato interessato alle "vite degli altri", non per curiosità, ma per le potenzialità feconde di intersezione che dall'incrocio tra vite diverse possono nascere. Oggi, poi, cerco tali intersezioni più di quanto non facessi in passato, quando ero più solipsista.
        Molte di queste intersezioni si sono rivelate positive, alcune decisive, altre si sono dimostrate delle grandi o addirittura enormi occasioni perdute. Queste ultime pesano un poco sul mio animo. La mia vita non ne è piena, ma in qualche caso si sono verificati degli incroci che si sono dimostrati delle autentiche sliding doors. Se quelle porte si fossero aperte, le cose sarebbero potute andare in un modo; poiché non si sono aperte, sono andate in un altro.
         Non mi sento di recriminare su tali incroci. Quasi mai, quando si sono verificati, ho deciso io. In genere, hanno deciso gli altri per me, e non hanno deciso in mio favore.
        Prendo atto, ho sempre preso atto. Ho seguito una mia linea, ho detto e fatto quello che ritenevo giusto. Poi sono passato oltre, com'era inevitabile che facessi.
        Oggi, con la veneranda età che mi ritrovo, mi porto dietro una parte non trascurabile di "vite degli altri". Mi lasciano una nota di amaro in bocca, ma cosa posso fare? Ho seguito il mio gusto di assoluto, in ogni circostanza, e quello certo non mi ha giovato. Ma era quanto mi diceva di fare la mia indole. Nei casi cui tenevo di più, ho ricercato varie forme di mediazione, che per me sono davvero il massimo indizio di quanto possa tenere a qualcosa o a qualcuno, perché in genere non mi abbasso mai a mediare. E quando ho visto che era tutto inutile, sono andato per la mia strada, non potendo fare altro e non volendo diventare un'altra persona.
        Sono dispiaciuto di aver lasciato per strada tante persone interessanti, talvolta anche care. Lo reputo uno spreco di vita di dimensioni macroscopiche: uno spreco di relazioni, di intersezioni, di potenzialità, di dialogo, di interscambio a tutti i livelli. E tuttavia, in taluni casi, non sono stato disponibile io. In altri, non sono stati disponibili i miei interlocutori. In altri ancora non siamo stati disponibili entrambi. Non è stato trovato un punto di convergenza e, quando quel punto non c'è, non è individuato allo stesso modo, non è condiviso, le vite degli altri diventano una lancia che trafigge le nostre, poiché ci spingono sul versante della residualità. Molti mi hanno accusato, nel corso della mia vita, di essere eccessivamente radicale, nei miei comportamenti e nelle mie scelte. Non posso negare che ci sia del vero, in questa affermazione; ma posso aggiungere, con piena cognizione di causa, che, ogni volta che ho ritenuto giusto, opportuno e indispensabile mediare, l'ho sempre fatto.
       Spesso non è bastato e ovviamente ne ho preso atto. La mia valigia delle occasioni perdute non è più o meno piena di altre. E' forse più piena di soggetti interessanti, perché per natura io sono sperimentatore ed esploratore, e cerco solo questo tipo di soggetti. Ma ho sempre saputo, fin da giovane, che i "percorsi di confine" possono avere un costo molto elevato e che non c'è nessuno più incompreso, isolato, disprezzato e criticato di chi ama andare costantemente oltre, di chi desidera sempre spingersi - ed essere - altrove. Lo sapevo, lo so che ne avrei pagato un prezzo, anche molto elevato. Avrei dovuto comportarmi diversamente? E il rispetto di me, della mia visione del mondo, avrei dovuto e dovrei buttarlo via? Io amo proporre, molto più che mediare. Se non vengo compreso, prima ancora che valutato e/o stimato, che posso farci? Capisco bene che le mie proposte possono non essere gradite. Ma mi vedete, davvero mi vedete immerso nella banalità dell'ordinarietà? Perché dovrei spegnermi nella normalità, nella prevedibilità dei ruoli, nelle posizioni subalterne, nel posizionamento in qualche scaffale, insieme ad altri esemplari, meno o più (ma ne esistono...?) interessanti e intellettualmente dotati di me? Toglietemi tutto, ma la mia singolarità no. L'omologazione, quella non l'ho mai sopportata, non la sopporto e non la sopporterò mai.

                                                     Piero Visani

L'istinto di conservazione

      Ciascuno di noi sa, per esperienze fatte o conoscenze acquisite, che qualunque organismo umano, prima di rassegnarsi a morire, tenta di reagire. E' l'istinto di conservazione a dettargli quel tipo di comportamernto, per garantirsi una qualche estrema possibilità di sopravvivenza.
       Trovo dunque sorprendente il modo con cui le élites politiche e sociali italiane guardano al fenomemo grillino. In effetti, che bisogno hanno di reagire, e a che cosa, coloro che per potere, denaro e relazioni si spartiscono tutto ciò che è spartibile in questo Paese? Che cosa significa la crisi, per loro? Comprare una Ferrari in meno? Rinunciare alla sedicesima casa, limitandosi "solo" a quindici? Fare una vacanza di sette settimane, invece che di otto? "Gravi" rinunce, sia chiaro, ma in ogni caso si attiva la rete delle solidarietà. E, se si guarda ai curricula dei loro rampolli, si nota che la loro carriera è cominciata in un consiglio di amministrazione, come minimo; in una cattedra universitaria, in un primariato, in un posto caldo in parlamento. Tutti gli altri - si sa - sono degli "sfigati" e qualcuno, tra i membri più stupidi della nostra classe dirigente, ha avuto anche l'impudenza di dirlo...
        Per gli altri, beh, per gli altri restano le briciole: magari hai due master in economia o giurisprudenza, ma, se non hai le conoscenze giuste, il tuo destino è un call center, o, se sei fortunato, quello di fare da balia a un perfetto coglione, al quale dovrai fare tutto, perché non sa fare niente, ma la bella figura la farà lui, perché lui è al posto di comando, lui ha le relazioni giuste, lui sarà sempre il tuo capo.
        Le ricchezze, gli agi, il senso di impunità, la mancata circolazione delle élites rendono profondamente ottusi, si sa. Si è contenti delle proprie ricchezze, le si sfrutta, non ci si guarda attorno, non ci si aggiorna. Tanto, si è al vertice "per grazia ricevuta". Dunque, "a che te serve...?".
         Il mondo però va avanti, si complica, si sviluppa, e le ingiustizie, tanto più si fanno macroscopiche, tanto più diventano difficili da giustificare. Si manifestano moti di ribellione e volontà di cambiamento, ma chi ha la pancia piena non si accorge di niente. Guardate le facce di coloro che sono stati "trombati" alle elezioni politiche: l'aria di incredulità che li pervade è totale. Le loro facce sono simili a quella di Lord Cornwallis, comandante delle truppe britanniche, al momento della resa di Yorktown (1781), l'atto decisivo della Rivoluzione Americana: non credono ai loro occhi e fanno suonare alla banda The World turned upside down (certo, ma solo per loro, fortunatamente...).
         Quando una classe dirigente è ricca, ladra, potente e stupida, non è mai un bene per una Nazione e per un popolo, perché abdica alla propria funzione dirigente e, da presunta aristocrazia, si trasforma in reale cleptocrazia, immersa per di più nella beata e soddisfatta ignoranza. Gli italiani, purtroppo, viaggiano poco e, quando lo fanno, si rinchiudono in villaggi per turisti stupidi, ma, se si guardassero un po' intorno, si accorgerebbero di quanto il mondo è andato avanti, mentre noi siamo rimasti fermi, a considerarci i migliori del mondo: piccoli Paesi interamente cablati, sistemi telefonici che funzionano alla perfezione, servizi efficienti, istruzione di alta qualità assicurata a tutti i livelli.
          Viene in mente Giorgio Gaber, un autentico profeta: "E l'Italia giocava alle carte, e parlava di calcio nei bar...". Fortunatamente, però, c'è un ma: prima di morire, prima di lasciarsi uccidere da una classe dirigente bastarda, infame, ladra e autoreferenziale, gli italiani si stanno chiedendo se valga la pena lasciarsi sopprimere così, mentre altri se la spassano. E questi altri, che temono di rischiare di finire di spassarsela, affermano con la solita sapiente alterigia: "ah, questi stupidi si sono affidati a un comico!". E' vero, ma occorre una precisazione importante: un comico fa il cialtrone di professione, non lo è necessariamente di natura, come lo sono indiscutibilmente i suoi critici. E può anche permettersi il lusso di essere modesto. Mentre i detentori di lauree regalate, di cattedre scambiate e di relazioni para-criminose intrecciate cessino, per favore, di farci la morale dall'alto della loro sesquipedale ignoranza. A continuare così, dove adesso arrivano i comici presto arriveranno gli epigoni di spiantati pittori di acquarelli viennesi. Piacciono...?

                                              Piero Visani

                                                                     

martedì 26 febbraio 2013

Quos perdere vult...

      Un tempo, quando forse c'era maggiore fiducia nella saggezza degli dei, si era soliti affermare: "Quos perdere vult, Deus dementat". Questa massima mi è venuta in mente valutando la reazione di centrosinistra e centrodestra all'affermazione del Movimento Cinque Stelle. Infatti, non contenti di aver mascherato, per anni, dietro a un'inimicizia relativa, una solidarietà assoluta, quelli che furono i due maggiori partiti italiani paiono avviati, ovviamente con tutte le cautele del caso, verso "prove tecniche di grande coalizione".
       Ora è vero che si tratta di due forze politiche che sperimentano una condizione di estrema difficoltà (in particolare il Pd, assoluto "finto vincitore" e vero grande sconfitto di queste elezioni), ma, se pensano di risolverla sviluppando alla luce del sole uno dei tanti pateracchi che in passato avevano sempre tenuto un po' sottotraccia, finiranno per regalare altri milioni di voti a Grillo.
       Come al solito, la burbanza di questi revenants è tale per cui tutto si accingono a fare, meno che autocritica. Sono gli elettori, ovviamente, che non li hanno capiti, non loro che non hanno compreso gli elettori, e si preparano a regalarci un ennesimo atto della tragedia in cui ci hanno coinvolti ormai da decenni. Manca totalmente - e la constatazione è facilissima da fare - il senso del crollo verticale che sta sperimentando questo Paese. Non sperimentando direttamente sulla loro pelle l'enormità della tragedia in atto, le forze politiche tradizionali sono sempre più lontane dai cittadini, ai quali ormai chiedono un'unica cosa: soldi. Questa cecità, che perdura imperturbabile, può portare solo a disastri.
       Senza contare che si sono già messi in atto i meccanismi sotterranei di sostegno: il crollo delle Borse, l'aumento dello spread, la diffidenza dei mercati. Il voto è libero, la democrazia è favolosamente tale, ma sei sicuro che il tuo voto piacerà ai mercati? A quel punto, se non sei del tutto scemo, ti chiedi, del tutto legittimamente: "ma che diavolo vogliono questi mercati, che cosa c'entrano con me, con l'esercizio dei miei diritti fondamentali, e soprattutto perché condizionano il mio voto"?
        Se fai un passo in più, comincerai a chiederti: "ma sono libero, o in libertà vigilata. Vivo in una società che tutela i miei diritti o c'è un 'Grande Fratello?'". E, se farai un ulteriore passo in avanti, ti porrai l'interrogativo fondamentale: "ma perché la mia libertà finisce dove comincia quella dei mercati? Vuoi vedere che la libertà dei mercati è superiore alla mia? E, se sì, perché: c'è un diritto delle cose e del denaro che è superiore a quello dei cittadini?"
        Le risposte a questi cruciali interrogativi non le devo dare io. Dall'esito del voto, pare che molti italiani abbiano cominciato ad esprimere il loro reale parere nei riguardi di un mondo dominato dalla "demonia dell'economia". Quella "demonia dell'economia" che ci ha portato all'attuale "economicidio". Anche se questo blog si intitola Sympathy for the Devil, credo che sia superfluo specificare che, per la demonia dell'economia, simpatia non ne nutre alcuna. Le nostre catene cominceranno a cadere quando misureremo i nostri Pil in felicità, libertà, gioia di vivere, non in indici azionari. Probabilmente non accadrà tanto presto, o forse non accadrà mai. Ma abbiamo non solo il diritto bensì il dovere di sognarlo, e di richiederlo con estrema forza. Ci giova qualcosa vivere come schiavi?

                                                              Piero Visani 

E' all'85°...!

     Milano, zona di Porta Venezia. Colazione in un piccolo ristorante a conduzione familiare, con un amico di una vita. Si parla di tutto un po', si confrontano le nostre più recenti esperienze. Si parla di donne, come spesso succede tra uomini. Donne ignote e donne note. Nel corso della rassegna, il mio amico sbotta: "Ah, quella! Quella ha poco da scherzare, è all'85°!" Il mio sguardo rimane per un attimo interrogativo e il mio amico - sempre rapidissimo nei suoi ragionamenti - sente il dovere di spiegarmi il suo divertente riferimento calcistico: "sì, sai, le mancano cinque minuti al novantesimo, cioè a fine partita. Con un po' di fortuna, possiamo concederle ancora qualche minuto di recupero..., ma poi sarà una ex-professionista" (del calcio, ça va sans dire...).
       L'accenno è troppo divertente, icastico e tagliente, come colui che l'ha profferito. Sorrido, ma potrei anche ridere, perché è un riferimento di una precisione chirurgica. Niente danni collaterali. Dritto sull'obiettivo.
       Lo guardo nel profondo degli occhi. Tutti e due sappiamo, ma nessuno parla. A che serve, del resto? Tutti i giochi finiscono, e non sempre in gloria... Per nessuno.

                                 Piero Visani

Le jeu avec le feu

       La vita è come lo sport: se si rimane fuori allenamento, o se si passa da una pratica sportiva all'altra, le conseguenze possono essere spiacevoli, o comunque difficili da gestire.
       Prendete il mio caso: dopo un lungo periodo di pratica giudeocristiana, fatta di divieti, rinunce, mortificazioni, rifiuti e repressioni varie, mi ritrovo da poco in una situazione nuova e decisamente diversa, caratterizzata da una temperie che non assomiglia in alcun modo alla precedente. Ne sono lieto, ovviamente, ma sono fuori allenamento...
       Abituato a un cumulo di "no" e di "ALT" alto chilometri, a digressioni, limiti, rapporti convenzionalmente definiti di amicizia e fatti di niente, o di scelte di comodo, o di piccoli profitti, o di trastulli per momentanei vuoti esistenziali su altri versanti, una volta rientrato in una dimensione di normalità (in tutti i sensi...), mi trovo in difficoltà. Uscito da un lungo periodo trascorso di fatto in una realtà analoga a un collegio di suore irlandesi, stento a riambientarmi nel mondo normale, con il quale ho perduto familiarità.
       La cosa può fare sorridere, ma vi assicuro che è assolutamente vera. E' incredibile la velocità con cui l'anormalità diventa normalità e io avevo perso da troppo tempo il contatto con la realtà per rendermi conto del fatto che stavo vivendo in un universo alla rovescia. Ne prendo atto ora, e lo faccio gioiosamente e giocosamente. Sono stato in una "casa Magdalene" (cfr. l'omonimo film di Peter Mullan) e troppo tardi me ne sono accorto... Per fortuna, lo scenario che vedo aprirsi davanti a me assomiglia di più a Le jeu avec le feu, di Alain Robbe-Grillet. Inutile dire che lo preferisco di gran lunga, ma posso aggiungere che è stato comunque interessante fare un'esperienza tra i repressi e le repressioni. Da non ripetere, ovviamente... La vita è troppo breve per poter essere vissuta a metà, obbedendo a regole poste da altri. Voglio trasgredire, sempre e comunque. La virtù può attendere. Il senso del limite neppure lo conosco. E le amicizie asessuate, quelle poi...

                                                         Piero Visani

lunedì 25 febbraio 2013

Revolution

     Il 13 luglio 1789, la Francia era piena dei sedimenti della Grande Rivoluzione. Le premesse c'erano tutte, ma erano in potenza, non in atto. L'atto sarebbe venuto il giorno dopo, e nulla sarebbe stato più come prima...
      Niente di tutto questo è ancora successo in Italia, ma - a partire da oggi - alcune cose cominceranno a venire a galla:
- non sarà più così facile, com'è stato fino ad oggi, nascondere le dimensioni del disastro che ci sta coinvolgendo e che è il disastro totale del modello liberal-capitalista;
- non sarà più tanto facile parlare semplicemente di crisi, quando non siamo nemmeno più al declino, siamo al crollo;
- non sarà più tanto agevole occultare il fatto che sono state nascoste enormi cessioni di sovranità e che gli italiani votano "democraticamente" per un parlamento e un governo che non li possono pienamente rappresentare, in quanto i nostri poteri sovrani sono nelle mani dei fautori del governo globale, dei potentati finanziari, delle banche e della burocrazia comunitaria.
      Si è votato, emerge una totale ingovernabilità, ma il dramma più grande, il vero, terribile vulnus inferto ai nostri diritti è che non siamo più, da tempo, un popolo sovrano, anche se ce ne accorgiamo soltanto ora, cioè nel momento in cui vorremmo spezzare le nostre catene.
      Il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo ha colto una enorme, straordinaria vittoria, ma i suoi capi non si facciano illusioni: la vera battaglia comincia solo oggi e sarà una battaglia senza esclusione di colpi, perché sarà - una volta di più - la guerra del sangue, della passione, del cuore, della voglia di libertà, contro l'oro. La guerra dei diritti dei cittadini contro i super-diritti degli ottimati. La guerra dei poveri contro le oligarchie e i potentati. La guerra per decidere il proprio destino, per scegliere tra l'essere liberi o l'essere schiavi.
       Una volta di più, si dimostra che Internet, la Rete, le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione hanno cambiato in profondità il mondo, modificando la natura stessa dello spazio, del tempo, dei rapporti sociali e interpersonali. SI CREANO NUOVE DIMENSIONI, NUOVI LUOGHI, NUOVE DINAMICHE, di cui molti ancora non percepiscono neppure l'esistenza e risultano patetici i "dotti" esercizi di analisi e interpretazione della realtà basati su strumenti cognitivi ormai penosamente superati, datati, inutili.
        Di fronte all'enormità dello scempio di cui è stata oggetto, una Nazione ha compreso che doveva voltare pagina. E, per certi versi, lo ha fatto. Ancora confusamente, con aspettative incerte e sovente messianiche, ma con una constatazione di base profonda e assolutamente condivisibile: RIPRENDIAMOCI IL NOSTRO DESTINO.
        Non sarà facile, non sarà per nulla agevole. Potrà costare lacrime, sudore, sofferenza e probabilmente anche sangue. Il Movimento 5 Stelle ha di fronte a sé scelte difficilissime, ha bisogno di una classe dirigente che sia all'altezza di un compito intrinsecamente rivoluzionario e ha bisogno di rendersi conto che cercheranno in tutti i modi di impedirgli di combattere ad armi pari, che le tenteranno tutte per indebolirlo dall'interno, per corromperlo, per dividerlo.
       Grillo potrà avere successo se non si accontenterà di cambiare il linguaggio o le modalità del fare politica, ma se punterà a cambiare gli uomini. E' un sogno - lo sappiamo bene - ma è l'unico sogno degno di essere sognato, sempre e comunque. E' il sogno di riprendersi la vita e di farla propria, fuori da qualsiasi forma di eterodirezione della medesima. E' il sogno di diventare padroni di se stessi.
       Personalmente, non penso proprio che tale sogno possa avere successo, ma adoro i sognatori, in quanto io stesso sono un sognatore. I sognatori hanno, ai miei occhi, un grandissimo pregio: non portano ragionevolezza. Portano l'irrefrenabile desiderio di andare oltre se stessi. Non ci daranno una vita fatta di cent'anni da pecore, ma forse ci faranno vivere un giorno da leone, che nell'arco di sole 24 ore ci farà capire, e apprezzare, che cosa conta davvero nel nostro venire sulla Terra. Conta essere uomini, con la U maiuscola, e lanciarsi all' "assalto del potere mondiale", contro i "padroni del vapore", sempre, comunque e dovunque. L'Internazionale dei cuori carichi di passione e di pulsioni contro l'algore dei banchieri e dei bancari. Come sempre, nella Storia. Più di sempre. Più che mai.

                                                             Piero Visani

Serenità

       Stamane, sul far del giorno, mentre attendevo di alzarmi, la mia mente si è soffermata su un dato particolare: quante persone, dal 2008 a oggi, si sono preoccupate che io fossi "sereno". L'elenco si è fatto in breve talmente lungo che un forte malessere mi ha investito.
        Non mi ha mai interessato e/o preoccupato essere "sereno". Non so che cosa sia la serenità, sono perennemente in crisi, nel senso positivo del termine, e chiunque si preoccupi per la mia serenità o non mi conosce, o non mi vuole conoscere o non ha mai capito niente di me.
        E' una parola nei riguardi della quale sono sempre in allarme. Quando la sento pronunciare, riferita a me, da parte di qualche persona che mi conosce, capisco che siamo giunti all'ultimo atto: all'ultimo atto di un rapporto, di una relazione, di un'amicizia, di un'intesa, di una confidenza. Si tratta infatti, per me, dell'evidenziarsi della totale incapacità di comprendermi, del palesarsi nei miei confronti di una delle peggiori forme di omologazione.
        Perché dovrei essere sereno? Per essere come gli altri? E allora relazionatevi con gli altri, perché con me? Suggerimento, sia detto fra parentesi, che viene spesso accolto, ma che non mi crea problemi: se sono percepito come uguale agli altri è assolutamente corretto che io venga buttato via, anche rapidamente. Approvo.
         In questi ultimi quattro o cinque anni, un po' troppe persone si sono preoccupate della mia serenità. Non so bene perché. Fossi stato in loro, mi sarei preoccupato, semmai, della mia felicità. Per contro, costoro volevano che fossi sereno. Non potendo o non volendo darmi la felicità, mi offrivano quello che appariva loro come il migliore surrogato della medesima. Il fatto è che io vedo tutti i bicchieri riempiti a metà come mezzi vuoti, non come mezzi pieni. Dunque della serenità non me ne faccio alcunché. Io voglio tutto, sempre e comunque. E, se non arrivo ad averlo, sarò sempre infelice, altro che sereno. Più correttamente, sarò sempre impegnato nello sforzo di cercare di ottenerlo.
       Se non ho tutto, non sto li a contare, a speculare sul fatto che, avendo ottenuto l'80%, sono a 20% di distanza dal tutto. Non mi interessa proprio. Per me l'80% è pari a zero. Punto.
       Ho subito critiche di ogni genere per tale mio atteggiamento. Mi sono sentito dare, nella migliore delle ipotesi, dell'infante. Ma non sono mai cambiato, né ho inteso cambiare. Perché un surrogato di felicità, di fatto lasciato cadere dall'alto con una certa degnazione, avrebbe dovuto farmi contento? Perché andava bene a chi lo lasciava cadere, perché era quello che intendeva concedermi? E se io dichiaravo la mia indisponibilità alla transazione, non ritenendola non dico vantaggiosa per me, ma neppure di un qualche interesse, perché dovevo vedermi addossare tutte le colpe del fallimento della stessa?
       Sono un soggetto prometeico. Amo sfidare gli dei. Dunque figuratevi se ho paura di sfidare gli uomini, o le donne? Se mi viene offerta una transazione che non mi va, non la accetto. Posso avanzare una controproposta, se ne ho voglia; oppure, se non ne ho voglia, mi limito a distruggere scientemente tutto. Detesto i ruoli residuali, e detesto finire in qualche casella o in qualche agenda, come persona cui attingere quando serve. Colui che "è buono per..." Ma scherziamo?!?!
       Niente di tutto questo fa per me. Me ne vado per la mia strada. Ringrazio per il fatto che, al posto della felicità, mi sia stata offerta un po' di serenità, rifiuto cortesemente e passo oltre. Non me ne faccio nulla, delle elemosine, io. Non me ne faccio nulla delle sovranità limitate, dei confini, dei ruoli, delle funzioni. Sono un soggetto totalizzante, totalitario e totalizzante. Non vado bene, pazienza. Gettatemi pure via. Continuerò a cercare il meglio, l'assoluto, la pienezza. So già che mi si dirà che non si può avere tutto. E io continuerò a cercarlo, anche perché non sarete voi a dirmi quel che devo fare. Starò senza di voi? Certo, e voi starete senza di me... Ognuno faccia bene i propri conti, in piena libertà. Io i miei li faccio sempre, e non ho mai rimpianti. Se non posso avere tutto, mi accontento di niente, anche perché prima o poi il tutto arriva... E, se mai non arrivasse, potrò sempre dire di averlo cercato con il massimo impegno. E voi?

                                                                              Piero Visani

Gli interstizi della notte

       Mi piace dialogare con me stesso, "sull'orlo della notte". Il lavoro è cessato, il telefono tace, i familiari si coricano. Io veglio. Leggo, rifletto, penso. Talvolta mi soffermo su quella che è stata la mia giornata. Talaltra rifletto su momenti della mia vita, su episodi, situazioni o storie che mi hanno avuto come protagonista.
       E' un tempo rallentato, quello della notte, dunque è un tempo approfondito, meditabondo, speculativo. Si parla con se stessi, moltissimo. Si valuta, si fanno bilanci.
       Sono sempre stato, a livello caratteriale, una strana sintesi di pensiero e azione. Taluni credono che in me l'azione preceda il pensiero e qundi sovente mi rimproverano una certa impulsività. Li lascio fare, cerco addirittura di trarne vantaggio. Ma io so bene che rifletto sempre su tutto, che faccio tutto in fretta ma mai nulla d'istinto.
        Oggi ho pensato a taluni sviluppi positivi che hanno investito la mia vita e non riesco ad attribuirli altro che al caso. E' vero, la casualità pesa moltissimo sulle nostre vite, immergendoci in situazioni nuove, facendoci conoscere persone diverse, e così via. Ma è lì, a quel punto, che comincia la nostra azione, il nostro modo positivo di interagire con la realtà. Il caso ci può talvolta offrire, quando è fortunato, delle occasioni, ma sta a noi sfruttarle o perderle. Sta a noi dilatare un evento fortuito o spegnerne del tutto le potenzialità, con i nostri errori e le nostre chiusure.
        Noto con piacere che non ho smarrito i miei entusiasmi, le mie curiosità, i miei interessi. Vengo da esperienze recenti che mi sono piaciute poco o punto, ma sono sempre io. Non sono cambiato e non intendo cambiare. La mia "golosità esistenziale" è la medesima e gli stimoli che lancio restano gli stessi. Anche le tristezze e le ferite stanno svanendo. Mi sto esercitando a collocare ogni cosa nella giusta dimensione e noto con piacere che non ho perso fiducia, sicurezza, capacità comunicativa, volontà di dialogo. Riscopro lentamente il giorno, dopo il mio lungo "viaggio al termine della notte". Ho provato repressione, negazione, oscurantismo, rifiuto, rigetto, esclusione, espulsione. Ho sofferto, ma poi, quasi di colpo, ho visto tutto chiaro. Non ho avuto bisogno di aiuti esterni; quelli sono giunti dopo, quando ho cominciato a percepire e recepire dei segnali che, altrimenti, mi sarebbero forse sfuggiti. A quel punto, ma solo a quel punto, l'intersezione con i medesimi è stata naturale e spontanea. Ma non è il mondo esterno che ha cambiato me; sono io che, cambiando, ho modificato il mio rapporto con l'esterno. La "tempesta del dubbio" è cessata. Ora so dove devo andare, e come. E mi piaccio sempre di più; sì, mi piaccio sempre di più. Le politiche di annientamento, se falliscono, possono avere effetti assolutamente eterotelici. Con me è successo, e ovviamente ne sono lietissimo. Dovrei essere morto, e invece sono più vivo che mai. Come vittima predestinata di politiche da "morti viventi", non me la sono poi cavata così male...

                                         Piero Visani

domenica 24 febbraio 2013

O Roma o Orte!

      Cumuli di neve sulla collina torinese. Ma è neve bagnata. Va via da sé, man mano che la giornata progredisce. Non devo nemmeno spalarla insieme a mio figlio. Mi faccio portare da lui, con la sua auto ben attrezzata contro le insidie dell'inverno, in centro a Torino ad acquistare i giornali.
       Rispetto a Revigliasco e Moncalieri, realtà relativamente piccole, intrise di spirito comunitario, a Torino - metropoli di inevitabile strutturazione societaria - di spalare la neve non si è preoccupato alcuno. Davanti alle scuole, vedo anziani, impegnati nell'odierno ludo cartaceo, rischiare il bacino o una gamba per andare a fare il proprio "dovere".
        Mi immagino che, se l'esito del voto non sarà stato positivo, i corifei del centrodestra non mancheranno di allietarci con le loro geremiadi sul fatto che, "quando fa brutto tempo, i moderati non vanno a votare"!
        Singolare genia, questi moderati. Avari in tutto, anche nell'impegno, nutrono una passione politica che si ferma di fronte a 0,1 centimetri di neve bagnata. Sono talmente parsimoniosi che risparmiano anche su questo. Del resto, impegnarsi è un lusso che richiede passione. Voteremo a Ferragosto, se non farà troppo caldo e se non saremo in vacanza...
         La mia mente corre, inevitabilmente, alla parodia che Mino Maccari fece del reboante motto garibaldino - e successivamente mussoliniano - "O Roma o morte"! Con la sua fantastica linguaccia di senese doc, infatti, egli lo trasformò in "O Roma o Orte!", simpatica località del Viterbese, a una sessantina di chilometri dall'Urbe, dove a fine ottobre 1922 le camicie nere vennero fermate per lasciar passare il treno con a bordo il loro duce, diretto nella Capitale per essere ricevuto dal re e nominato capo del governo. Doveva essere una rivoluzione, e divenne una scelta istituzionale... Doveva cambiare l'uomo e il mondo, fece il Concordato con la Santa Sede e si preoccupò di tutelare la monarchia e il grande capitale...
        Sì, noi italiani amiamo tanto le frasi ad effetto, del tipo "O Roma o morte!", ma, nella pratica, le interpretiamo come se, fin dall'inizio, esse fossero state in realtà formulate altrimenti, tipo appunto "O Roma o Orte!". Siamo cialtroni nell'anima, prima ancora che nei fatti. E' un serial lungo millenni. Si attendono repliche (del serial, intendo, non di eventuali epigoni delle varie famiglie pseudopolitiche citate. Quelle si sono già sputtanate benissimo da sole. E' come sparare sulla Croce Rossa. Non c'è gusto...).

                                  Piero Visani

sabato 23 febbraio 2013

Une photo, vieille photo, de ma jeunesse

       Primavera 1969. Foto di classe della III E, Liceo classico statale "Massimo d'Azeglio", Torino. Emerge da un mucchio di vecchie carte, nel mio ufficio. Sono ritratto a fianco di una compagna di classe con cui ebbi un abbozzo di storiella.
       Sono io. Lo sguardo è il mio. L'abbigliamento curato è il mio. Il gilet è mio. Mi piacevano molto già allora. Mi sono piaciuti sempre. Trovo che vestano molto, con eleganza.
       Fuori dal cortile della scuola, in via Parini 8, a Torino, pulsavano i fermenti di un'età di transizione. A dicembre ci sarebbe stato l'attentato di Piazza Fontana, a Milano. L' "autunno caldo" c'era già stato. Ora stavano per cominciare gli "anni di piombo".
       Mi ricordo di un periodo di feste, di paura per l'imminente esame di maturità, poi temperata dal sollievo per il fatto che, per la prima volta a partire dalla riforma Gentile, non si sarebbero più portate all'esame tutte le materie, ma solo due scritte e quattro orali.
       Non amavo per niente il "d'Azeglio", ma ero lieto di esserne allievo, perché dopo tutto era la scuola più prestigiosa della mia città. Mi piaceva abbastanza la mia classe, dove avevo buoni amici. Mi piacevano le ragazze.
       Non sapevo che cosa avrei voluto dalla vita. Avevo dentro di me, allora come ora, un sogno di grandezza. Avrei voluto fare il politico, ma avevo scelto la parte sbagliata in un Paese che non ha mai perdonato chi sta con coloro che perdono. E io sono sempre stato dalla parte di chi perde.
       "Il cuoco di Salò" di Francesco De Gregori era una canzone che non era ancora stata scritta, ma io, a modo mio, ne anticipavo i versi. Per me, per il mio animo intriso - allora come ora - del più totale, assoluto e mai denegato romanticismo, schierarmi dalla parte dei vinti significava interpretare sulla mia pelle un verso bellissimo, il verso più bello che sia mai stato scritto sull'esperienza della Repubblica di Salò, che suona così: "E qui si fa l'Italia e si muore". Attenzione, badate bene, non il garibaldino, di Calatafimi (1860), "Qui si fa l'Italia o si muore", un detto che esprime un'alternativa, un esito possibile, tra vittoria "O" morte. Ma il dolente, dolentissimo spirito repubblicano (o "repubblichino", se preferite) che emerge da "E qui si fa l'Italia 'E' si muore", che non è alternativo, ma conseguenziale, nel senso che, per fare l'Italia così come la mia parte politica di allora l'aveva intesa, non restava altro da fare che morire. Una morte testimoniale, da classici "marturoi", dunque etimologicamente testimoni. I testimoni del sacrificio a un'idea e a un immarcescibile senso dell'onore, perché è lecito, direi addirittura che è normale, per un "soldato politico", perdere la vita, ma non lo è, non lo è stato e non lo sarà mai, perdere l'onore e la dignità. E a noi l'Italia dell'8 settembre davvero non piaceva, era una ferita che lacerava le nostre giovani carni.
        Vivevamo in un mito. Io sono sempre vissuto in vari miti. Di recente, una mia amica psicologa me lo ha rimproverato come se stessi perennemente conducendo un'esistenza parallela. Credo volesse scuotermi, più che ferirmi, ma credo che, molto involontariamente, mi abbia fatto un bellissimo complimento. Lei riconduce tutto a un suo "piano di realtà" che io non so davvero che cosa sia. Io vivo nella mia dimensione, e solo quella mi interessa. Sarà un "piano dell'irrealtà"? Se così fosse, ne sarei lieto e onorato.
        All'epoca, ipotizzavo di fare il docente universitario, capitalizzando sulla mia vasta conoscenza della storia in generale e della storia militare in particolare. Ma sapevo poco o nulla del mondo. I miei occhi, in quella foto, esprimono intensità, e forse anche una passioncella per la ragazza che mi sta a fianco. Non fu nemmeno una vera e propria storia, ma la ricordo con tenerezza, così come si è soliti ricordare il passato. Di una cosa sono comunque orgogliosissimo: già allora avevo in mente una certa idea di me e ancora oggi posso dire di averla sempre messa in pratica e averla sempre rispettata. Quel Piero Visani, non ancora diciannovenne, è qui seduto a scrivere queste righe. E' sempre lui. Era così dieci anni prima, nel 1959; è così adesso. C'è chi mi rimprovera questo mio modo di essere, scambiandolo per una perenne forma di immaturità. Io mi permetto di ritenerlo una fantastica forma di fedeltà a me stesso e alla mia idea di me. E sono attaccatissimo a questa mia visione del mondo. Ho traversato "turbini e tempeste" e, per rimanere nell'immagine "giannananniniana", continuo a ritenermi - con perfetta, assoluta e plastica immodestia - una "meravigliosa creatura". Ho preso tanti sputi, per questo, e sono qua a sorriderne. Prima o poi mi spezzerò, com'è ovvio e giusto che sia, ma non mi sono mai piegato. Ne sono orgogliosissimo.

                                              Piero Visani

Il trionfo della volontà

       E' stato bello assistere, ieri sera, al comizio di Beppe Grillo a Roma. Si riconoscevano tracce antiche, note, gradite. Ancora una volta, un popolo stremato, affamato, deprivato di ogni speranza e di ogni possibile futuro, raccoglieva tutto se stesso e le sue scarse forze per lanciarsi all'attacco dei potentati, delle banche, degli affamatori, dei "poteri forti", cioè di tutti coloro che, con qualche slogan a poco prezzo, hanno prima conquistato e poi distrutto le sue vite e le sue ricchezze.
        L'aria che si percepiva, pur per il tramite del mezzo televisivo, era bella, positiva, intrisa di pathos. L'aria che si respira prima di certi assalti alla baionetta: molti sanno che non torneranno, ma sanno che i compagni, i figli, i nipoti, grazie al loro sacrificio, andranno avanti, si costruiranno un futuro e un destino, e allora non c'è più alcuna paura ad immergersi nelle "tempeste d'acciaio"? Del resto, di cosa dovremmo avere paura? Siamo già morti da tempo. La vita che conduciamo è forse definibile come vita? Il fatto che riusciamo a conservare, quando va bene, il dieci per cento dei nostri introiti, perché il resto finisce nella fauci di uno Stato moloch e bastardo, e della classe politica e dei suoi accoliti, cosa lascia alle nostre vite? Ci avevano promesso "le magnifiche sorti, e progressive". Guardatevi intorno (escludete le loro residenze e proprietà, ovviamente...).
        Tuttavia, per chi studia la Storia (e la studia sui libri, non grazie alle entrature di papà...), è ben chiaro che, quando i popoli non hanno più nulla da perdere, se non le proprie catene (mi piace sempre tanto citare Marx, lo trovo un grandissimo, e chi mi conosce sa che non sono propriamente marxista...), ecco che le loro vite subiscono delle accelerazioni improvvise.
         Quello che Grillo ha suscitato in Italia è la classica reazione ante mortem, il sussulto che può riportare alla vita, oppure far precipitare definitivamente nell'abisso. E' l'istinto di conservazione di un popolo che ha la prevalenza sugli algidi calcoli da ragioniere dell'anima del Gauleiter Monti, uno che, in quanto cattolico, della vita conosce solo i surrogati, perché la sua religione gli impedisce di accedere alle cose vere, escluse le perversioni denunciate dal pontefice uscente (non a caso uscente: mai sollevare certi coperchi, ci si brucia, e molto...), o del Cialtrone Silvio, il Grande Affabulatore che racconta la nascita di Equitalia o il voto in favore dell'IMU come operazioni in cui il suo governo e il suo partito non sarebbero mai entrati...!!! A voler essere eleganti, un Fregoli (con la precisazione che Fregoli è un classico caso di nomen omen...)!
        Tutti coloro che conoscono queste dinamiche sanno che, da situazioni del genere, si esce soltanto con una straordinaria carica di violenza, che funga da fattore catartico delle infinite repressioni subite. Non capiterà, perché l'Europa post-1945 vive in condizioni di catalessi, come vogliono i suoi dominatori d'Oltreoceano. Ma gli anticorpi sono in movimento. Questo continente non è ancora definitivamente condannato all'eclissi dalla Storia. Può ancora invertire la rotta e può farlo - come lo ha sempre fatto dal 1789 a oggi - con il "trionfo della volontà", nelle varie forme in cui essa ha saputo storicamente incarnarsi.
       Sono lieto di poter assistere alla volontà di riscossa di un popolo. Adoro la collera dei buoni e dei vessati. Nella vita, difficilmente si riescono a fare miracoli, ma occorre costantemente sognare di riuscire a farli. Nella peggiore delle ipotesi, restituiremo ad altri gli incubi che abbiamo provato per anni noi. A me questa prospettiva piace moltissimo. So già che si dirà: "Eh, ma non è costruttiva!". Niente di più falso: è costruttiva degli interessi di un popolo, distruttiva di quelli delle oligarchie. Voi da che parte state?

                                                                        Piero Visani

                  

      
     

venerdì 22 febbraio 2013

Padroni del nostro destino

       Il comizio che Beppe Grillo ha tenuto questa sera di fronte a un'affollatissima Piazza San Giovanni, a Roma, mi è parso molto interessante. Fantastico rito collettivo, officiato da un celebrante di classe, ha dimostrato - se mai ce ne fosse bisogno - che "tutto ciò che è fatto per amore è al di là del bene e del male". E l'aria della piazza trasudava di pathos, di partecipazione, di voglia di essere cittadini, non sudditi.
       Come negli anni Venti del Novecento, la lista delle malefatte di una classe politica imbelle, falsa, ladra e serva di potentati stranieri sta determinando una rivolta ideale le cui conseguenze possono essere enormi e determinare ripercussioni addirittura a livello europeo, non solo italiano.
        Uno straordinario movimento dal basso, palesemente e smaccatamente populista, si appresta a presentare il conto a chi lo ha vessato per quasi un settantennnio e, se per ora pare deciso a farlo in modo incruento, non garantirei a occhi chiusi sul futuro.
        Un altro fantastico "pifferaio di Hamelin" è in marcia e - comprensibilmente - tutti lo seguono. Che altro potrebbero fare, del resto? La disperazione è ovunque, un intero sistema economico sta collassando e, con esso, la politica infame che tale sistema, a sua volta infame, ha prodotto. Non resta che il salto nel vuoto, soluzione assolutamente normale e comprensibile quando è chiaro che - tanto - si morirebbe comunque.
        Amo il populismo da sempre, intensamente. Non promette di costruire. Neppure gli interessa. Vuole solo distruggere, scientemente e scientificamente distruggere. E' paragonabile alla distruzione di un amore: non si pensa ai futuri amori che verranno (o potranno venire); si pensa a massacrare deliberatamente quello che ci ha tanto deluso, e disilluso. Tuttavia, questa sua volontà di distruzione non è negativa, come comunemente si sostiene, anzi è positiva e catartica. Cerca di distruggere tutto perché sa di doverlo fare, perché è consapevole che si tratta di un atto preliminare cui adempiere.
        Non voterò Beppe Grillo. Non potrei farlo. Non partecipo a ludi cartacei in cui il mio voto di persona intelligente e acculturata viene accomunato a quello di un bifolco qualsiasi, senza o con laurea. Detesto il principio egalitario che sta formalmente (molto formalmente...) alla base della democrazia. Odio l'omologazione. Veleggio distante da tutto. Non al di sopra di tutto, distante da tutto.
        Tuttavia, auguro al Movimento 5 Stelle le migliori fortune. Difficilmente riuscirà a resistere alle tentazioni dell'istituzionalizzazione (che sono in genere basate su tentativi di corruzione sostenuti da decine di zeri, da esercitare per di più a carico di persone che spesso hanno condotto esistenze assai modeste), ma potrà dare un salutare scossone a un sistema che sta facendo acqua da tutte le parti.
         Dal momento che nutro una forte "Sympathy for the devil", dico che qualsiasi battaglia condotta contro i "poteri forti", il capitalismo, il socialismo, la liberaldemocrazia, i grandi potentati economici e finanziari, le lobbies che li sostengono e dirigono, è una battaglia sacrosanta, una lotta benedetta contro l' "Impero del Male" e le sue logiche di sfruttamento. Le multinazionali della povertà, della fiscalità, del dolore, della deprivazione di gioia e vita dalle nostre esistenze possono e debbono essere sconfitte, facendo ricorso a qualunque mezzo, per ritornare ad essere una comunità di destino e, come tali, per ritornare ad essere padroni del nostro destino. Speriamo che, in articulo mortis, questa nostra vecchia Europa abbia un sussulto di vita e lanci la sua straordinaria "rivolta ideale" contro chi la vuole morta, da sempre. Lunga vita alla distruzione creativa! Abbasso ogni forma di deprivazione e rinuncia! Riprendiamoci la nostra sovranità, per tornare ad essere padroni in casa nostra. Ricordiamoci che nulla di ciò che faremo sarà mai tanto abominevole quanto il disegno liberticida ed economicida di cui siamo rimasti vittime! Riprendiamoci le nostre vite! In ogni modo e a qualunque costo!

                     Piero Visani

Curiosity killed the cat

      Alcune lettrici del blog, dopo essersi tanto preoccupate ieri, con curiosità tutta femminile mi chiedono oggi di dire qualcosa di più sull' "evento privatissimo" e piacevole che mi ha visto protagonista. Non intendo dire molto. Dico solo che, per una felice congiunzione astrale, mi sento ripagato dall'incontro, avvenuto molto prima di quanto prevedessi o osassi sperare, con una splendida "puledra irlandese". Una puledra vera, non un fake; una persona sincera, vera, non mono-bi-tri-quadrisex. Una persona che non deve sedurre per il gusto di farlo, per affermare se stessa, per provocare e poi ritrarsi come una verginella. Una donna con un cuore, non di pietra, e la capacità di parlare, oltre che di ascoltare.
      Ho già detto troppo. Non pensavo che, dopo lunghi periodi di palate di guano, avrei potuto tornare a sorridere con una donna. Ma forse mi ero semplicemente dimenticato di come fosse una donna...
      Non ne parlerò più. Mi godrò privatissimamente la mia felicità. Dopo tutto, chiedo solo di non essere preso in giro, mai.
      A presto risentirci, su altri temi.

                                                                      Piero Visani
    

giovedì 21 febbraio 2013

Donna Prassede

      Numerosi lettori, dopo aver letto il mio post odierno "Immersione rapida!", mi hanno scritto privatamente per sapere che cosa sia successo, quali le ragioni che hanno determinato un cambiamento così repentino. Molto gentilmente, si sono preoccupati per me.
       Li ringrazio di cuore per la loro sentita partecipazione, che mi ha perfino commosso, e li tranquillizzo subito: non è successo niente. Un piccolo evento privatissimo e molto positivo mi ha indotto a chiudere definitivamente una pagina verminosa e invereconda della mia esistenza. Una terribile e crudele presa in giro, la peggiore subita nel corso dei miei 62 anni di vita. Ho vissuto anni difficili e tempestosi, esperienze personali e politiche di confine, mi è capitato di prendere botte di piazza, di assistere a vicende poco edificanti, di seguire da vicino, da un osservatorio privilegiato, taluni retroscena della storia politica e militare di questo Paese. Ho avuto molti nemici, molte vicende controverse, politiche e personali, ma nessuno mi aveva mai trattato come un pezzo di merda come sono stato trattato nel corso dell'ultimo biennio. Ne sono perfino rimasto un po' sorpreso, perché neanch'io, per la verità, ho mai compreso "le ragioni di tanto risentimento" (mi piace, per colpire, usare le armi che sono state usate contro di me...; come "guerriero", sono abituato a farlo...).
       Poi, ieri, in fase di allontanamento definitivo da un'esperienza, una splendida novità sul piano personale e un sogno mi hanno infine staccato, per sempre, da una very shitty experience. Della splendida novità sul piano personale nulla dirò, né ora né mai, perché è privatissima.
       Dirò invece del sogno, perché è stata una visione, un'illuminazione, un'epifania, un evento straordinariamente rivelatore e pedagogico: ho sognato, scritto a caratteri cubitali nel libro della mia vita, il commento con cui il Manzoni, ne I promessi sposi, accompagna il suo commiato da Donna Prassede. E lo lascio a chi dovere, come mio piccolo e sentito omaggio, naturalmente del tutto metaforico, ci mancherebbe... Come epitaffio, è in linea con l'intera vicenda e la commenta e conclude con stile.

                                             Piero Visani

Immersione rapida!

       Ho chiuso. Non mi serviva più, ammesso e non concesso che mi fosse mai servito. Ho parlato, ho raccontato, ho descritto. Non mi sono sentito particolarmente meglio. Mi sono sentito tale quando ho deciso di cambiare radicalmente registro, come ho fatto stamane. Ora mi giocherò il mio privato in assoluto segreto, con qualche semplice accenno a quello che si affolla nel mio animo. Sposterò il blog su temi pubblici. Il mio privato, che si annuncia nuovamente interessante, lo terrò per me, totalmente per me.
        La scrittura terapeutica ha certo funzionato, ma non come volevo io. Io non cerco cure, cerco vendette, e la scrittura terapeutica non me le può dare. Dunque "immersione rapida!", navigazione segreta e... chi vivrà vedrà. Ci potranno essere sorprese, o ci potranno non essere. Come soggetto privato, scompaio. Resterò solo come soggetto pubblico.
        Come soggetto privato, ringrazio tutti quelli che mi hanno letto e quanti mi hanno espresso i loro pareri. Li ho apprezzati tutti, favorevoli o meno che fossero. Ora però è tempo che come persona scompaia. Scriverò come intellettuale, come osservatore del mio tempo. Nient'altro. Cercherò di "avere più carisma e sintomatico mistero". E dire che ne ho già così tanto...!! Mi supererò. Sarò l' "oltre-uomo" di me medesimo. Dopo tutto, amo le sfide, quali che siano...

                                              Piero Visani

Incipit vita nova

       Sono da sempre convinto che le svolte, nella vita di una persona, arrivino all'improvviso. Certo, c'è una maturazione dei fenomeni, ma l'evento epocale, il momento di cambiamento, non è una dinamica, un processo, è un atto. Ha una data, è ricollegabile a qualcosa di preciso, ha un "prima" e un "dopo".
       Quando, il 26 giugno 2012, sono stato scaraventato garbatamente in un cassonetto della spazzatura (in realtà, la destinazione era diversa e più umiliante, ma non voglio essere volgare), ci ho messo più di un mese a prenderne atto e a reagire. Poi, quando la mia reazione ha determinato una rottura totale, ci ho messo parecchio tempo a comprendere come si potesse passare tanto rapidamente e con tanta naturalezza, per così dire, "dalle stelle alle stalle".
        Le lunghe riflessioni, tuttavia, non rappresentano soltanto un' "elaborazione del lutto". Sono anche analisi, verifiche, indagini, a conclusione delle quali ci si sente pronti per andare oltre.
        Da qualche settimana, mi sentivo tale. Stamane mi sono alzato pensando che occorreva una frattura netta con il mio "prima" e con gli strascichi e le ferite che ha comportato. E siccome sono di natura altissimamente decisionista, ho capito che era tempo di una svolta. Netta, totale, radicale. Gettarsi alle spalle un cattivo passato. Gettarsi alle spalle le ferite, le attestazioni di disistima, i silenzi, le offese, gli sgarbi. Non c'ero riuscito, fino ad oggi, probabilmente perché non mi sentivo ancora pronto.
       Stamane mi sono sentito pronto, ho sentito che potevo davvero andare oltre. E ho pensato a quale fosse il modo migliore per farlo. L'ho trovato rapidamente, perché da un po' di tempo ci stavo pensando su. Ho fatto una telefonata e...
        Ma di questa cosa non racconterò altro. E' una vicenda privata, privatissima. Mi è sufficiente dire che va oltre, non indietro, e con nuovi protagonisti. Com'è giusto (e tempo) che sia.

                                              Piero Visani

Homo ludens

       Sto pensando seriamente a che fare. Non c'è nulla, in questo momento, che stimoli realmente il mio interesse. Sono annoiato. Con tutti i sensi ben desti, ma annoiato.
       Devo riprendere a fare cose che mi stimolino, ma con chi? Non vorrei ripetere un'esperienza come la precedente, un lungo viaggio intorno all'infinito Nulla. Per cui sono attento, molto, ma al tempo stesso estremamente circospetto. Non intendo regalare, per una seconda volta, "terre promesse a chi non le mantiene". Non intendo dare fiducia a chi non ne dia a me. Non intendo più provare sentimenti per chi non ne provi per me. Non intendo profondere vita in cambio di distacco e gelo.
        La lezione che ho tratto dal recente passato mi è ben chiara in mente: mai più cercare di entrare in relazione con chi non lo vuol fare, ti respinge, o ti accetta a certe condizioni e a "sovranità limitata".
        Fuggire dalle allumeuses, dalle "profumiere", dalle sante, dalle Marie Goretti, da quelle che non sono interessate agli uomini e via vaneggiando. Come "amico eunuco", ho già dato. Non rimpiango, non recrimino, non rimprovero, non accuso, non colpevolizzo. Mi limito a fuggire. Cosa che avrei dovuto fare fin dall'inizio, tanto tempo fa...
         Se c'è qualcosa nella vita che detesto sono le farse, e i rapporti asessuati tra i sessi mi fanno francamente orrore. Non sono uno womanizer, tanto meno uno stupratore e meno ancora uno stalker. Ma neppure sono un cagnolino da salotto, un maschio "pagatore" (quello che paga i capricci della sua dama) e neppure un maschio "che offre" senza avere "ritorni" di sorta. Eh sì, perché le affinità intellettive e anche quelle elettive sono cose molto belle, ma occorrerebbe anche parlarsi, per capirsi, non solo tacere, e occorrerebbe ricordare, talvolta, che le belle donne piacciono agli uomini in quanto donne, non in quanto "Beatrici" o Amazzoni, e che certe attese maschili, pur se disattese, sono legittime e non appartengono al campo della foja, solo a quello di un naturale desiderio sessuale.
        In caso contrario, se anche si è sostenuto che non si entrava nella sfera sentimentale e sessuale per non avere un "dopo" pieno di tensioni e di traumi, si arriverà molto in fretta, molto "prima" dei suoi esiti naturali, a quel "dopo", e ci si ritroverà senza più niente, niente di niente, a parte un grande senso di vuoto. Qualcosa da ricordare? Cosa? Rinunce, costrizioni, reiterati ALT, provocazioni sentimental-sessuali "a distanza di sicurezza? Nella mia distrazione, forse non mi sono accorto di aver avuto a che fare con una liceale, magari un po' cresciutella...
        Ma ho rinunciato a capire, a spiegare, a chiedermi. Mi limito a leccarmi le mie ferite e a pensare che non avrò sempre sfortune atroci e incomprensioni totali. Non sono un ottimista, di natura, ma sono un Leone pervicace, sicuro di sé e ben consapevole dell'assoluta eccellenza della sua offerta. Provare per credere...

                                           Piero Visani

Guerra e riposo del guerriero

     Nel bel mezzo di giornate di lavoro intenso, intensissimo, e di trattative defatiganti, ci si accorge di quanto sia grave la malattia morale che affligge questo Paese: i comportamenti e la deontologia individuale sono a livelli incredibili, talmente deplorevoli che riesce perfino difficile raccontarli e, nel farlo, riesce difficile persino farsi credere, tanto le storie che narriamo risultano assurde. Assurde, forse, ma assolutamente vere.
      Accade così che, pur disponendo la mia società di un negoziatore esperto, collaudato e validissimo, a un certo punto, quando la situazione diventa polemogena, devo necessariamente scendere in campo io.
      Non so perché, ma, fin da bambino, la guerra e i conflittti - oltre che la mia passione - sono anche il mio destino. Quando tutte le mediazioni sono saltate, quando ogni compromesso è impossibile, è il mio momento, tocca a me. Quando c'è da guardare l'avversario negli occhi, e mostrargli i denti, è il mio turno.
       Non crediate che sia un bel ruolo, un ruolo invidiabile. E' un ruolo difficile e scomodo. Per prima cosa, mi prendo palate di guano. Finiscono tutte addosso a me, e questo accade perché io non negozio, io colpisco, picchio. Sono colui che opera il salto di qualità, dalla fase potenzialmente polemogena a quella polemica tout court.
       Nessuno, a quel punto, sta a guardare di chi siano le colpe pregresse, chi ci abbia portato a una situazione siffatta. Quello che conta è solo che io ora picchio (metaforicamente, of course), e tutti se la prendono con me. Divento l'uomo più odiato, quello che, nel momento in cui, grazie al mio intervento manu militari, qualche filo di trattativa si riallaccia, deve essere escluso dal tavolo del negoziato, "perché con chi picchia non si dialoga".
       Ho interpretato tutta la vita questo ruolo e, se non mi chiedessero espressamente di svolgerlo, non lo interpeterei più. Il gioco non vale la candela, le critiche sono veementi, le ostilità si appuntano su di me, e io non ne ritraggo alcun vantaggio.
       Mi è sempre capitata questa vita, vorrei sottrarmene, ma non mi riesce, un po' perché io sono davvero così, un po' perché sono gli altri a chiedermi di interpretare questo ruolo, sapendo che non lo svolgo male; un po' perché, man mano che invecchio, mi trovo dolorosamente a constatare che è l'unico modo che mi è rimasto di interfacciarmi con gli altri. Di conseguenza fioccano le accuse a mio carico: insolente, provocatore, persecutore, autore di rappresaglie, e chi più ne ha più ne metta. E - come qualcuno di voi certo saprà - fare i conti con i giudizi di coloro che sono "perfetti" può essere un'esperienza disperante.
        Sono piuttosto stanco di questo stato di cose e sto pensando seriamente a come uscirne. Gradirei vivamente concedermi un periodo sabbatico, non dal lavoro in sé, ma dalle palate di guano che mi arrivano addosso da ogni direzione. Non discuto che siano meritatissime, sarà senz'altro così. Tuttavia mi pare un po' strano di essere l'unico a meritarmele.
        Spero di trovare presto una nuova voce amica, una nuova persona con cui dialogare fitto, possibilmente non in maniera bilaterale. Una persona di questo genere mi manca terribilmente, mi fa sentire deprivato di un interlocutore. Non ho mai inteso un'interlocutrice come una "inevitabile" compagna di letto, ma come una voce amica, insieme alla quale metterci "a parte e al riparo" del mondo. Non ne ho trovato molte, in vita mia, ma qualche volta sì, anche di recente, e sono state esperienze belle, anche se talvolta molto difficili e conclusesi in un disastro.
        Ora sono in perfetta solitudine da parecchi mesi, ormai, e, anche se non posso certo dire di stare male, la mia condizione è totalmente residuale, è un "nulla organizzato", è un monologo che ambirebbe a diventare quanto prima dialogo, bilaterale o multilaterale. Dopo tanti silenzi, e tante parole nel vuoto, mi piacerebbe tornare a parlare.

                           Piero Visani

mercoledì 20 febbraio 2013

"Carognata" mattutina

       I mutamenti d'animo, le fasi di svolta, lo staccarsi da situazioni e da persone per recarsi finalmente "altrove" richiedono, come ogni forma di suggestione empatica, un'adeguata colonna sonora.
        Stamane, mi sono svegliato allegro e immerso in una dimensione à la Quentin Tarantino. Ho pensato a una pseudo-storia, ai suoi protagonisti, e al modo migliore per celebrarla - in forma postuma - con un qualche augurio, auspicio, o quant'altro. A tale proposito, mi è venuto in mente un passo cruciale della colonna sonora di Pulp Fiction: il remake, da parte degli Urge Overkill, di un famoso pezzo di Neil Diamond, Girl, you'll be a woman soon.



       Considerata la storiella, i protagonisti e il loro modo di essere (da vari punti di vista), mi è parso un perfetto pas des adieux, accompagnato, da parte mia, da un caloroso augurio, visto che la protagonista, after all, anagraficamente (e non solo...) proprio una girl non è...
       Se riflettete bene sul titolo - Girl, you'll be a woman soon  (che potrebbe anche essere corretto in Girl, you'll be a (true) woman soon - lo prenderete per quello che è: un mio personale auspicio. Non si realizzerà, ma capita troppo a puntino. E poi, dopo qualche pena di troppo, qualche risata è indispensabile.
        Saludos e figli (rigorosamente) maschi. Anch'io ho le mie inclinazioni...

                                             Piero Visani


                                                

                                                     

Nights in white satin

       Amo da sempre la notte: oscura, silente, ovattata, accogliente. E' il momento della giornata in cui maggiormente mi occupo di me, dei miei pensieri, delle mie sensazioni.
       Non attraverso una fase positiva della mia vita, ma ricca di fermenti, questo sì. Sono pieno di lacerazioni e di ferite, ma creativo, molto creativo. L'effluvio di sensazioni che mi traversa l'anima e la mente mi fa scrivere molto.
       La mia mente è lucida: rabbie, passioni, risentimenti si stanno stemperando, sostituiti da una forte disillusione sulla natura umana e da un senso di inutilità del tutto che, se risultasse vincente, sarebbe esiziale.
       Poiché penso che nulla accada a caso, ma che tutto ciò che dipende da noi sia frutto di nostre precise scelte, sono relativamente tranquillo. Non ho recriminazioni. Qualche rimpianto sì, ma semplice conseguenza della mia buona fede. Credo di avere attraversato enormi situazioni e fasi di "non detto", ma non avevano me come protagonista. Io ho sempre detto tutto e naturalmente con il tempo ho preso atto che non andava mai bene niente.
        Tutto ciò che si è determinato nel corso del tempo è frutto di silenzi, chiusure, ostracismi, e ormai l'ho capito alla perfezione, al punto che non mi interrogo neppure più su "cause e pretesti." Mi è rimasto un unico dubbio, ai confini con l'interrogativo retorico: ma davvero si poteva pensare, con queste premesse, che una partnership potesse andare avanti? A mio giudizio assolutamente no, e dunque non mi sorprendo degli esiti, a mio giudizio scontatissimi.
        Ora sono qui, alla ricerca di nuove esperienze esistenziali. Tranquillo, assorto, tormentato come sempre, ma pieno di spunti, di voglia di fare, di progetti.
       Ho un forte desiderio di tornare quanto prima a cercare qualche nuova "puledra irlandese", di altissima classe e lignaggio. Per un rapporto divertente, dialettico, non preconfezionato ma neppure predeterminato. Dagli esiti liberi, a seconda dei gusti e delle emozioni, ma contraddistinto dalla voglia di convergere, non da quella di fuggire o di porsi "a priori" delle limitazioni.
       Ce la farò? Non lo so. Non è facile trovare donne realmente interessanti e talvolta - ahimé - anche quelle che appaiono tali poi si dimostrano chiuse, scostanti e ostili. Ma ho voglia di sognare, di scherzare, di giocare.
       Ho voglia di ricordare a qualche gentile signora che si può essere uomini in mille modi, anche in maniera molto più sofisticata di quelle cui sono mediamente abituate con i loro partner. Ho voglia di sedurre con "la mia mente pericolosa", come ho sempre fatto, e penso proprio che tornerò a breve a farlo.
      Fino a qualche mese fa - devo ammetterlo - sono stato bloccato dai forti rancori che nutrivo. Ma ora sono scomparsi, ora non mi sento più di voler incolpare alcuno. Ho accettato la mia sorte, ho preso atto del fatto che non posso essere gradito a tutte e che per qualcuna posso anche diventare Peter Trash. E rispetto queste scelte, in nome di una passata amicizia. Però, mentre i Moody Blues intonano Nights in white satin, è ora per me di pensare che posso essere stato vittima di seduzioni da represse, ma non posso certo farle durate a infinito. Libere di arrangiarsi come meglio credono, di seguire le loro inclinazioni. Io seguirò le mie... Mancheranno i punti di contatto - mi pare di capire - ma non certo per scelta mia...


                                    Piero Visani

martedì 19 febbraio 2013

Zero Dark Thirty

        Kathryn Bigelow è - a mio parere - un'ottima regista. Lo dimostrano film come Point Break, Strange Days, Il mistero dell'acqua (la mia valutazione sul quale è forse influenzata dalla presenza, a fianco di Sean Penn, di una splendida e sensualissima Elisabeth Hurley...). E lo dimostra soprattutto un film di guerra intenso, crudo, durissimo, come The Hurt Locker.
         Proprio perché quest'ultimo mi era piaciuto moltissimo, sono andato ieri sera con mio figlio a vedere Zero Dark Thirty, la celebrata pellicola sulla lunghissima caccia che ha portato all'individuazione del rifugio di Osama bin Laden (o di chi per esso...) e della sua uccisione da parte di una squadra di Navy Seal.
          Potere immaginare la mia sorpresa di fronte a un film che non è un film, ma non è nemmeno un documentario o un docudrama; semmai la storia di un'ossessione, l'ossessione di un Paese (e forse della regista) per Osama bin Laden, cioè per colui che, nell'ultimo decennio, più gravemente ha (o avrebbe...) colpito gli Stati Uniti.
         Zero Dark Thirty come film non esiste, nel senso che manca qualsiasi tensione drammatica o emotiva, al di là della palese ossessione personale della protagonista, un'agente della CIA che ha fatto della cattura di Osama lo scopo della sua (poverissima) vita.
         Sotto il profilo dell'ossessione personale, il film ha un senso, ma non ne ha alcuno sotto nessun altro aspetto, poiché non spiega, descrive poco, dà tutto per scontato e - soprattutto - è privo di qualsiasi pathos.
         Nella logica della caccia accanita condotta a Osama non c'è altra motivazione che la vendetta - e non sarò certo io, che di vendette mi nutro da sempre, a deplorarlo - ma tutta la faticosa e lenta narrazione si sviluppa in maniera molto manichea, senza che ci sia un benché minimo accenno alle "ragioni degli altri". Occorre solo colpire Osama, e farlo con qualsiasi mezzo, non esclusa la tortura o l'uccisione di donne e bambini.
         Al di là delle deplorazioni moralistiche, che servono a poco in guerra e in politica, il film si connota per una straordinaria lentezza del dipanarsi della vicenda e per un senso di incredibile algore. Pochissimi paiono provare sentimenti, nella caccia ad Osama. Mi è venuto in mente, come naturale contrapposizione a quello che stavo vedendo, il film Hunger, di Steve McQueen, dedicato alla terribile vicenda di Bobby Sands e al suo deliberato sacrificio in favore della libertà irlandese dalla dominazione britannica. Un film scavato nella carne e nel sangue, durissimo, violento, ma pieno di vita, di pathos, di passione, di incredibile volontà di combattimento, di senso profondo di libertà e giustizia.
         I soggetti che danno la caccia a Osama bin Laden sono invece delle donne e degli uomini senz'anima, che non paiono neppure comprendere bene che cosa stiano facendo, e perché. E alla fine, una volta soppresso il "reprobo" e consumata la vendetta, appaiono privi di un qualunque stimolo di vita, come se la loro vicenda esistenziale si fosse conclusa lì.
        Probabilmente, l'intento originario del film era - à la Oliver Stone in Platoon - dimostrare una volta di più che "la prima vittima della guerra è l'innocenza" e, in effetti, in Zero Dark Thirty di innocenti non ce ne sono proprio. Ma l'intonazione di fondo resta manichea, l'ispirazione unica e ultima resta quella della vendetta, e la vicenda viene raccontata per salti logici che impediscono allo spettatore di capire, se non è ben addentro al tema.
        A mio parere, per un'ottima regista come la Bigelow, una grande occasione perduta e un film che è forse un esercizio di patriottismo più o meno manicheo, ma che certo non è un esempio di grande cinema.

                                             Piero Visani

lunedì 18 febbraio 2013

Peter Trash fa i conti con se stesso

       In questi giorni, causa pressanti impegni lavorativi, ho avuto pochissimo tempo per pensare, ma sono giunto ad alcune interessanti acquisizioni:

- sono andato là dove mi portava il cuore. Ho preso una colossale nasata, e me la tengo;

- sono andato là dove mi portava il cuore, e sono stato preso bellamente in giro. Capita. Non faccio salti di gioia, ma a me è capitato spesso. Essendo io una persona radicalmente disinteressata, dalle donne - che in genere propriamente disinteressate non sono... - ho sempre preso colossali mazzate. E me le sono tenute.

- sono stato molto coerente, e certo non mi è giovato, ma alla coerenza tengo molto.

- ho voluto bene, alla mia maniera ingenua, gioiosa, giocosa, generosa, dionisiaca. Ho subito le solite repressioni, i soliti rifiuti, i soliti ALT, i soliti distinguo. Non ho niente da recriminare. Una persona propone e ovviamente non è obbligatorio che le sue proposte vengano accettate.

- sono stato sincero, e mal me ne incolse. Ma non ne sono pentito. Mi sono sempre comportato così, e continuerò a farlo.

- sono stato prima molto gradito e poi sgraditissimo, ma sono stato sempre io, sempre me stesso, senza mai cambiare. Sono finito in mezzo a colossali sbalzi d'umore, ma ho cercato - fin che ho potuto - di gestirli, cercando delle soluzioni. Dunque sono stato dialettico e disponibile alla trattativa, ma ho ricevuto solo proposte ultimative, genere "prendere o lasciare".

- ovviamente ho lasciato, essenzialmente per dignità, e ora faccio i conti con me stesso e penso di essermi comportato bene, di avere fatto tutto il possibile, di avere proposto varie soluzioni per salvaguardare un bel rapporto. Naturalmente, una soluzione di compromesso presuppone che si sia in due, ad accettarla. Io invece ero solo e, in cambio, mi era offerto al più "un patto leonino".

- oggi, da colui che era stimato "come uomo, come maschio, come intellettuale" sono divenuto Peter Trash, ma non me ne curo più. Innanzi tutto, il ruolo non mi dispiace e poi penso che ogni esperienza, per quanto negativa, insegni qualcosa e a me ha insegnato a mantenere ferma la mia visione del mondo: ad amare, sempre e comunque; a dare, ogni volta che sia possibile; a uscire dalle culture dell'esclusione per essere costantemente me stesso e un altro, per spostare i confini della mia personalità un po' più in là, per continuare a essere propositivo intellettualmente, empatico emotivamente, stimolante sessualmente, interessante sentimentalmente. Ho portato con me, in questa infelice esperienza, tutto il meglio che avevo e che potevo dare. E so di averlo dato. Se non è andato bene, se ha suscitato una chiusura totale, posso capirlo e rispettarlo, ma posso anche dire che non è dipeso da me. Ho fatto le mie proposte, ho dato prova di enorme flessibilità, ma nulla di me andava più bene, dopo una certa data. Dunque la conclusione era scontata ed è giusto che sia stata tale. Capisco benissimo che non si possa piacere a tutti, o interessare a tutti o essere ritenuto di un qualche valore da tutti. Giusto dunque avermi buttato via: io ho detto e fatto tutto quello che potevo fare. Se non sono risultato convincente, sicuramente la cosa è frutto dei miei limiti, della mia modestissima capacità di suscitare interesse. Me ne dolgo, ma, proprio perché sono sempre stato sincero, di più non avrei potuto fare. Uscire di scena era la conseguenza più normale, dopo tale constatazione. E il fatto che ora mi sia autodefinito Peter Trash dimostra che ormai ho metabolizzato la mia sorte e comincio a scherzarci su. E' fin troppo palese, del resto, che tutto mi considero, meno che Peter Trash. Se qualcosa mi ha tenuto brillantemente e baldanzosamente a galla, in questa "piccola storia ignobile", è la mia formidabile e incrollabile autostima. E' innegabile che ho suscitato ribrezzo in relativo, in un caso specifico, ma non penserete mica che lo susciti in assoluto...? Un po' di tristezza è comprensibile, dopo essermi tanto speso; ma lo scoramento quello non so proprio che sia. Sono sempre io, con una semplice cicatrice in più. E la ferita non mi ha certo cambiato. La mia brama di vita è identica, forse pure superiore...

                                Piero Visani