Nevica abbondantemente, sulla collina torinese, ove risiedo. Messi in preallarme dalle previsioni meteorologiche, mio figlio ed io ci siamo alzati prima delle sette e ci siamo messi a spalare. Non si può uscire dalla nostra casa, infatti, se non si libera il vialetto interno che conduce al cancello.
E' un lavoro noioso, ripetitivo, ma ha il pregio di svolgersi nell'aria gelida del mattino. Nel mentre lo compio, rifletto sul fatto che, per me, tutte le cose che partono da un punto A e vanno a un punto B sono una metafora esistenziale. Lo sono i viaggi, lo sono certi progetti di lavoro, lo sono i miei rapporti con determinate persone.
Vivo immerso nelle metafore esistenziali e spesso mi chiedo se succede così anche per gli altri. Mi capita infatti di conoscere persone che mi paiono adagiate nella loro esistenza, da cui sono agite, più che esserne protagoniste. E raramente riesco a trovare un punto d'intesa con esse. La mia esasperata ricerca di progettualità si scontra con la loro assenza, con il loro lasciarsi vivere.
Spalo, spargo il sale affinché la nostra stradetta privata rimanga pulita il più a lungo possibile. E intanto penso. Sono stato spesso rimproverato di pensare troppo, ma quale significato avrebbe questo insieme di gesti che sto compiendo, con limitata partecipazione personale, se non continuassi a pensare?
Mi vengono sovente rimproverate abbondanti dosi di intellettualismo, ma questo è il mio modo di vivere e certo non penso per farmi bello. E con chi, poi? Penso perché mi viene spontaneo comportarmi così. Penso perché mi piace trasporre su uno sfondo denso di significati ogni minimo gesto che compio, anche perché - e questo forse nessuno lo ha mai realmente compreso - ogni gesto che compio è gravido di significati.
Mi sento molto solo, in questo periodo, perché mi pare che il mio modo di vivere e di pensare sia davvero talmente singolare da destare soprattutto incomprensioni. E siccome mi sento in una fase di totale autoisolamento, mi sono chiuso in me stesso e penso, leggo, scrivo, rifletto. Parlo molto con me, con la tranquillità del dialogo che si sviluppa con chi sai che non ti deluderà, non ti mentirà, magari ti capirà. Ma senza inclinazioni all'autoassoluzione; anzi, con il rigore analitico che mi è proprio.
Sento l'esigenza di rimanere chiuso in me stesso, per un po'. Vengo da troppo sofferenze, su vari piani. Starò rinchiuso dentro di me, ma perennemente in marcia, perché il "guerriero esistenziale" sa che il suo destino è il combattimento, non la vittoria. Non si fa illusioni, combatte. E non fa differenze tra la vittoria e la sconfitta. Sa che sono entrambe transeunti.
Piero Visani
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