domenica 17 febbraio 2013

Freddie Mercury

       Sono sempre stato un fan dei Queen. Ho sempre amato la loro musica, coacervo e incrocio degli stili più diversi. E ho sempre nutrito una grande ammirazione per il loro leader carismatico, Freddie Mercury, una delle più grandi voci della musica popolare mondiale e personaggio di formidabile eclettismo.
        Proprio questa sera, "History Channel" ha trasmesso un lungo documentario dedicato alla personalità di questo poliedrico artista, un musicista capace di passare attraverso gli stili più diversi, preservando costantemente, al tempo stesso, la propria identità.
        Freddie Mercury ha sempre voluto, nella sua vita di cantante, interpretare una sola cover, quella di una canzone dei Platters, The great pretender. Lo ha voluto certo non a caso, ma perché lui stesso si riteneva tale e riteneva che quel testo, di cui ho già parlato in passato in un altro post, rispecchiasse alla perfezione la sua personalità.
         Del resto, chi meglio di The great pretender, cioè "il grande impostore", può interpretare nel più convincente dei modi "la grande impostura", cioè la vita? Chi meglio dell'impostore può affidare tutto alla propria arte, lanciare messaggi attraverso i suoi modelli espressivi (siano essi la musica, la scrittura, la pittura o quant'altro), farsi scudo della sua personalità pubblica per lanciare chiari messaggi sulla propria identità privata?
         Ho già scritto in questo stesso blog che io per primo mi sento "un grande impostore", perché anch'io mi nascondo dietro determinati stilemi non per sfuggire, ma per parlare, utilizzando (à la McLuhan) "il medium come messaggio". Negando ciò che affermo; affermando ciò che nego. Costruendo un'identità pubblica che potrebbe fare scudo a quella privata, ma, al tempo stesso, potrebbe essere ancora più vera di quella privata. Autentica sovrarappresentazione di sé medesima.
        Freddie Mercury ha variato di continuo codici e cifre comunicative, è parso cercare di depistare, ma forse, nel depistare, voleva parlare, intendeva denunciare una solitudine, intendeva ricordare che, nell'universo della spietata, totale, universale manipolazione contemporanea, l'unico personaggio sincero è il manipolatore dichiarato, in quanto, con il suo ostentato istrionismo, questi ricorda a tutti che è tutto talmente falso che purtroppo (o per fortuna) è vero, e che chi manipola sfacciatamente è molto più sincero e onesto di chi finge di non farlo e lo fa invece costantemente.
         Freddie Mercury ci ha ricordato che passare attraverso gli stili, contaminare espressioni artistiche diverse, è quanto di meglio noi si abbia per proporre soluzioni nuove e anche per fare pedagogia di massa, per far comprendere alla gente che è tutto manipolazione, ma non tutto è buona manipolazione.
         In questo senso, The great pretender è un maieuta, è colui che può insegnare al suo pubblico che siamo tutti dei manipolati e che chi lo denuncia apertis verbis non è un istrione, ma è l'unico sincero della compagnia, l'unico che abbia il coraggio di pronunciare, anche a proprio rischio e pericolo, la piccola ma fantastica notazione per cui: "il re è nudo"...
        Sì, "il re è nudo" e, se qualcuno ci aiuta a vederlo e ha il coraggio di denunciarlo, dobbiamo essergli grati e non accettare in alcun modo che venga confinato in una "riserva indiana", quella in cui si mettono gli eccentrici. Gli eccentrici, oggi, sono i "folli di Dio", sono gli unici che ancora riescono a vedere e a denunciare l'abisso in cui siamo sprofondati. Dobbiamo essere loro grati e ricordarci che sono autentici maitres à penser, non artisti da strapazzo o soggetti on the borderline, come vorrebbero farci credere. Questo perché, in definitiva, l'unica cosa che conti, per ciascuno di noi, è che we want to break free. Sempre e comunque.

                                                  Piero Visani

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