giovedì 14 febbraio 2013

Amarsi un po'


       Nel corso della mia vita, nelle rare occasioni in cui ho incontrato donne realmente interessanti, ho provato a proporre loro la mia teoria dell' "amarsi un po'", che può essere egregiamente riassunta dal verso mogol-battistiano, tratto dalla canzone dal titolo omonimo:

Amarsi un po'
è un po' fiorire
aiuta sai
a non morire.
      Non erano donne libere, nel senso che avevano relazioni, partner più o meno fissi oppure potevano essere anche sposate, come lo sono io. La mia proposta, tuttavia, era di natura diversa e si basava sul fatto che, tra noi, era scoccata una qualche scintilla, si era sviluppata una qualche forma di empatia, forse addirittura un'affinità elettiva, e io mi preoccupavo di fare sì che quel momento di magia reciproca non venisse soffocato dalle paure, dalle convenzioni sociali, dai pregiudizi, dagli oscurantismi.
      Non ho mai avuto troppa fortuna. Non chiedevo esclusive, chiedevo apertura mentale, capacità di guardare al mondo in forma diversa da quelle solite, sulla base di una cultura dell'integrazione e non dell'esclusione.
       Chiedevo, in una parola, che ci fosse consentito "amarci un po'", senza dover affondare sotto il peso di responsabilità che, in un modo o nell'altro, non ci volevamo o non ci potevamo assumere.
       Solo una volta ho avuto successo, con una persona capace di essere davvero quello che affermava di essere, vale a dire un soggetto "sopra le righe", fuori dagli schemi, capace di amare più persone contemporaneamente, con intensità, gradazioni e forme diverse, senza negarsi nulla, senza troppo chiedere, senza troppo accettare. Una donna singolare, di grande fascino personale, con la quale ogni tanto ancora mi sento. Perché, se si riesce ad "amarsi un po'", per davvero, poi non si cessa più di farlo. E questo è straordinariamente bello.
       Per il resto, invece, solo esperienze catastrofiche, con soggetti profondamente repressi, in varie fogge e forme. Anticonformiste all'apparenza, banalotte nella sostanza. E molto tranchant, quando glielo facevi notare, perché ricordare ai conformisti che sono tali, anche se si nascondono sotto qualche maschera di mediocre anticonformismo, non è atteggiamento che procuri vantaggi.
        Però non si deve desistere, mai. E, se qualche borghesuccia non riesce a dimostrarsi all'altezza, preferendo rifugiarsi nel suo comodo tran tran di falsa "diversa", non per questo il mondo finisce o l' "amarsi un po'" risulta impossibile. Basta avere la pazienza di continuare a cercare chi voglia "fiorire" un po' con te, chi desideri aiutarti "a non morire".
        Da questo punto di vista le ferite, passate e recenti, possono indurre alla prudenza, questo sì, ma all'arrendevolezza mai. In effetti, non essere stati compresi una volta, nonostante l'enormità degli sforzi compiuti, non significa che non si sarà compresi mai. Occorre aver pazienza; prendere atto del fatto che non si era incontata la persona giusta e guardare avanti e altrove.
        Le peculiarità di una persona non mutano, e nemmeno appassiscono, per il semplice fatto che non sono piaciute. Rimangono dentro e fuori di me. Non pretendo certo che vengano apprezzate; non mi strappo le vesti se non lo sono state. Quando non è possibile "amarsi un po'", è bene che ci si perda del tutto. Le amicizie "a sovranità limitata" vanno bene per i repressi, non per le donne e gli uomini liberi. E io non ho mai partecipato né inteso partecipare a giochi di cui non ho contribuito a definire le regole. Piuttosto non gioco. Lascio ad altri il dubbio privilegio di divertirsi con i propri onanismi, fisici o intellettuali che siano. In quella fase, IO NON CI SARO' [la frase in versione originale era un po' diversa, ma ha finito per strutturarsi così, vero...?]. Non ho voluto esserci e non ci sono. La libertà condizionata non fa per me. Mi sembra molto più dignitoso il cassonetto. E poi chi ha detto che intendo rimanerci dentro per sempre...?

                                                                 Piero Visani

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