sabato 2 febbraio 2013

Rugby

       Amo il rugby alla follia fin da quando ero bambino. Fin da quando vedere in televisione, rigorosamente in bianco e nero, alcune partite del mitico torneo delle "Cinque Nazioni" era un evento raro, atteso per settimane. E ricordo l'emozione provata quando l'Italia venne ammessa a giocare questo fantastico torneo ed esso divenne il "Sei Nazioni", quale è ora.
        Mi sono avvicinato al rugby per una scelta estetico-letteraria. Lessi infatti da bambino, non ricordo dove (già allora ero un lettore onnivoro), l'aforisma per cui "il rugby è un gioco da bestie giocato da gentiluomini, mentre il calcio è un gioco da gentiluomini giocato da bestie".
        Poiché mi sono sempre considerato, fin da bambino, un gentiluomo con propensioni di quelle che gli umani sono soliti considerare come "bestiali" (il gusto per la forza, l'agonismo, il coraggio, il duro contrasto virile e frontale), non poteva non piacermi un gioco dove è lecito "abbattere tutto, meno l'erba". Come autentica e riuscita metafora della guerra, a me piaceva (e piace) non solo per i valori guerrieri che lo consustanziano, ma per il fatto che ricorda i conflitti di tipo tradizionale, quelli tra Stati, dove gli unici nemici possibili sono gli hostes, i nemici esterni, da abbattere con ogni mezzo. Ma con ogni mezzo lecito, non illecito.
       La cosa più fantastica del rugby, la cosa che amo di più, quella che dovrebbe precludere la visione di questo sport ai mercanti e ai banchieri, è che esso punisce il dolo molto di più di quanto non punisca la violenza rituale e regolamentata. Se un giocatore fa un "velo" per far pervenire la palla a un compagno con una finta, quello è un fallo assai più grave che stendere un avversario con un cazzotto. L'avversario, infatti, può sempre rialzarsi e pareggiare i conti in un altro momento della partita, oppure ci possono pensare i suoi compagni a pareggiarli nell'immediato. Il dolo, invece, è cosa verminosa, da truffatori, da mercanti, per l'appunto, non da guerrieri. I guerrieri si affrontano, anche selvaggiamente, ma poi, esaurita la pugna, vanno a bere una birra insieme, perché gli sconfitti sanno che i vincitori hanno vinto grazie alla loro forza, non grazie al dolo, a qualunque forma di dolo.
       Il rugby è una splendida e straordinaria forma di pedagogia di massa; è uno sport che ci ricorda che cosa possa essere una comunità di destino in un mondo fatto di società di truffatori, grandi e piccoli. E' una metafora sportiva che ci ricorda che le guerre possono fare anche molto male, ma hanno una loro intrinseca etica che le società mercantili moderne hanno tragicamente perduto, con risultati che si ripercuotono quotidianamente in negativo sulla vita di tutti.
       Il rugby rifiuta le sodomie. Insegna ad affrontare gli avversari con lealtà, guardandoli in faccia, non insegna a "fregarli". Insegna a dare e prendere botte, e ricorda a tutti - cosa oggi incredibilmente dimenticata - che, se compio un atto ostile, potrò essere oggetto di reazione immediata e speculare, e che quest'ultima sarà nella logica delle cose, non un atto illegittimo, per cui è lecito offendere (come oggi si fa di continuo), ma non difendersi (come oggi è praticamente impossibile, visto che si viene fatti passare dalla parte del torto).
        La forza che permea il rugby fin dalla sua intima essenza non è violenza, come sostengono i più stolti: è virile forza guerriera, la forza di coloro che conoscono, come unico metodo di vita, attaccare di fronte e con atteggiamento di sfida, per misurare le rispettive capacità agonistiche e vitali. Vince il più forte, non il più furbo o il più truffaldino. Per me, è una semplice, unica e formidabile ragione per amarlo alla follia, come lo amo.

                                                                                         Piero Visani

                                                                               

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