La mia mente è persa in meandri esistenziali, in compagnia della mia anima e del mio cuore. Sento il pulsare delle riflessioni, nelle quali la mia mente iperspeculativa è perennemente immersa.
Sono un uomo deluso, immerso in quella delusione che ci assale quando si percepisce nitidamente l'inanità dei propri sforzi. Dovrei dedicare enorme attenzione al lavoro, che cresce d'intensità giorno dopo giorno, ma non ci riesco. Sento molto dolore dentro di me, e cerco di gestirlo, ma è solo l'addestramento che mi supporta, nient'altro che l'addestramento, quello che ti fa adottare certi atteggiamenti come automatismi.
Fin da bambino convivo con il dolore, il dolore del fisico e quello dello spirito. Da bambino, ho avuto parecchi problemi ai denti, che mi hanno procurato notevoli sofferenze. Il dolore dello spirito, per contro, ce l'ho dentro di me dalla nascita, ma mi è esploso con la pubertà, quando si è sviluppato in me l'interesse per l'altro sesso e questo si è risolto in una lunga serie di storie sbagliate, incomprensioni, delusioni.
Da tempo mi lascio vivere, nascondendo dietro varie maschere tutto il dolore che mi porto dentro. E sfogo nella scrittura il mio male di vivere, si tratti di un libro, di un diario, di un blog.
Mi dispiace molto essere scarsamente compreso; mi dispiace altresì essere trattato generalmente male; mi dispiace ancora di più che mi vengano attribuiti intenzioni o atteggiamenti che davvero non mi sono propri.
Credo che nessuno comprenda questa mia ipersensibilità e che nessuno sia disposto a fare uno sforzo per comprenderla. Tutti mi chiedono, esplicitamente o meno, di diventare un altro, ma io non me la sento di rinunciare a me stesso.
In questo mio autunno esistenziale, una delle poche cose in cui ancora mi riconosco e di cui tuttora mi sento fiero è la mia coerenza, l'essere riuscito a rimanere sempre fedele a me stesso. Cercando di essere mutevole e flessibile in ogni circostanza, ma sempre ancorato al mio universo di valori, alla mia visione del mondo.
Negli infiniti meandri in cui vagolo, il rispetto di me stesso e della mia identità sono punti fermi, irrinunciabili. Faccio molte cose; ogni tanto mi accendo di entusiasmo per qualcosa o qualcuno, e poi, quando viene la mia ora (in genere molto presto...), cerco di uscire di scena con dignità, consapevole che l'attaccamento che nutro per l'idea che ho di me, mi procurerà infiniti problemi.
La mia vità è molto stentata, da questo punto di vista, ma io non conosco la resa. No surrender. Mi interpreto in un certo modo, mi relaziono con il mio prossimo in un certo modo, mi lascio coinvolgere nelle cose cui credo in un certo modo, cioè dando tutto me stesso. Gli esiti non sono mai troppo positivi, ma perché dovrei cambiare? Questa è l'idea che ho di me, e ad essa intendo essere fedele fino in fondo. Molti o tutti mi sorpassano; molti godono di un prestigio sociale, umano e intellettuale che io non avrò mai. Ma io li lascio fare. Mi prendo le mie sconfitte, le mie botte, il mio disprezzo, ma cerco ugualmente di rimanere me stesso, di essere fedele all'idea che ho di me. Non divento un altro per convenienza, o per opportunità sociale o per soddisfare richieste altrui. Cerco di preservare un minimo di coerenza. Non mi giova, questo lo so bene, ma non potrei mai contrabbandare la mia dignità con un'esistenza meno stentata di quella che mi tocca vivere. Proprio perché è tutto così stentato, oggi, io non chino il capo: io mi spezzo, ma non mi piego; io non cerco soluzioni di comodo. Quando soffro di tutto questo - e mi capita spesso - penso sempre che le scelte coerenti sono le uniche che abbiano valore, e le compio. So che le ho sempre pagate, le pago e le pagherò care. Eccomi qui...
Piero Visani
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