Credo sia molto positivo quando, nei rapporti tra le persone, si afferma la chiarezza. Gli equivoci, infatti, sono generatori di guai, incomprensioni, fraintendimenti. Se gli equivoci permangono, si è costretti ad operare continui compromessi, per ricostruire situazioni che tendono invece sempre a deteriorarsi, il che obbliga a fatiche di Sisifo in cambio di risultati modesti.
Ancora peggio è quando il compromesso è frutto di una visione delle cose che chiama "accordo" ciò che è, nel migliore dei casi, una sommatoria di visioni diverse di una cosa che viene definita per convenzione la stessa.
Il risultato di tutto questo è un defatigante "costruir su macerie", un continuo ripetersi di appelli all'ordine e alla pace interna che non pacificano alcunché, perché non esiste un terreno di convergenza comune. Ho partecipato in passato a una partnership che era costretta a ridiscutersi a scadenze sempre più ravvicinate, dal momento che non esisteva una reale intesa interna. Di conseguenza, occorreva, in mezzo a frequenti litigi, invocare spesso una "cessazione delle ostilità" che non aveva senso alcuno, in quanto non era una pace, ma un fragile armistizio, basato sulla perpetuazione di equivoci e, come tale, destinato puntualmente a rompersi alla prima occasione.
Quando vivo situazioni del genere, ne soffro profondamente e, anche se a volte raccolgo gli inviti a "fumare il calumet della pace", perché si usa fare così, nel mio animo so bene che, se perdureranno le cause di divisione e di contrasto, tutto si sfascerà, come puntualmente accade.
A volte, posso apparire come colui che forza, con le sue decisioni, determinate situazioni di stallo, ma io ritengo di averlo sempre fatto e di farlo per il bene comune. Tutte le situazioni che stanno in piedi senza motivo, come vuoto simulacro, possono essere lasciate andare avanti per un po', giusto per vedere se si possono riaggiustare. Tuttavia, se ciò non accade, è infinitamente meglio romperle. Si evita di protrarre un'agonia.
Se guardo alla fine della partnership che ha preceduto gli attuali assetti della mia società, posso dire che, dopo la frattura avvenuta a fine giugno 2012, nel corso del mese di luglio i partner hanno cercato, con maggiore o minore impegno, di rimettere insieme i cocci. Tuttavia, io non ho riscontrato un'effettiva capacità di fare chiarezza, ma solo una reiterata e perdurante "mozione degli affetti", in base alla quale occorreva, a scadenze ricorrenti, una "cessazione delle ostilità", oppure si auspicava di ritrovare una "maggiore serenità", senza mai soffermarsi un attimo sulle cause che avevano portato alla crisi, cioè sull'unico fattore che ci avrebbe potuto aiutare a risolverla.
Di conseguenza - e lo scrivo adesso, quando ormai qualsiasi tipo di tensione, di rabbia e di stress è da considerarsi del tutto superato - si sono semplicemente accumulati fattori di crisi, non li si sono risolti e anche i miei inviti ad affrontare la cosa direttamente sono stati lasciati cadere.
A quel punto, la partnership era ormai terminata, conclusa per il venir meno delle sue premesse e delle sue ragioni. Il fatto che io abbia preso l'iniziativa di dichiararla conclusa, non ha certo giovato alla mia immagine, ma ha troncato un nodo gordiano che altrimenti sarebbe diventato insolubile. Ciascun partner ha dovuto prendere atto della situazione, e la situazione era quella di una realtà ormai sfasciata.
Chi ha voluto andare avanti, è andato avanti, insieme a me. Chi ha preferito ritrarsi, ha avuto modo di farlo. Ci sono state sicuramente tensioni e incomprensioni, ma, operando ciascuno le proprie scelte, abbiamo evitato la perpetuazione di una farsa.
E' vero che, dopo tale evento, alcuni rapporti interpersonali si sono deteriorati al punto da segnare la fine di amicizie, di far scomparire nel nulla persone che si erano frequentate e avevano dialogato anche parecchio. Ma, a ben guardare, una soluzione del genere, per quanto dolorosa e umanamente dilacerante, è preferibile al perpetuarsi di una cancrena.
Non c'è dubbio che oggi taluni ex-partner non si parlino più, non abbiano più rapporti di alcun genere. Può essere spiacevole, ma è una soluzione. Continuare con un simulacro di società, fragile paravento di un simulacro di amicizia che non esisteva più, ci avrebbe solo esposto a continue tensioni, che prima o poi sarebbero esplose.
Più ripenso a ciò che è stato, dunque, più ritengo di aver fatto chiarezza, anche a costo di attirarmi molta ostilità e rancore. Oggi taluni membri della precedente partnership continuano la loro attività nella nuova, altri se ne sono andati per la loro strada. Abbiamo vissuto momenti di tensione e abbiamo distrutto delle amicizie. Ma chiunque di noi abbia la volontà di ragionare a mente fredda sa che si sarebbero distrutte ugualmente e che le mie decisioni, per quanto scomode e tranchant, hanno semplicemente accelerato e abbreviato un'agonia.
Scrivo questo a mente fredda, a giochi fatti, a vicende concluse e a rapporti definitivamente troncati. Ritengo di aver agito per il meglio e di non aver assunto una decisione, ma una semplice presa d'atto. Era tutto finito, era un faticoso simulacro di farsa e, quando tutto è finito, l'importante... è finire. Me ne sono assunto tutti gli oneri: umani, morali, materiali e personali. A tutt'oggi, non ne sono pentito. Ho fatto la scelta giusta, nonché l'unica possibile. Volevo chiarezza e l'ho, e l'abbiamo, avuta.
Piero Visani
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