Amo molto riflettere. E' un'attività che pratico costantemente. Se volessi dare un'immagine edulcorata di me, potrei dire che pratico la meditazione. Ma, non avendo un'idea di trascendenza - che non sia quella, mia personalissima, della capacità di trascendere sempre e comunque se stessi - non posso sostenere legittimamente di praticare la meditazione. Il senso di urgenza che mi caratterizza di continuo, del resto, mi preclude la meditazione.
Io mi limito a riflettere, a pensare, ad analizzare, a speculare. Lo faccio di continuo, a mente calda e a mente fredda. Da un po' di tempo, ad esempio, sto riflettendo su quella che è stata la mia vita negli ultimi 6-7 anni, caratterizzati da notevoli cambiamenti sul piano del lavoro e dalla necessità di fare i conti con varie difficoltà professionali, personali, relazionali.
Devo dire di non essere in alcun modo insoddisfatto di quello che ho fatto. Ho sviluppato una serie di progetti e di disegni, strategici e tattici, e, anche se sarebbe eufemistico sostenere che siano andati tutti a buon fine, certamente mi hanno consentito comunque di progredire, professionalmente e personalmente. Inoltre, ho cercato di aprire maggiormente il mio carattere, in precedenza troppo chiuso e riservato.
Non vedo grandi errori, in quello che ho fatto, a tutti i livelli. Vedo semmai il solido mantenimento dei miei tradizionali punti fermi: sincerità, onestà, franchezza, coerenza. Ho sviluppato un gran numero di rapporti personali, quasi tutti positivi, e la mia rete relazionale è cresciuta a dismisura. Ho avuto qualche incidente di percorso, questo sì, soprattutto a livello personale, ma ormai credo di averlo metabolizzato e sistematizzato a livello interpretativo: a volte, quanto più si crede di capirsi, quanto meno ci si capisce, e ogni persona finisce per riporre nell'altra delle aspettative che sono purtroppo diverse. Così, ci si ritiene vicini, mentre in realtà si è creato e si sta creando un divario enorme. L'ho visto lievitare, l'ho visto fermentare, l'ho visto nascere e l'ho visto esplodere. Nulla che non mi aspettassi. Sapevo che sarebbe arrivato.
Inoltre, tutte le cose belle non hanno limiti. Se li hanno, non sono belle, e restano incompiute, pronte per lo sfacelo, che arriva puntuale.
Oggi, in circostanze radicalmente diverse, mi sento a posto con me stesso. Tuttora vulnerato, tuttora incompreso, tuttora dispiaciuto per essere stato omologato, ma convinto che non potesse accadere niente di diverso da quello che è accaduto. Le persone come me di norma non si buttano via. Se accade, è perché ce ne sono buoni motivi. Le persone come me ne prendono atto. Se non si è graditi, se si fa schifo, è giusto dirlo e la sincerità, anche quella che fa male, deve essere sempre apprezzata. E io la apprezzo, anche perché le sincerità che fanno male sono infinitamente preferibili ai patetici pateracchi delle "amicizie cui si tiene molto", degli "anch'io ti voglio bene", del "ti porto sempre un po' con me". Se uno fa schifo, è bene che gli venga detto e, se non gli viene detto apertamente, è bene che lo deduca da sé e si comporti di conseguenza. Poi, magari con l'aiuto del tempo, tutto diventa più semplice. Le "soluzioni finali", specie se arrivano da versanti dove magari non te le saresti aspettate, sono sempre preferibili. E alla fine non solo le accetti, ma addirittura le apprezzi. Tra un po' di tempo, chissà, magari ringrazierai pure.
Piero Visani
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