"Lavorare stanca", sosteneva Cesare Pavese. E io l'ho preso in parola. Dopo una giornata di lavoro, di ritorno verso casa, mi fermo in un mega-outlet di qualità. Anche se qualcuno si ostina a sostenere che io sia una persona seria, in realtà sono frivolo, vanesio e narciso.
Una delle mie fissazioni primarie è l'abbigliamento, per il quale farei pazzie. Sono infatti dell'idea che abbigliamento e mood siano strettamente connessi, per cui è necessario avere un amplissimo guardaroba, che incarni le oscillazioni del pensiero e dell'animo, in ogni microscopica sfumatura.
La giornata lavorativa è andata complessivamente bene, il mio umore è decente, ho perfino trovato una persona che mi apprezza, a 360° gradi. Potrei chiedere di più?
Sospinto da questi sentimenti, che albergano in me esattamente come molti altri più profondi, perché sono un intellettuale frivolo e perduto nella costante ammirazione di sé, mi beo dei miei sincretismi e mi infilo con passo spedito dentro questo outlet di autentico lusso, animato dal forte desiderio di dare corpo al precetto wildiano: "Toglietemi tutto, ma non il superfluo!". E le tentazioni del superfluo si affacciano prontamente, come sirene: commesse carine, gerenti di negozio dall'aria ammiccante e soprattutto tonnellate di cose da comprare.
Come potrei resistere? Sono un (non più) "giovin signore" alle prese con le proprie debolezze, alle quali non ha ovviamente alcuna intenzione di resistere. E così qualche acquisto ci scappa, motivato dalla potenza del marchio, o da esigenze di abbigliamento, reali o presunte. Il tutto in un clima di autoreferenzialità totale. Manca soltanto che il sistema audio interno trasmetta You're so vain, di Carly Simon. Ma forse sarebbe inutile, perché io già penso che quella canzone sarebbe per me:
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