Ci fu un momento, in uno dei miei tanti passati (essendo una personalità multiforme, io non ho uno solo, ma molti passati), in cui una persona fece un accenno molto preciso al film di Liliana Cavani, senza ricordarne il titolo (mi preoccupai io di precisarglielo), ma probabilmente avendone ben chiara situazione e rapporto. Talvolta mi chiedo - e presumo che il dubbio mi resterà in eterno - se la persona interessata tracciasse, nella sua mente (sicuramente brillante e ricca di potenzialità enormi, rimaste purtroppo inespresse, con me), un vago parallelismo tra la nostra situazione e quella del film, e mi dispiace che non sia stato possibile approfondire il tema, che era uno dei lati più innegabilmente stimolanti del nostro incontro...
Il film, a suo tempo (è del 1974), mi piacque molto: per il tema, per come era trattato, per il clima di morbosità e di malessere in cui si svolgeva il tutto. Tutto è intrinsecamente patologico, in quell'opera, ma di quella patologia che è talmente compenetrata nelle anime, nelle menti e nei corpi dei protagonisti da diventare fisiologia e da farli elevare (o abbassare, poco importa) rispetto all'umanità (?) circostante, immergendoli in un clima che è loro, esclusivamente loro, giudicabile come perverso solo da chi è perennemente immerso nei suoi piccoli manicheismi da bottega o da sacrestia, nelle sue stracche divisioni verticali tra Bene e Male.
L'opera evidenzia con forza il tremendo potere di seduzione del cosiddetto Male, la sua diversità - comunque la si voglia giudicare - rispetto alla "banalità del Bene". Ricorda la possibilità - sempre presente - di percorsi alternativi, di itinerari non scontati, del fascino e della stimolazione che derivano dall'essere capaci di "andare oltre", di ricercare l'esercizio di forme diverse di vita, che i "custodi del solito grigio" chiamano perverse, morbose, malate.
Lo stesso riferimento a eventi storici, a movimenti politici precisi, viene usato dall'Autrice in forma deliberatamente provocatoria, proprio per stimolare l'indignata reazione di perbenisti, "politicamente corretti", pseudovirtuosi, ipocriti, moralisti. Per renderla ancora più forte, quale supremo gesto di sfida. La sfida della provocazione intellettuale contro la stupidità banale dei soggetti privi di fantasia, condizionati dai loro moralismi da Untermenschen.
Considero un assoluto privilegio essere riuscito ad evocare, in uno dei miei tanti passati, una situazione del genere. Non si è materializzata, sfortunatamente, perché i grandi film, soprattutto quelli esistenziali, hanno bisogno di protagonisti all'altezza, e non sempre si trovano... Non è un accusa verso altre persone o una recriminazione e, in ogni caso, coinvolge direttamente anche me. E' possibile, anzi direi che è probabile, che io sia alquanto scarso, come pseudo-Mefistofele, e pure come regista e sceneggiatore dei tanti, troppi B Movies che hanno condizionato la mia esistenza. Buona ragione per riprovarci, ovviamente con altri referenti, ça va sans dire. Il diavolo, a differenza dei postini, non suona mai due volte...
Piero Visani
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