La morte di Hugo Chavez, circondata da dubbi e sospetti, ovviamente subito tacitati come "teorie complottiste", obbliga a una riflessione profonda. La visione occidentalocentrica, in cui siamo immersi, è altamente manichea e divide il mondo in "buoni" e "cattivi". Poiché dall'età di 14 anni sono stato arruolato d'autorità tra i "cattivi", mi siano consentite alcune piccole riflessioni.
L'uccisione dell'avversario politico per avvelenamento progressivo non è una novità assoluta nella cultura anglosassone. L'esempio più classico è certamente quello di Napoleone Buonaparte (un nemico politico di tale entità che, se andate a leggere la storiografia inglese, sta appena un gradino più in basso di Adolf Hitler), probabilmente avvelenato progressivamente a Sant'Elena, dove la "bontà" inglese lo aveva esiliato.
Ma, se guardiamo a soluzioni più radicali, che dire delle "squadre della morte" di Sua Maestà Britannica in Irlanda del Nord, ai tempi dei Troubles? Chi scrive non intende sostenere che quelli dell'IRA ci andassero con la mano leggera, ma non è che i loro avversari...
E che dire di quella che da qualche anno a questa parte è diventata la "professione più pericolosa del mondo", quella di scienziato nucleare iraniano? Quanti decessi si contano, tra le loro fila? Misteriose sparizioni, auto che "improvvisamente", nel bel mezzo di una discesa, spaccano l'impianto frenante, e via decedendo...?
Chavez, da questo punto di vista, non potrebbe essere che l'ultimo di una lunga lista... Personalmente, non ho nulla contro la logica del "colpirne uno per educarne cento". L'ho praticata anche a livello personale e prometto che la praticherò anche in futuro, tutte le volte che sarà necessario. Ma - come vedete anche dal titolo del blog - io sono onesto e sincero, e manifesto la mia Sympathy for the Devil. Degli angeli, non so davvero che farmente e degli "angeli custodi" ho una paura folle. Inoltre mi chiedo sempre: "Quis custodiet custodes"...?
La verità è che, nelle cose personali come in quelle pubbliche, io ho un sacro terrore dei moralisti, i quali in genere uccidono negando di farlo. Poiché si considerano intrinsecamente buoni, giudicano i loro comportamenti "al di là del bene e del male". Se si dichiarassero accaniti esaltatori di Friedrich Nietzsche, mi starebbero pure simpatici, perché vorrebbe dire che apparteniamo alla stessa famiglia di pensiero. Ma costoro da tale famiglia prendono sdegnosamente le distanze e strillano come oche: "No, noi siamo buoni, consustanzialmente buoni. Non siamo cattivi come voi. Le rarissime (!) volte in cui uccidiamo, del resto, lo facciamo per il 'bene dell'umanità'".
A questo proposito, devo confessare che ho un secondo terrore: quello per coloro che lavorano per il mio bene. Da costoro, ho subito le peggiori nequizie. C'è qualcuno che vuole lavorare per il mio male? Naturalmente assumendosi il rischio di affermare a chiare lettere che lo sta facendo...
Parafrasando vagamente Lenin (come vedete, ho tanti marxisti nel mio album di famiglia...), potrei dire: "Moralismo,. malattia senile della democrazia plebiscitaria" o, se volete, di quello che qualche decennio fa Alain de Benoist definiva il "totalitarismo dolce" e che ora - come stiamo sperimentando quotidianamente sulla nostra pelle - così "dolce" forse non è più..., anzi è piuttosto duro e affamatore.
Tuttavia, nessuno di coloro che uccidono "in nome del Bene" si faccia illusioni: gli anticorpi sono in movimento. Per uno che cade, altri solleveranno le sue bandiere e le faranno garrire al vento. La partita è aperta...
Piero Visani
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