Leggo così che, nel febbraio 1812, quando la Prussia, sotto il peso dell'imposizione napoleonica, fu costretta ad allearsi con la Francia contro la Russia, il maggiore Carl von Clausewitz - contrarissimo a quell'imposizione, che gli pareva bloccare ogni possibilità di rinascita della Prussia stessa dopo la catastrofica sconfitta di Jena (1806) - decise, con pochi altri ufficiali del suo Paese, di recarsi in Russia per mettersi al servizio dello zar.
Seppure gratificato del prestigioso incarico di istruttore militare del principe ereditario Federico Guglielmo, von Clausewitz decise di fare egualmente una scelta dalla quale non aveva nell'immediato alcunché da guadagnare e scrisse al suo pupillo, per chiudere le sue lezioni, le seguenti, memorabili parole:
"Anche quando le probabilità sono contrarie, non si deve sempre considerare una impresa di guerra impossibile e irragionevole: essa è giustificata quando non si può fare di meglio e quando si impiegano nel modo migliore i deboli mezzi disponibili.
Affinché non manchino in simili momenti la calma e la fermezza, qualità che la guerra tende a smussare e senza le quali divengono inutili le più alte qualità dello spirito, è necessario rendersi familiare il pensiero di perire con onore. Occorre nutrire costantemente questo pensiero perché ci divenga del tutto abituale. Siate convinto, Monsignore, che senza tale ferma risoluzione, nulla di grande si può fare, anche nella guerra più fortunata, e tanto meno nelle avversità. Nella memorabile giornata del 5 dicembre (1757) Federico II ardì attaccare gli austriaci a Leuthen appunto perché era deciso a morire con onore alla testa dei suoi soldati, e non già perché calcolasse di vincere impiegando nella battaglia l'ordine obliquo".
Rifletto un attimo su queste auree parole e comprendo perché, nel silenzio del mio studio, ho sempre preferito la riflessione sulla storia a molte altre attività: perché in tal modo ho avuto il privilegio di poter scegliere i miei compagni di viaggio tra i leoni, non tra le iene...
Piero Visani
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